Il Triduo pasquale avvicina ognuno di noi al centro del Mistero di Cristo e della nostra salvezza, donandoci fino alla fine del mondo l’opportunità di riflettere su tre aspetti fondamentali della redenzione dell’uomo: la passione dolorosa, il sepolcro e la resurrezione di Gesù. Sono episodi della vita di Cristo che diventano decisivi anche per la vita di ognuno di noi, se – e solo se – li facciamo nostri, li accettiamo nella nostra storia come l’unico itinerario possibile che ci consenta di non ridurre l’umano al solo umano e ci permetta di far rinascere “l’humanum magnificum “ che dimora nel cuore di ogni uomo e lo rende capace di amare e di perdonare l’altro da sé, infinitamente di più, al di là di ogni malvagità e meschinità del vivere dei nostri tempi.
E’ una esplosione di libertà straordinaria, che ci rende capaci di seguire Cristo generosamente e di aderire a Lui, anche quando questo significa accettare nel proprio quotidiano la Croce della morte prematura di una persona cara, della malattia incurabile di un genitore, della perdita di un figlio, di una condizione economica precaria, del tradimento di un amico, dell’emarginazione della società, di una guerra ingiusta e insensata, di un razzismo violento, della stessa depressione dell’anima.
E’ necessario, però, aprire con sincerità il cuore al dramma della Passione per riscoprire veramente nel silenzio dell’anima la centralità del sacrificio di Gesù e dell’esperienza dell’“Amore che si dona” nella libertà e nell’umiltà del cuore, nella consapevolezza che la sofferenza fisica e morale, realtà che prima o poi interpella tutti, non deve farci paura perchè Gesù è sempre in cammino con noi e apre le sue braccia per accoglierci.
In realtà, Egli si presenta nel nostro quotidiano: dobbiamo, dunque, imparare a riconoscerlo in tante presenze, rendendo eucaristici i nostri gesti e facendo esperienza dell’amore condiviso.
Spesso, noi non crediamo che Gesù sia davvero presente in tutti i nostri fratelli, nei poveri che ci interpellano, nei malati che chiedono il nostro aiuto, nelle sventure che affliggono la nostra esistenza. Non crediamo veramente che proprio mediante le circostanze dolorose o sconcertanti della vita il Signore ci parli e ci renda partecipi del suo mistero di redenzione. Invece, proprio in quelle “piaghe” nostre e dei nostri fratelli che non ci sembrano affatto gloriose dovremmo rendere testimonianza della misericordia e dell’Amore salvifico di Gesù per noi morto e per noi risorto. Infatti, se portiamo nel nostro corpo e nel nostro cuore la sua morte, se offriamo la nostra sofferenza silenziosamente a Dio, se sappiamo farci compagni di cammino per chi è immerso ancora nella notte, se ci serviamo a vicenda, se ci doniamo gratuitamente, amando con i fatti e non soltanto a parole, possiamo allora essere il prolungamento della santa umanità di Cristo e trasformare anche la più dilaniante esperienza di desolazione e di dolore nell’eterno fecondo di bene e del germe rivoluzionario della Passione redentrice di Gesù.
Sopportare con forza i sacrifici e le fatiche di un quotidiano crocifiggente che conosce il buio dello scoramento e della prova significa essere immedesimati nell’esperienza del Crocifisso: nel suo dinamismo tragico e, ad un tempo, vittorioso. La Croce, infatti, grida ad alta voce che Dio ha talmente amato ognuno di noi da incarnarsi e opporsi ad ogni ingiustizia fino a morire perché trionfi il bene e l’uomo decida di servire la causa dell’Amore. Per questo Gesù ha accettato di essere inchiodato alla Croce, non proprio per aggiungere dolore a dolore, quanto piuttosto per “vincere ogni dolore” e ogni morte, togliendo al dolore e alla morte il suo pungiglione, cioè la condanna della disperazione, del non senso, della mancanza di speranza.
E’ facile cedere alla tentazione di credere che si cooperi alla salvezza del mondo e alla venuta del Regno di Dio soltanto realizzando grandi e importanti opere. In realtà, niente vale quanto una sofferenza accettata con umiltà e offerta con amore in unione alla Passione di Cristo. Lasciarsi compenetrare dal sentimento della Croce, richiede una vera e propria conversione della nostra vita, un totale cambiamento di mentalità, la testimonianza di una fede più vera, più umile e più piena. Nel raccoglimento del Sepolcro di Cristo, questa fede trasforma le nostre sofferenze in suppliche silenziose davanti agli occhi di Dio, fiduciosi che – pur nella debolezza e impotenza del nostro esistere, pur nella brutalità del dolore, attraverso l’offerta delle nostre mani inchiodate alla Croce-, diveniamo potenti per grazia di Dio. Il percorso della prova, allora, santifica la nostra vita e rende salvifico il tempo dell’attesa della Risurrezione di Cristo perché genera finalmente un’umanità nuova.
