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‘Adulti testimoni della fede, desiderosi di trasmettere speranza’

Con questo tema si è celebrato a Pesaro dal 20 al 23 Giugno  il XLV Convegno Nazionale dei Direttori UCD. Per la nostra Diocesi hanno partecipato don Rosario Gisana, don Franco Agosta, don Adriano Minardo.  Il sottotitolo recitava “Responsabilità  e formazione della comunità cristiana”. Il convegno non è stato un evento isolato, piuttosto uno dei momenti che troverà il suo culmine nel grande Congresso Eucaristico che si celebrerà ad Ancona nel prossimo mese di Settembre. Sono stati 4 giorni di intenso lavoro tra relazioni, tavole rotonde, comunicazioni. Giorno per giorno i lavori sono stati preceduti dalla lettura biblica orante, tenuta da don Dionisio Candido. Dopo il caloroso e gioioso saluto di mons. Piero Coccia, Arcivescovo Metropolita di Pesaro, ha introdotto i lavori don Guido Benzi, Direttore dell’Ufficio Catechistico Nazionale, soffermandosi sulla sfida educativa ripartendo dagli adulti. Ha seguito mons. Semeraro che ha presentato gli orientamenti pastorali per il prossimo decennio “Educare alla vita buona del Vangelo”. Martedì 21, la relazione è stata tenuta da Mons. Andrea Lonardo che ha cercato di mettere in relazione i tre “munera” della Chiesa (annuncio della Parola, liturgia, carità e servizio)  con i cinque ambiti emersi nel convegno di Verona come dimensioni della vita umana (affettività, sofferenza, festa, famiglia e scuola, vita pubblica). La terza relazione, giovedì 23, è stata tenuta da don Luigi Girardi su: “La celebrazione domenicale luogo educativo e rivelativo: vera catechesi in atto”. Molto interessanti sono state le tavole rotonde che dopo brevi presentazioni di 15 minuti dei vari relatori, hanno visto un fiorire di spunti e provocazioni positive da parte dei presenti in sala e dei relatori. Un’altra soluzione alquanto felice è stata quella delle assemblee per ambiti di vita. I partecipanti sono stati suddivisi in cinque assemblee, scelte già precedentemente al momento dell’iscrizione, che hanno avuto per oggetto cinque ambiti: vita affettiva e catechesi, fragilità umana e catechesi, lavoro festa e catechesi, tradizione e catechesi 1 (educare la fede in famiglia; tradizione e catechesi 2 (cultura e media). All’interno delle varie assemblee i vari moderatori hanno fatto una introduzione alla quale  è seguita una esperienza significativa e il lavoro a piccoli gruppi; questa fase è stata quella più importante nella quale sono venute fuori dal dialogo e confronto le varie considerazioni e proposte che sono confluite nell’unica sintesi presentata prima della conclusione dei lavori. Dal convegno è emersa l’urgenza che tocca la Chiesa e ogni comunità di polarizzare gli sforzi dell’azione educativa verso gli adulti; sono loro che hanno maggiore possibilità di educare le giovani generazioni facendo passare stili di vita nuovi più consoni al Vangelo e ai valori primari dell’uomo (rispetto della libertà, della vita, dell’ambiente).
Questi “adulti” sono stati in particolare identificati in coloro che già in qualche modo hanno contatto con la parrocchia (animatori pastorali, catechisti, collaboratori, ecc…). Da loro, può partire, il passo successivo verso una cerchia più ampia di persone. Il convegno è stato molto importante non tanto per grosse novità e originalità di contenuti quanto per aver risvegliato un certo entusiasmo e la speranza che si può sempre ripartire e riproporre il messaggio del Vangelo che risuona nella storia da duemila anni ma sa essere sempre capace di entrare nella vita dell’uomo come la più bella novità che si possa mai accogliere.  
 

