Carissimi figli dell’amata Chiesa di Noto,
Epifania è una festa tutta natalizia. Esprime quanto veramente a Natale è accaduto: il Figlio di Dio è nato nella carne degli uomini. Epifania è manifestazione, svelamento, dichiarazione senza equivoci. Quell’evento appartiene a tutti, è per tutti, ha un senso universale. I sapienti del mondo, da ogni parte della terra, convergono in quel punto, il quel territorio, giungono a quella grotta per adorare “la verità in persona o la persona della verità”. Anche il cosmo è coinvolto in questo riconoscimento. Si, realmente, Colui che è nato nella grotta di Betlemme è il salvatore. Porta una salvezza che rende ragione della bellezza dell’umanità di tutti, piccoli e grandi, pastori e magi. C’è una predilezione per i poveri che non esclude per nulla i ricchi e realizza armonia, comunione, giustizia e misericordia, donate a tutti gli uomini che Dio ama. Perciò elargite con abbondanza effettivamente a tutti gli uomini, perché Dio li ama tutti: solo qui c’è il fondamento dell’universale uguaglianza tra gli uomini, l’amore di Dio manifestato a Natale. Oh! Grandezza del mistero dell’epifania: siamo pensato dall’Eterno e in questo pensiero custoditi e amati da un Dio che mostra il suo vero volto di Abbà, di papà.
Perciò, dunque, se l’Epifania manifesta, rivela, mostra, espone il significato vero del mistero apparso sulla terra a Natale, da parte nostra occorre che rivestiamo occhi nuovi, per poter vedere, ammirare, contemplare. Non basta infatti che qualcosa si lasci vedere, è necessario una vista degli occhi capace di accogliere questa visione. Ecco perché l’epifania urge conversione del cuore, perché non si vede che con il cuore: è un cuore, ovviamente, non senza intelligenza, non senza la luce della sapienza. Resta però un cuore, che deve voler amare come il mistero esige, come l’annuncio natalizio richiede: non nelle astrattezze delle idee, ma nella carne della condivisione e della carità. Nel tempo natalizio non possiamo pertanto estetizzare il cristianesimo a tal punto da “godere del tempo datoci in questa vita” secondo i canoni imposti dalla società dei consumi e le frivolezze consumate alla ricerca del piacere per sé in faccia alla sofferenza degli altri. Il Dio nella carne non è il Dio delle idee. Con il Natale, infatti, ogni idea religiosa su Dio deve essere discussa e confrontata con quella carne che lascia contemplare Dio presente nel mondo come carità, partecipazione al dolore umano, speranza dentro i drammi della vita, luce di liberazione nelle tenebre delle alienazioni umane, sapienza di Dio nelle stoltezze sfiguranti la dignità delle persone deboli, ferite, afflitte.
L’Epifania, allora, rivolge a tutti lo stesso interrogativo del Natale: se sei un uomo, dimmi sei anche umano? Si. Perché nell’Epifania si svela il vero Dio e anche il vero uomo, la vera umanità: qui, in quest’uomo, veramente uomo, c’è la misura della mia umanità; qui in quest’uomo contemplo la bellezza della mia umanità e capisco anche – se percorro vie diverse e contraddittorie da questa umanità – quanto sia rischioso e deludente il cammino terribile che mi porta alla perversione umana, all’oscuramento di questa bellezza nelle brutture di una esistenza, sporcata dalle impurità del mondo (qualunque forma assumono, è sempre spazzatura, “monnezza”): in questa sporcizia infatti non si ama più l’altro, si arriva anche ad odiarlo; non si serve più l’altro, lo si asserve alle proprie logiche, interessi, piaceri; non si lavora più per la giustizia, si ledono invece i diritti fondamentali delle persone umane. Tutto il contrario dell’epifania che manifesta la bellezza del volto umano, quando in essi traspare il volto di Dio presente nell’uomo.
Epifania è riconoscere che non siamo noi a determinare cosa sia umano nell’uomo: anche questo sapere sull’uomo è un dono di Dio che si rende manifesto alla grotta di Betlehem, nel riconoscimento dei magi: qui c’è un uomo riempito d’Eterno, identico a Dio, il Figlio di Dio nell’uomo. Così, come a Natale abbiamo riconosciuto che non siamo noi a dover creare un Dio a nostra immagine e somiglianza, ma è piuttosto Dio che ci ha creati a sua immagine e somiglianza: è infatti Gesù l’immagine del Dio invisibile, per mezzo del quale e in visto del quale siamo stati creati e in virtù del quale tutto esiste di ciò che realmente esiste. Allo stesso modo, vale per tutti, per noi cristiani, e per ogni uomo che, sulla faccia della terra, porti un “volto umano” riconoscere nell’epifania del Figlio Dio nella carne la vera umanità dell’uomo.
