Seconda domenica di Quaresima: Domenica della Trasfigurazione

La vita è un cammino verso una mèta. Ciascuno porta nel cuore aspirazioni, progetti e ideali a volte confusi. per poterli perseguire e realizzare si cerca qualche chiarezza, qualche presenza significativa, qualche segno che indichi la direzione, qualche sprazzo di luce che chiarisca ciò che solo si intravede.

Breve riflessione del Vescovo di Noto Mons. Antonio Staglianò

QUESTI E IL FIGLIO MIO PREDILETTO. ASCOLTATELO!
La Trasfigurazione (Mt 17,1-9)

Gesù si trasfigura sul monte. Si trasfigura, cioè “mostra la sua vera gloria”. Non è dunque un evento che induca a mascherare o a disorientare sulla verità. Al contrario, è una manifestazione, un’epifania della verità che è in Gesù, identica alla sua persona.  Il monte è simbolicamente il luogo da dove Dio manda il suo aiuto agli uomini. Questa trasfigurazione ha, dunque, a che fare con la rivelazione di Gesù (un uomo, veramente umano) quale “figlio di Dio nella carne”. Quest’uomo mostra dia vere una relazione particolare con il Dio di Israele: Mosè ed Elia stanno con Lui e Lui assomiglia molto a quel Figlio dell’uomo (descritto da Daniele) che verrà a giudicare i vivi e i morti nel giorno del giudizio. La gloria visibile in questo volto trasfigurato è manifestazione di un’essenza superiore, divina, quella stessa di Dio. Da qui, è anche testimonianza di una Nuova presenza di Dio nella vita degli uomini.
Le parole non bastano a contenere l’evento. Pensando a cosa possa essere accaduto in questa manifestazione viene la pelle d’oca: strabiliante la reazione dei discepoli, consolante la parola di Gesù. La paura sembra tramortire, è una situazione nuova, inattesa, un bagliore, uno splendore che acceca. Solo per alcuni, Gesù sceglie di anticipare qualcosa del suo inizio e del suo futuro, li fa partecipi di quella gloria che sarà pienamente rivelata nella sua resurrezione. Non è però ancora il tempo. Adesso è ancora il tempo del dolore, dell’estraneazione, del rifiuto e della morte. Gesù si trasfigura perché gli apostoli sappiano dove trovare la forza e il grembo della consolazione e della speranza nel tempo della più grande sofferenza che sta per venire: quel tempo di consegna e di dono che dal Getsemani al Calvario sarà la sua via crucis.
La trasfigurazione, dunque, davanti ad alcuni discepoli non fu un privilegio. No. Piuttosto una responsabilità per la missione, per la testimonianza da dare alla risurrezione: “Quel Figlio diletto da Dio” occorre seguirlo fino in fondo, anche e soprattutto nella situazione tragica della sua morte crocifissa. Dovrà tenerlo bene a mente soprattutto Pietro che già una volta aveva ricevuto da Gesù il rimprovero di “pensare secondo gli uomini” quando si era negato ad accettare la sorte di amore (ripudiato dagli uomini, beffeggiato e ucciso) verso cui il Figlio dell’uomo si dirigeva per fare la volontà del Padre.

