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Tre conferenze tenuti da Mons. Staglianò ai Vescovi del Brasile
28-02-2013


Tre dense lezioni di profondo taglio teologico-pastorale sono state quelle tenute dal nostro Vescovo, Mons. Antonio Staglianò, a Rio de Janeiro in Brasile, nella prima decade di febbraio, davanti a 120 Vescovi della Conferenza episcopale Brasiliana, riuniti i assemblea plenaria. Scopo di questa loro assemblea è stato di approfondire alcune tematiche ispirate, anzitutto, all’Anno della Fede in corso -voluto dal Papa Benedetto XVI- e dal 50° dell’inizio del Concilio Vaticano II; tematiche ispirate anche dalle esigenze della “nuova evangelizzazione” nell’attuale “cultura liquida” del post-moderno e, specialmente in Brasile, dalle istanze dei crescenti gruppi pentecostali che costituiscono una “sfida” di profonda conversione evangelica da parte della Chiesa cattolica istituzionale. I Vescovi brasiliani, perciò, hanno invitato in questa loro assemblea alcuni esperti (il cardinale polacco Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio dei Laici; il cardinale spagnolo Antonio Canizares Llovera, Prefetto della Congregazione del Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti; il nostro Vescovo Antonio Staglianò) a trattare temi di approfondimento sia nel campo biblico e teologico, che in quello liturgico, spirituale, ecumenico, culturale e pastorale

Intervento di S.E. Mons. Antonio Staglianò al Convegno internazionale sulle acque in occasione del Premio per l’Ambiente G. Merli 2010
10-12-2010

La difesa dell’ambiente non è un fatto ‘estetico’ ma ‘morale’. E’ prima di tutto l’uomo, in quanto figlio di Dio, a dover essere tutelato nella sua dignità, perché è dal rispetto dell”ecologia umana’ che deriva il rispetto di quella ambientale . Benedetto XVI ha articolato attorno a questo principio l’importante discorso rivolto al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ricevuto in Vaticano per la consueta udienza di inizio anno 2010. Fra i temi affrontati riguardanti la crisi europea – il Pontefice- si è molto soffermato sulla crisi ecologica che fa risalire essenzialmente ad una negazione di Dio:
«Con l’Enciclica Caritas in veritate ho invitato ad individuare le radici profonde di tale situazione: in ultima analisi, esse risiedono nella mentalità corrente egoistica e materialistica, dimentica dei limiti propri a ciascuna creatura. Oggi mi preme sottolineare che questa stessa mentalità minaccia anche il creato. Ciascuno di noi, probabilmente, potrebbe citare qualche esempio dei danni che essa arreca all’ambiente, in ogni parte del mondo. Ne cito uno, tra i tanti, dalla storia recente dell’Europa: vent’anni fa, quando cadde il Muro di Berlino e quando crollarono i regimi materialisti ed atei che avevano dominato lungo diversi decenni una parte di questo Continente, non si è potuto avere la misura delle profonde ferite che un sistema economico privo di riferimenti fondati sulla verità dell’uomo aveva inferto, non solo alla dignità e alla libertà delle persone e dei popoli, ma anche alla natura, con l’inquinamento del suolo, delle acque e dell’aria? La negazione di Dio sfigura la libertà della persona umana, ma devasta anche la creazione! Ne consegue che la salvaguardia del creato non risponde in primo luogo ad un’esigenza estetica, ma anzitutto a un’esigenza morale, perché la natura esprime un disegno di amore e di verità che ci precede e che viene da Dio» .


La parola creato aggiunge alla natura la ricchezza dell’essere opera creata da Dio, donata all’umanità. Un dono da non sprecare ma da valorizzare con ordine, verità e giustizia: l’uomo è collaboratore di Dio, amministratore e usufruttuario della terra, non il padrone assoluto. Dio stesso, fin dall’inizio, gli affida la missione di custodire saggiamente e di portare a compimento la sua creazione. Una profonda consapevolezza accompagna dunque l’uomo credente: la terra è un dono .
Ciò scaturisce una conseguenza impegnativa ed esigente: la terra è di Dio e quindi è di tutti; di conseguenza né singoli uomini, né gruppi di uomini possono arrogarsi il diritto di esserne possessori esclusivi… Approfondisci>>


 

Relazione di Mons. Antonio Staglianò, Vescovo di Noto al Convegno d’inizio anno pastorale 2010-11
29-09-2010

Lungo le strade del Sud alla scuola di Gesù per coltivare la speranza

 


