Nella seconda giornata del Convegno diocesano d’inizio anno pastorale che si chiuderà oggi, nella serata di ieri 28 settembre alle ore 18,00, il Vescovo Mons. Staglianò nella sua relazione durante l’assemblea diocesana ha comunicato alla sua diocesi alcune linee per una pastorale comune, in comunione con il Vescovo, le parrocchie e la Chiesa italiana. Il Vescovo ci ha esortato a «fissare lo sguardo su Gesù”, non con una presenza qualsiasi, ma una «presenza per servire»: è stato questo lo slogan che ha accompagnato il rinnovamento postconciliare in questa terra di Sicilia, – ha detto Mons Staglianò – per divenire “presenza” che contribuisca ad uno sviluppo autentico».
Le consegne ecclesiali della missione nella verità, si incarna nell’impegno educativo, compito proprio della Chiesa, messo al centro di questi dieci anni per le Chiese d’Italia; impegno educativo che è alla base anche dello sviluppo, come sottolineato nel documento dei vescovi sul Mezzogiorno. E’ stato sottolineato dal vescovo «l’ulteriore impegno a coniugare educazione e sviluppo costruendo – anzitutto attraverso l’azione e la testimonianza dei fedeli nei diversi campi della vita – «un’agenda di speranza per il futuro del Paese».
E’ stato richiamato il Sinodo diocesano per una focalizzazione ulteriore della missione nel movimento di conversione «urgente e necessario» che esso ha chiesto e che continua a chiedere a questa nostra Chiesa – ha affermato il vescovo – per un’effettiva accoglienza e testimonianza della Parola: passare «da una Chiesa dispersa nelle molte attività a una Chiesa che ritrovi le cose essenziali della fede e sappia comunicarle come pellegrina sulle strade dell’uomo, mediante un radicamento nel territorio». Mons Staglianò ha fatto notare che «nel nostro Sud – terra della “modernità incompiuta” – possiamo ritentare di rimetterci in sintonia con il Creatore, di ritrovare nella contemplazione una forza sorgiva per una vita più trasparente, più casta, più leggera, più poetica…». Come hanno rilevato i vescovi italiani, «il Mezzogiorno può divenire un laboratorio in cui esercitare un modo di pensare diverso».
Il Vescovo con forza mista a dolcezza ha sottolineato la caratteristica e l’importanza della pietà popolare, definendo i tratti. Un primo tratto è quello di una fede semplice nel Signore, malgrado le prove della vita. Tante persone, tante donne, tanti anziani, tanti ammalati ti dicono quant’è difficile la vita, quant’è pesante la sofferenza, quant’è brutta la solitudine, ma subito aggiungono nelle varie espressioni dialettali una profonda confessione di fede – «C’è il Signore, il Signore c’è!». Il Vescovo ha voluto subito chiarire che la pietà popolare nelle sue forme più vere non è solo fenomeno antropologico, ma è anzitutto riflesso di una percezione credente, di un grido lanciato a Dio, di una sapienza che fa crescere, di esempi positivi messi al centro della vita». A volte certo, – ha fatto notare il Vescovo – «ci sono aspetti da educare e da correggere, soprattutto quando prevale una mentalità contaminata da fatalismo e dalla magia».
Un secondo punto trattato dal Vescovo è stato quello dell’educazione, ricordando a noi che siamo chiamati ad educarci e ad educare – ha detto il Vescovo – «ad un sedere a mensa affinato dall’ascolto, dalla passione educativa, dalla cura del legame tra il rito e la vita; un sedere a mensa affinato quindi dalla capacità di lavorare insieme accogliendo gioie e dolori di tutti, sbilanciando eucaristicamente le nostre comunità verso il mondo e verso i prediletti dal Signore», come si sta tentando di fare nelle comunità di parrocchie. Infatti ha fatto notare il Vescovo che «l’esperienza lo conferma: il lavoro comune e lo sbilanciamento verso il territorio vengono facilitati da rapporti più conviviali e da celebrazioni più “vere”, capaci di «manifestare tutto l’essere della Chiesa».
A conclusione il vescovo ci ha consegnato alcune sfide, un compito per casa, quello di creare sempre più un vero laboratorio ecclesiale, educativo, sociale accogliendo alcune sfide che si aprono davanti a noi che se accolte – ha detto il Vescovo – «con cuore aperto, non ci permettono di restare inerti: ci chiedono partecipazione, cura, testimonianza». La prima sfida è quella di far diventare il Mezzogiorno un laboratorio per l’intero Paese, delle Chiese del Sud, chiamate a dare un apporto a tutte le Chiese d’Italia situandosi nelle sfide e valorizzando le risorse.
La nostra Chiesa locale un Laboratorio. Per ultimo il Vescovo pensa concretamente come la nostra Chiesa possa diventare un «Laboratorio che accolga l’invito e assomigli a quello di Gesù con i suoi discepoli; un Laboratorio in cui si intrecciano vita, missione, discernimento. Un Laboratorio che parte da un impegno quello di riavviare il cammino con una rinnovata sinergia nella comunione. Esso si concretizza – ha affermato Mons Staglianò – «non solo nelle comunità di parrocchie, ma anche nel senso sempre più vivo della Chiesa locale con i suoi momenti forti e con una formazione unitaria promossa dall’Ufficio Catechistico, dal Centro liturgico e dalla Caritas diocesani. C’è un rinnovato slancio missionario, che spazia dalla cultura (il Convegno di bioetica) al sociale, passando per segni di carità esemplari capaci di lievitare i territori. Ci sono i documenti del magistero come luci che orientano il cammino. E, poi, mai va dimenticato, solo «camminando si apre cammino»… Ecco perché sarà rilevante l’apporto fattivo e cordiale di ogni comunità e ministero; ecco perché parliamo di laboratorio».
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