CAMMINI D’EUROPA. SULLE ORME DI PAOLO. SI INAUGURANO NUOVI ITINERARI TURISTICI

Il network europeo Cammini d’Europa, al quale il territorio siracusano ha aderito lo scorso 19 marzo con un folto gruppo di enti locali, strutture regionali ed associazioni culturali, propone una seconda tornata di attività atte a promuovere gli incantevoli scenari naturalistico-archeologici nostrani legati alla “Via di San Paolo”.

Ricordiamo che la rete Cammini d’Europa è partecipata da istituzioni e territori attraversati da itinerari dal grande valore storico, artistico, culturale e spirituale, e persegue una strategia integrata e congiunta di promozione culturale, turistica e di sviluppo territoriale dei territori partner, basata su azioni e progetti rivolti sia alla promozione internazionale degli itinerari e dei loro servizi di accoglienza turistica sia alla creazione di specifici prodotti turistici legati alle realtà territoriali.

Il territorio siracusano, sulla scorta del soggiorno dell’Apostolo Paolo di tre giorni, come documentato agli Atti degli Apostoli , è dunque interessati al recupero e alla valorizzazione della Via di San Paolo e delle sue molteplici e possibili diramazioni nell’intero territorio provinciale, concorrendo a creare un partenariato stabile e a sviluppare un programma di attività specificamente rivolto al rafforzamento e allo sviluppo della Via in provincia di Siracusa e in un’ottica di relazione sia a sud, tramite Malta verso Damasco che a nord, verso Roma.

Il programma per questo secondo itinerario che si intende promuovere prevede quattro giorni di intensa attività, a partire da domenica 26 giugno alle 18, quando si visiteranno alcune delle chiese-simbolo di Melilli, per poi recarsi alla Pirrera di S. Antonio, di recente individuata quale destinazione europea di eccellenza.

Il giorno seguente, lunedì 27 giugno, è prevista nella Basilica di San Foca a Priolo Gargallo, alle ore 19, un convegno a cura della Biblioteca Arcivescovile di Siracusa “Alagoniana” dal titolo: “Il mistero della luce nella Basilica di San Foca. Un luogo “mistico”. Sulle orme dell’esperienza mistica di San Paolo.” I relatori del convegno saranno Monia Intrivici, architetto e studiosa del complesso architettonico della Basilica, Mons. Giuseppe Greco, direttore della Biblioteca Arcivescovile Alagoniana, e Don Aurelio Russo dell’Arcidiocesi di Siracusa. Il convegno sarà moderato da don Ignazio Petriglieri, Vicario Episcopale per la Cultura della Diocesi di Noto.

Il martedì 28 giugno è dedicato alla zona sud della provincia. Dopo la visita alla Cittadella dei Maccari e alla cappella bizantina “Trigona” presso l’Oasi di Vendicari gestita dall’Ufficio Provinciale di Siracusa dell’Azienda Foreste Demaniali, diretta da Carmelo Frittitta, si salirà a Noto dove alle 12,30, presso il Seminario Vescovile, è previsto un incontro con gli operatori turistici, ai quali verranno illustrati i capisaldi del progetto “Sulle orme di Paolo” ed i vantaggi derivanti dalla prospettiva di accreditamento delle strutture della filiera turistica al network, solo a seguito di un concreto consolidamento degli itinerari turistici proposti. Quindi, la carovana si sposterà al Santuario della Madonna della Scala, per poi raggiungere Palazzolo Acreide.

Nella cittadina iblea, alla vigilia del giorno dedicato a San Paolo, vi sarà alle 18 l’inaugurazione di una esposizione realizzata dall’Associazione Culturale “Exedra” riguardante elementi cari al culto di San Paolo. Quindi, seguendo il programma dei solenni festeggiamenti organizzati dal Comune di Palazzolo, ci sarà alle ore 20 la tradizionale Sciuta ra cammira, o Svelata.

Il programma seguirà il giorno dopo, il 29 giugno, i festeggiamenti organizzati in loco, a cominciare dalla raccolta e benedizione delle cuddure, i tradizionali pani votivi sul sagrato della Basilica di San Paolo, per poi uniformarsi al calendario delle attività previste.