1. Prima premessa: le coordinate ecclesiali

 

Siamo al cuore del nostro convenire. Oggi, dopo lo sguardo di ieri sui problemi e sulle sfide e per poter domani avere una luce entro cui concretizzare dei passi, fissiamo lo sguardo su Gesù. Per convertirci al disegno di Dio. Per lasciarci guidare dal suo Spirito. Non ci illudiamo, infatti, con i convegni e con i piani pastorali di trovare una ricetta per i problemi del nostro tempo. Avvertiamo piuttosto spontanea e doverosa la sosta e l’articolazione di un cammino di Chiesa per ascoltare il Signore e per imparare da Lui quella cura integrale perché cresca l’umano e perché sia vero lo sviluppo.

Così, allora, con il vivo desiderio di essere sempre più in Cristo, condividiamo le gioie e le speranze di tutti , soprattutto dei più deboli e dei più poveri, come testimonia il documento dei vescovi sul Mezzogiorno, già con l’essere stato offerto prima ancora che con i contenuti. «Torniamo sull’argomento ‘ abbiamo scritto ‘ [‘] per ribadire la consapevolezza del dovere e della volontà della Chiesa di essere presente e solidale in ogni parte d’Italia, per promuovere un autentico sviluppo di tutto il Paese» . «Essere presenti» è allora una prima connotazione derivante dalla nostra sequela del Signore. Non una presenza qualsiasi, ma una «presenza per servire»: è stato questo lo slogan che ha accompagnato il rinnovamento postconciliare in questa terra di Sicilia, espresso in modi simili anche nella mia terra di Calabria e nelle altre regioni del nostro Sud. Ma la nostra non vuole essere solo una presenza, non solo una presenza per servire; la nostra missione è anche ed anzitutto un contributo perché lo sviluppo sia autentico.

 


 


 

Relazione di S.E. Mons. Antonio Staglianò (Vescovo di Noto) a Le Castella 24 Settembre 2010 al VII Convegno di Bioetica
24-09-2010

Il legame tra dibattito bioetico e problematiche di tipo ambientale è vitale, sorgivo e profondo, fin dall’origine della bioetica stessa come disciplina, considerato che agli albori della riflessione bioetica , Van Rensselaer Potter, microbiologo, nel suo libro Bioethics bridge to the future, proponeva appunto una nuova etica che non fosse limitata ai rapporti individuali o sociali, ma che si occupasse di tutta la biosfera e si preoccupasse della sua conservazione, dando per scontato che il progresso della tecnica e del sapere scientifico potesse minacciare il futuro dell’umanità e condurla alla catastrofe.
Oggi si può parlare di Bioetica ambientale  come di una branca della bioetica, che da un lato suppone la base scientifica dell’ecologia (intesa come scienza degli ecosistemi) e dall’altro recupera l’istanza etica racchiusa in quella formula con cui Potter la definiva scienza della sopravvivenza: si tratta di una bioetica che propone la sintesi dei valori umani ed etici con l’ecosistema della vita, contestualizzando ogni aspetto biomedico nel quadro globale delle scienze ecologiche. In tal senso diviene necessario recuperare non solo la dimensione delle scelte etiche individuali, ma anche quella degli stili di vita collettivi, come frutto della riflessione bioetica ambientale. Approfondisci>>

 

 

Relazione di Mons. A. Staglianò: IL SACERDOZIO MINISTERIALE E IL SACERDOZIO COMUNE NEL CONCILIO VATICANO II
Pietrelcina dal 6-7 Settembre 2010 un Convegno sul sacerdozio
20-09-2010