 Succede spesso che vorremmo trattenere con noi tutte le belle esperienze e respingere ciò che ci procura dolore e sofferenza. L’entusiasta Pietro vuole perpetuare l’esperienza splendida che stavano facendo: vuole trattenere per sè e per i suoi compagni quella gioia che ora li inonda, perciò non pensa ad altro che a possederla totalmente. Vuole costruire una tenda, desiderare fermarsi, come bloccare il tempo. Esige che questa bella esperienza non finisca subito, ma duri, si stabilizzi come una tenda per accamparsi: hic manebimus optime.
Sì, è vero per tutti. Quando Dio ci incontra, vorremmo che la sua dimora presso di noi resti continua e stabile. C’era però bisogno di una trasfigurazione? Al Battesimo era già accaduta una manifestazione eclatante di Dio nel suo Figlio. La trasfigurazione accade nel bel mezzo della predicazione di Gesù, soprattutto dopo aver annunciato la sua passione e aver posto le condizioni per la sequela: forse c’era bisogno di ricapitolare e dare nuovo slancio a quel messaggio di morte assurde che li avrebbe sconfortati e dispersi, affinché non perdessero mai il sentimento di quanto Dio, li avrebbe ancora amati. Gesù non è come loro pure lo ammirano e lo vedono con gli occhi di credenti nel Messia: c’è di più in Lui, c’è una manifestazione incomprensibilmente e misteriosamente più grande, perciò i discepoli – anche disorientamento che vivranno – non devono perdere la speranza in Colui che pur perdendo la vita sulla croce ha il potere di riprenderla di nuovo.
La trasfigurazione testimonia che in questa faccenda di terra (storica, terrena) c’è il cielo in gioco (è faccenda celeste, divina, che coinvolge Dio stesso).
Il cielo è secondo la tradizione ebraica il luogo della residenza di Dio e se una voce viene dal cielo, sicuramente è quella di Dio, del Padre, che continua a siglare con gli uomini l’alleanza, che mette del proprio nell’edificazione del patto, che scommette parte di sè nella ricostruzione del cuore umano. Gesù conduce i suoi “fidati” sul monte per mostrare loro il Padre, per rinsaldare un avvenimento già successo, ma non ancora compiuto. Gesù insiste nel suo rapporto educativo con i discepoli, i quali si devono lascare educare nella conoscenza del Padre. La cosa che Gesù consoce meglio di ogni altra perché la viva nella sua persona: questo nuovo volto del Padre la cui irradiazione rende gli uomini veramente umani, li salva da ogni schiavitù, vecchia e nuova.
Sì, perché solo nella relazione con Dio splende nell’uomo la vera umanità. Nella trasfigurazione, in verità, non si è trattato di mostrare il volto di Dio, ma quel’intima unione tra Padre e Figlio che giustifica la realtà viva della umanità compiuta in Gesù, l’uomo veramente umano. In questo evento, Gesù educa alla relazione intima con Dio, il Padre di tutti e educa alla fede matura in Dio. L’evento è trinitario. Alcuni hanno visto nella nube il “conduttore” di Dio: lo Spirito che conduce l’amore del Padre verso il Figlio e quello del Figlio verso il Padre in unità di intenti e di azioni. 
“Li avvolse con la sua ombra…” è un tema già trattato nella Scrittura: Maria viene avvolta dall’ombra di Dio, dalla potenza dell’Altissimo perché nel mondo scendesse la salvezza. È ancora una volta lo Spirito il protagonista della pericoresi in un evento trinitario che vede il Figlio salire sul monte e il Padre scendere dal cielo. Dio rimane nel mistero, si rende presente, ma non guardabile, si può ascoltare. Cristo rimane con gli uomini, è visibile, è ascoltabile, è riconoscibile, è capace di portare con sè un peso che nessun altro era stato in grado di reggere. Ora si ritorna a valle, quella voce deve essere annunciata e ascoltata nella sordità dei morenti. Gesù chiede il silenzio, un silenzio temporaneo: finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti, finché, cioè tutto non sia compiuto.
Preoccupati di come vivere la nostra fede, arrovellati da tante inquietudini spirituali e morali, tormentati dall’incapacità ad essere comunione, lasciamoci condurre sul Tabor della fiducia, sorretti dalla sicurezza di non essere da soli nel combattimento della vita. E’ certo che è Dio a chiederci di costruire bene la storia del cosmo. E’ convincente un Dio, che non solo si mostra, ma s’impelaga nelle faccende dell’uomo e ci introduce nella luce di un mistero che va via via svelandosi. Questo Dio è affidabile. Con Lui è bello e doveroso costruire un affetto vero e matura che impegni la nostra vita nel dono di noi stessi, nelle tante forme della carità cristiana.

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