L’evento pasquale ci costringe, dunque, all’incontro con il dolore e con la morte che, senza dubbio, scuote la nostra fede nella risurrezione. Paradossalmente la resurrezione di Gesù che dovrebbe confermare la nostra fede, al contrario la mette ancor più alla prova: è da essa che prende il via la nuova vita di colui che ha fede. Non siamo cristiani perchè crediamo al peccato, alla croce, alla sofferenza ed alla morte, ma perchè crediamo al perdono, alla gioia , alla liberazione, alla vita, alla resurrezione.
“E’ il Risorto”: lo gridi il nostro cuore, con gli occhi sgranati e pieni di meraviglia. Non c’è più tempo per la morte: la fede nella risurrezione è come seme intorno a cui si sviluppa e cresce una nuova vita, è la sostanza da cui la nostra stessa vita viene coinvolta, assorbita, tramutata, fino ai comportamenti più semplici, banali, quotidiani. La risurrezione di Gesù – grembo sicuro di ogni nostra risurrezione -, è la forza che ci fa superare le solitudini, solo apparentemente invincibili, e ci rende capaci di amare in modo nuovo, è rinnovamento dello spirito, energia vitale, potente consolazione dell’anima. “E’ il Risorto”, il credente ora sa della vittoria sicura sul male e sulla morte.
Abbiamo mai consentito alla luce della risurrezione di penetrare nel più profondo intimo di noi stessi? Abbiamo permesso al Risorto di rischiarare le nostre profondità più inaccessibili? Abbiamo percepito lo Spirito del Risorto come vittoria su ogni nostra solitudine?
E’ vero, la nostra fede cristiana è davvero tale solo quando accettiamo e confessiamo la risurrezione di Gesù. Paradossalmente è più facile essere vicini a Cristo il venerdì santo, quando soffre, perchè tutti in fondo facciamo esperienza del dolore. Più difficile è essergli vicino quando risorge, perchè questa è una esperienza a noi estranea, un dono eccedente, che richiede un’adesione che cambia tutta la nostra esistenza.
Risorgere con Lui significa dare un senso al proprio dolore, riuscire ad attraversarlo, a motivarlo, riuscire a farlo illuminare dalla luce di Cristo risorto, riuscire a credere che Lui, da uomo, condivida i nostri dolori perchè ha un cuore di carne.
Ma quando il dolore continua la sua costante presenza nella nostra vita, quando pensiamo alla morte e al dolore come ad un ineluttabile appuntamento con il nulla e non come apertura all’eternità, è davvero possibile trasformare il nostro dolore nella gioia dell’annunzio pasquale?
Senza dubbio, la vita cambia quando riconosciamo nel nostro cuore e testimoniamo nelle nostre azioni che la morte e il dolore sono stati sconfitti: non rappresentano più un ostacolo invalicabile, perché la risurrezione è “qui ed ora”. In questa fede ci si lascia ferire veramente il cuore dall’amore ardente verso Dio e verso l’altro, il mio prossimo, il mio fratello. L’amore poi si alimenta al mistero della croce e fa fiorire le opere della carità. “Poi”, cioè alla luce del Risorto, il Crocifisso non è più “il maledetto che pende da un legno”, ma è “Colui che è”, il Figlio eterno nel quale il Padre si compiace, dicendoci di seguirlo. La fede nella risurrezione è sequela, vita risorta.
San Corrado, nostro patrono, lo ha testimoniato nella sua esistenza ed è appena per questo che noi lo amiamo e gli chiediamo di amarci.
Maria Scala del Paradiso ci sostenga nel nostro cammino di cristiani e infonda in noi il calore della consolazione nelle inevitabili prove e nelle ricorrenti difficoltà della storia umana, donandoci il coraggio di portare ciascuno la nostra croce con umiltà, fiducia ed abbandono in Dio, certi del suo sostegno e della gioia che solo una vita vissuta all’insegna dell’amore oblativo può dare. E’ l’agape che vince la morte, perchè l’amore è più forte della morte.
+ Antonio, Vescovo di Noto
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