Il Concilio Vaticano II ha senz’altro cambiato il volto della nostra Chiesa. La Chiesa è sempre la stessa ‘ quella voluta dal Signore Gesù -, però resta ‘tradizione viva’, pertanto ‘incarnata’, dentro le condizioni spazio-temporali e storico-umane di ogni epoca. Non stupisce allora che il volto della Chiesa cambi. Così la ‘nuova ecclesiologia di comunione’ , brillantemente esposta nei documenti del Concilio corrisponde meglio, per il presente, alla missione e alla vocazione della Chiesa nel/per il mondo.
Il ‘popolo di Dio’ tutto sacerdotale non sopporta più divisioni (e subordinazioni) che battano le strade del potere (sul modello del potere temporale) quali quello di clero-laici (dove il clero identificherebbe sostanzialmente la Chiesa e il laici semplicemente il ‘gregge’ da orientare ed educare). Diversamente, la nuova ecclesiologia di comunione del Concilio focalizza con proprietà le vie del servizio, come quelle più adeguate a manifestare il mistero della Chiesa, corpo carismaticamente costituito, nel quale ognuno vive col suo carisma e ministero per l’edificazione dell’unica comunità, la Chiesa voluta da Dio Padre che nel Figlio dona lo Spirito dell’amore, scavato nel cuore di ogni credente, per il quale ogni credente si può rivolgere a Lui chiamandolo ‘Abbà’ (= papà).
Ho approfondito in altra sede questo tema, mostrando come il sacerdozio battesimale sia il fondamento della missione di tutta la Chiesa (sia del clero che dei fedeli laici) . Per non ripetermi, vorrei qui, con semplicità, riferirmi a un solo testo del Concilio Vaticano II, Lumen gentium 10, in cui si affronta in modo chiaro e succinto il tema del sacerdozio comune dei fedeli e il suo rapporto con il sacerdozio ministeriale. Ascoltiamolo:


 

Maria ‘microstoria della salvezza’ nella mariologia storico-salvifica di Stefano De Fiores – Presentazione di S.E. Mons. Antonio Staglianò, il Nuovissimo Dizionario in tre volumi di De Fiores
Non solo studioso, ma costruttore della mariologia contemporanea
25-11-2009

Maria ‘microstoria della salvezza’ nella mariologia storico-salvifica di Stefano De Fiores
 

Presentando l’ultima sua opera, il Nuovissimo Dizionario in tre volumi (EDB 2006-2008)
[Relazione di S.E. Mons. Antonio Staglianò, Vescovo di Noto]

Non solo studioso, ma costruttore della mariologia contemporanea

  Dopo il Concilio Vaticano II il rinnovamento in teologia accelerò i suoi passi: i vecchi trattati della teologia preconciliare ‘ già messi in profonda crisi dai frutti fecondi dei movimenti liturgico, biblico e patristico travasatosi nelle direttive conciliari ‘ vengono sostituti nelle aule di Scuola da ‘dispense’ dei professori, nelle quali ci si sforzava di recepire quel rinnovamento conciliare già tentando una nuova sintesi manualistica che cominciò ad affermarsi già nella prima metà degli ’80. Proprio a questo periodo di creatività laboriosa risale il primo scritto mariologico di Padre Stefano De Fiores nel Nuovo Dizionario di Teologia, curando la voce ‘Mariologia’ con l’intento di chiarire la discontinuità della nuova impostazione della riflessione su Maria, anzitutto però mostrando il percorso storico anche a questa novità condusse e contribuì a costruirla. Nella vita della Chiesa e ‘ pertanto nella teologia ‘ nulla è così assolutamente nuovo da non dover/poter esibire il  proprio debito nei confronti del passato: riforma e continuità sono due aspetti di una stessa medaglia nella concezione dinamica e vitale della tradizione ecclesiale. Proprio in questo primo testo, lo studioso di mariologia delineava i tratti fondamentali di quello sviluppo della disciplina teologica su Maria che egli stesso avrebbe poi contribuito a costruire. Il futuro per definizione non è ancora, ma quando transita nel presente passa subito e viene colto nel suo passaggio, viene per così dire ‘fissato’, ‘oggettivato’ nelle opere che si sono impegnate a riceverlo, ad apprenderlo con lavorio indefesso e costante, con il sacrifico della ricerca. A considerare la sterminata produzione del De Fiores in campo mariologico, si può affermare senza nessun timore di esagerazione enfatica che il futuro di allora è il nostro felice presente: così il De Fiores da studioso diviene costruttore della mariologia contemporanea.


 Per giusto merito veniva affidato a lui il compito di stendere la parte della mariologia in La teologia del XX secolo. Un Bilancio (a cura di P. Coda e G. Canobbio) per i tipi di Città Nuova: fu un tentativo tutto italiano di portare a sintesi gli sviluppi più originali della teologia del secolo passato e De Fiores ‘con le sue pubblicazioni aveva dimostrato di essere l’unico in Italia capace di dominare il mare esteso della  letteratura su Maria che si era fin ad allora prodotta e di farlo con creativa originalità.

