Breve discorso di don Antonio Staglianò per l’Eucarestia del 27 gennaio 2009

Perché chi fa la volontà di Dio, costui è per me fratello, sorella e madre (Mc 3,35)
27-01-2009

Carissimi,

ascoltiamo la Parola di Dio non come ‘ascoltatori smemorati’, ma come persone che ascoltano per ‘mettere in pratica’. Lo sappiamo: solo se mettiamo in pratica la Parola di Dio che ascoltiamo, raggiungiamo la gioia e la felicità che Dio promette e compie attraverso la sua Parola. D’altronde, come potrebbe essere diversamente? Il cristianesimo nasce da un evento di incarnazione e, perciò, è una esperienza spirituale che si consuma nel corpo, nella carne. La fede cristiana è fede incarnata: non è un gioco di perle di vetro, non è un sospiro dell’anima, non è un pio sentimento del cuore o un bellissimo sogno notturno. No! Il cristianesimo è l’amore di Dio dentro la vita degli uomini, un amore che dilaga ‘ dilatentur spatia charitatis (S. Agostino) ‘ e contagia i cuori delle persone, coinvolgendo tutto: mente, affetti, desiderio, volontà, corpo. Così l’evento del Natale si rinnova nella vita di persone umane concrete, che nella concretezza della loro quotidianità ‘corposamente’ si impegnano ad amare. E’ inutile dire che le forme dell’amore sono tante e Gesù ‘ per riconoscere i ‘suoi’ ‘ indica preferibilmente le cosiddette opere di misericordia corporale: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire i nudi e visitare i carcerati. Sono come simboli della volontà del cristiano di fare sul serio, prendendo sul serio il cristianesimo, facendo si che la fede ‘tocchi la sua carne’, coinvolgendo la propria libertà nell’agape.
Da quando, infatti, il ‘Verbo carne divenne’ e abitò tra noi, soffrì per noi e per noi morì, sono effettivamente finiti i sacrifici di olocausti, di montoni e di tori. Ora, in quest’Ora di Cristo ‘ diffuso, universalizzato e personalizzato dall’azione dello Spirito ‘ il Padre gradisce solo un sacrificio di ‘soave odore’. E’ il sacrificio che si compie nel proprio corpo, alla sequela di Gesù: «un corpo invece mi hai preparato [‘] allora ho detto: ‘Ecco io vengo [‘] per fare, o Dio, la tua volontà’» (Eb 10,5-7).
Da qui nasce e rinasce nuovamente l’esperienza cristiana vera che è sempre in ogni tempo e in ogni dove ‘esperienza eucaristica’: si tratta di vivere in tutti i modi possibili il gesto di Gesù che spinge il dono della sua vita fino alla morte per amore. Non si sacrificano più cose o oggetti o animali ‘ realtà esterne, insomma -, ma se stessi, la propria libertà, il proprio tempo, le proprie energie, il proprio denaro, il proprio corpo etc. etc. . Si, nel corpo e non nelle idee – nella carne e non nelle vie lattee delle nostre rarefatte conoscenze, nel quotidiano della vita concreta e non nell’astrattezza dei nostri ideali ‘ si fa la volontà di Dio.
Così si realizza la verità che qualifica i cristiani nel profondo: quella d’essere figli di Dio e, dunque, familiari veri di Dio, di un Dio che non ha disdegnato di ‘lasciare’ la sua beatitudine celeste e si è fatto uomo ‘ nel Figlio ‘ per abbracciare tutta l’umanità, afflitta e incatenata dalla sofferenza del peccato e redimerla nel suo corpo, donando il proprio corpo alla morte. Perciò è ben detto da Gesù, inequivocabilmente: solo coloro che in libertà si lasciano associare all’esperienza eucaristica del dono totale di se per amore, fino all’estremo del morire per amore, solo costoro sono ‘madre sua’ e ‘fratelli suoi’. Si capisce allora la famosa frase di S. Agostino, per la quale Maria di Nazareth non fu tanto grande per aver partorito al mondo un figlio ‘ benché il Figlio stesso di Dio. Più grande fu perché ha potuto dire (dall’inizio del suo Fiat, attraverso il dolore della croce, fino alla sua assunzione al cielo in corpo e anima) ‘mi hai dato un corpo, in questo corpo io vengo per fare la tua volontà’.
Così, tra i cristiani comincia un’altra storia, quella di sempre, quella del Figlio nella carne che ora è la carne stessa degli uomini rigenerati dallo Spirito e ripieni di Spirito Santo ‘ ‘non sai tu che il tuo corpo è tempio santo di Dio e che lo Spirito di Dio abita in te’, sicchè con Paolo puoi dire ‘io, non io: questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me’.
Il Signore ci chiede il ‘sacrifico di soave odore’, contro la tentazione sempre latente dello gnosticismo: una tentazione che non è depositata nello studio dei libri di scuola di teologia, ma nella concretezza della vita ordinaria della gente. E’ lo gnosticismo pratico di chi pensa che la fede cristiana sia un problema di dottrina o di idee e non l’esperienza del fare la volontà di Dio, nell’obbedienza ai comandamenti, nell’obbedienza al comandamento unico dell’amore: ‘ama il prossimo tuo non come te stesso, ma più di te stesso, perché lo devi amare come io l’ho amato e io l’ho amato eucaristicamente, spingendo il dono della vita fino alla morte di croce per amore’. Quando lo scopri nuovamente S. Kierkegaard annotò nel suo Diario: «sto cercando di stringere più intimamente il mio rapporto al Cristianesimo. Perché finora io ho lottato per la sua verità quasi tenendomi in un certo modo fuori di esso: ho portato la Croce di Cristo in un modo puramente esteriore, come Simone il Cireneo».
Si, è questo che vogliamo vivere ‘ stringere più intimamente il nostro rapporto con Cristo stesso -, consapevoli che la nostra debolezza non è un ostacolo all’amore: ‘chi ti separerà dall’amore di Dio ”. Perciò poniamo tutta la nostra fiducia in Dio, perché sappiamo della nostra caducità, della nostra provvisorietà e instabilità in questa vita: «sì, è come un’ombra l’uomo che passa. Sì, come un soffio si affanna, accumula e non sa chi raccolga. Ora che potrei attendere, Signore? E’ in te la mia speranza» (Sal 39, 8). Amen.