Anche questo fa parte dell’annuncio natalizio. La “vera umanità di Gesù” è un fatto indubitabile. Il Figlio di Dio si è effettivamente inserito nell’umanità di tutti noi, l’unica esistente, per portarla alla sua pienezza e libertà. Dobbiamo ragionare così: Egli è l’uomo vero non perchè è “come noi”, ma piuttosto perchè la nostra umanità può essere “come la sua”. Egli è da sempre il prototipo dell’umanità, perchè l’uomo è stato creato “in”, “per mezzo”, “in vista” di lui.
La genealogia di Luca inserisce la nascita di Gesù in una lunga serie di nascite umane. Gesù è uomo: è “figlio di Abramo” (Mt 1,1), è del “seme di Abramo” (Gal 3,16), “figlio di Davide” (Mt 9,27; 12,23; 22,42), deriva da Israele “secondo la carne” (Rm 9,5). Gesù è il Figlio dell’uomo “nato da donna” (Gal 4,4,), cresce in mezzo agli uomini, imparando da loro (Lc, 2,52), esperimenta gioia, dolore, sofferenza, fame e… morte. Egli è veramente venuto “nella carne” (1Gv 4,2; 2Gv 1,7). Il suo mistero trascendente avvolge anche il destino della Madre, Maria di Nazareth, donna tra le donne che viveva sulla terra la quotidianità comune a tutti, con piena sollecitudine per il lavoro e i doveri familiari. In questa “normalità” dell’umano si sprigiona la potenza salvifica di Dio. Dio si manifesta non “fuori”, ma “dentro” l’umano, non come “contraddizione dell’umano”, ma come suo “compimento”: quanto più Dio si avvicina all’uomo, tanto più l’uomo è sè stesso. La fede nel Figlio dell’uomo realizza l’umanità e non la frustra, la porta alla sua “verità”, alla sua pienezza.
Il Figlio di Dio diventa uomo, perchè l’uomo possa essere “come Dio”, diventando veramente uomo. Nella fede cristiana, nella sequela di Gesù, la grazia di Dio è data all’uomo perchè egli riscopra se stesso, le sue sante origini e il suo soprannaturale destino, la sua grandezza in Dio. Si compie nel cristianesimo quanto ad Adamo non è stato possibile: essere con Dio come Dio, realizzando pienamente l’umanità degli uomini. Il “si” di Maria, definitivo e assoluto, è espressione dell’umanità vera. I peccati degli uomini sono il segno frustrante di una umanità non umana, ma schiava. L’umanità sta infatti nella “libertà” dei figli di Dio (Rm 8). La devozione mariana – e soprattutto la pietà popolare intorno a Maria- va cristianamente controllata proprio in relazione alla sua capacità di sviluppare attenzione all’umano dell’uomo e forza di cambiamento nella concreta quotidianità della vita.
Impariamo qualcosa di importante, dunque: l’uomo è debole, sbaglia e si dice “saggiamente” che errare humanum est. Tuttavia, la debolezza esistenziale dell’uomo non coincide né con la sua origine, né con il suo destino: perchè l’umanità deve qualificarsi a partire dalla caducità e non più doverosamente a partire dalla “fortezza” di decisioni libere e definitive? Cosa è “veramente umano”, tradire o restare fedeli? Quando si dice: “questo è un uomo”, quando si notano in lui “virtù” o “vizi”?
Con la venuta di Gesù, il futuro del futuro dell’uomo è ormai presente. Non deve meravigliare: l’incarnazione valorizza il presente perchè cala nel presente tutto il futuro possibile. La fede in Lui “inchioda” alla responsabilità di vivere la vita di ogni giorno con creatività e libertà, assumendo le difficoltà del quotidiano nella certezza che “Dio vive in mezzo a noi”, Egli è l’Emmanuele, “Dio-con-noi”. La nostra storia non è, allora, un susseguirsi più o meno interessante e neutrale di fatti che capitano, ma è storia di salvezza, storia “teologica” (=la storia di Dio con noi e la nostra storia con Dio). Ogni evento di conversione che porta a riconoscere le profondità di Dio nella vita, permette una rilettura del cammino passato e dona alle esperienze umane anche più dolorose il senso di una vicinanza particolare di Dio all’ esistenza, una traccia della sua premurosa accondiscendenza alla vita umana. «Aiutaci Signore a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore».
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