 

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Relazione teologico-pastorale di S. E. Mons. Antonio Staglianò, Vescovo di Noto, al V° Convegno ecclesiale delle Chiese di Calabria
Solo l'amore è credibile
24-11-2009

Solo l’amore è credibile. E’ una verità con molteplici significati, ne ricordiamo solo due tra quelli fondamentali.
E’ vero – solo l’amore è credibile -, anzitutto perché l’amore è ciò in cui i cristiani hanno creduto. Inizia così la fede nel suo annuncio originario: ‘Dio è amore’ (Deus caritas est), Dio è dono, Dio è il Padre ‘ricco in misericordia’. Non è una dottrina, ma l’evento del Crocifisso risorto ‘ il Figlio redentore – che così manifesta e rende vivibile il Dio-amore, per l’effusione dello Spirito santo – l’amore in persona o la persona dell’amore – effuso nei cuori dei credenti (Rm !!). Non è tanto un insegnamento capace di orientare eticamente l’esistenza, ma è la grazia di una rivelazione che trasforma la vita, la cambia, la converte.


E’ vero – solo l’amore è credibile – anche perché la fede cristiana accoglie  la rivelazione del Dio-agape e in questo Dio riconosce l’amore come la realtà che determina ogni cosa: l’amore è respiro, dimensione profonda, finalità concreta, legge interiore di vita: Dio-amore è tutto, è per tutto, è in tutto. Tocca l’universo cosmico – è « l’amor che move il sole e l’altre stelle (Paradiso XXXIII, 145)- perché coglie l’uomo: «l’uomo non può vivere senza amore [‘] La sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non si incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente» (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis 10) 
Ora, la verità dell’amore, cioè l’amore nel suo significato vero è donazione-accoglienza-comunione, secondo la recente enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate al n. 3.
La comunione appartiene alla verità dell’amore: senza comunione, niente amore vero e, dunque, senza comunione l’amore non è credibile, perché sarebbe amore senza ‘splendore di verità’.


Riportare l’amore alla sua verità significa andare alle sue vere radici,  al fondamento assoluto di questa esperienza che riempie di gioia la vita umana e ‘ sola ‘ la realizza e la compie, cioè Dio-amore. Perciò questa rivelazione ‘cambia’ la storia personale e comunitaria, non solo religiosa, ma anche ‘ inevitabilmente  e nel rispetto dell’autonomia delle realtà terrestri – quella civile.
Sia però chiaro per ogni cristiano: la fede crede ‘non che l’amore-è-Dio’, ma ‘che Dio-è-amore’. Il cristiano cioè si lascia istruire dalla rivelazione di Dio sull’amore che-Dio-è e che egli deve vivere, nell’obbedienza al comandamento: ‘amatevi come io ho amato voi’ .


Questo radicamento trinitario ‘della comunione come speranza’ è insistito nelle meditazioni dei nostri padri Vescovi ‘ ecclesia/communio de Trinitate – e non abbisogna qui di ulteriori annotazioni. Basti una affermazione lapidaria del Concilio: «La Chiesa universale si presenta come un popolo che deriva dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (LG 4). La comunità ecclesiale si ca¬ratterizza «come comunità di fede, di speranza e di ca¬rità» (cf LG 8), come spazio, cioè, dell’accoglienza e dell’esperienza del mistero di Dio . La riflessione svolta dai Vescovi, infatti, ‘ nell’intenzione programmatica del Convegno – è come il fondamento dello sviluppo delle considerazioni qui dedicate al ‘volto comunionale delle nostre Chiese per testimoniare il Risorto e dare speranza alla Calabria’, che si avvalgono dell’interessante contributo offerto dalle Istituzioni teologiche in Calabria nel Convegno annuale di Vivarium (Rivista di scienze teologiche) .


La tesi da sviluppare è: tutta l’esi¬stenza della Chiesa è plasmata dalla comunione e nella verità della comunione si gioca moltissimo (se non tutto) della credibilità della Chiesa. In realtà, proprio oggi, in un mondo che soffre dentro radicate e disperanti solitudini, l’amore dei cristiani, la loro comunione è realmente speranza: nel deserto dell’immunitas moderna  dei rapporti umani deve splendere, concretamente ‘ in forme pratiche ben visibili e identificabili ‘, la speranza umana della fraternitas cristiana. Le metafore bibliche della luce che non può stare sotto il moggio, ma sopra il lucerniere e del sale della terra che non può diventare insipido, sono ancora ‘metafore vive’ per dire la speranza cristiana nel mondo odierno. Urge però nuova consapevolezza per la missione (= cfr l’insistenza di Giovanni Paolo II per la ‘nuova evangelizzazione’.

 

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