Ricordiamo che il progetto di adesione ai Cammini d’Europa registra la partecipazione di 13 Comuni della provincia (Siracusa, Avola, Floridia, Melilli, Noto, Solarino, Buccheri, Buscemi, Canicattini Bagni, Cassaro, Ferla, Palazzolo A., Sortino), dell’Arcidiocesi di Siracusa e della Diocesi di Noto e dei seguenti enti: Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Siracusa, Galleria Interdisciplinare Regionale di Palazzo Bellomo, Dipartimento regionale Azienda Foreste Demaniali – Ufficio Provinciale di Siracusa, Sistema Transnazionale G.A.T.- S.C.E. Euromed, Unione dei Comuni “Valle degli Iblei”, Camera di Commercio di Siracusa, C.U.T.G.A.N.A. Centro Universitario per la Tutela e la Gestione degli Ambienti naturali e degli Agroecosistemi, Consorzio Universitario Archimede Siracusa, Associazione Maltesi in Sicilia “San Pawl Missierna”, Consorzio Universitario Mediterraneo Orientale, Associazione Culturale “L’isola del dialogo”, Servizio Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi”, Servizio Parco Archeologico Leontinoi e zone limitrofe, Associazione Syraform, Cooperativa Etica Oqdany, GAL Eloro.

Il coordinamento logistico e tecnico del partenariato è affidato a CO.SVI.S. Consorzio per lo sviluppo di Siracusa e al GAL Val d’Anapo. Il coordinamento scientifico è curato dall’Assessore alle Politiche Culturali del Comune di Siracusa, Mariella Muti, che ha sposato la causa fin dagli inizi e rappresenta l’anima e la memoria storica del progetto.

Per l’organizzazione del presente secondo evento di promozione legato alle orme dell’Apostolo Paolo si ringraziano in particolare i seguenti enti, che hanno fattivamente collaborato alle programmazione e realizzazione delle attività:

Arcidiocesi di Siracusa – Biblioteca Alagoniana

Associazione Culturale Exedra

Comune di Melilli

Comune di Noto

Comune di Priolo Gargallo

Comune di Palazzolo Acreide

Comune di Siracusa – Assessorato alle Politiche Culturali

Cooperativa Etica Oqdany

CUTGANA

Diocesi di Noto

Dipartimento Regionale Azienda Foreste Demaniali – Ufficio Provinciale di Siracusa

Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Siracusa

 

 
 
 

Nella fossa di Sgarbi dovevo parlare di Dio Padre

Il dott. Mauro Pizzighini, direttore del settimanale di attualità pastorale “Settimana”, ha chiesto al nostro Vescovo, mons. Antonio Staglianò, di narrare quanto accaduto nel corso della trasmissione televisiva, condotta dal critico d’arte Vittorio Sgarbi, andata in onda su Raiuno il 2 Maggio 2011.

Riproduciamo, integralmente, l’articolo pubblicato dal predetto settimanale nel numero 23 del 12 Giugno 2011 alle pagine 14-15 
 

Lo studio allestito  era  bellissimo e  oltremodo  significativo:  una specie di ricostruzione dell’areopago di Atene. Mi guardai  intorno e cercai dove  fosse  la statua  dedicata  al Dio ignoto. Il riferimento a san Paolo mi rimandò intuitivamente al suo “insuccesso” e perciò mi ritornarono in mente  le preoccupazioni di quando  venni  a sapere  dai  giornali  l’intenzione di Sgarbi di invitarmi  al suo nuovo programma culturale in prima serata  e in diretta su Rai1 dal titolo Il mio canto libero. La televisione esibisce troppo e comunica poco e io, come vescovo della Chiesa  cattolica,  non  ho nulla  da esibire  e tantissimo  da  comunicare. Così pensai e perciò mi rivolsi ad amici per  chiedere consiglio  e  manifestare  le  mie  perplessità e  il timore che «qualunque fosse stato l’esito, in un modo  o in un altro  mi sarei scottato».  Partecipare sarebbe stato  per me un atto  di libertà  rispetto  a certi tatticismi  che pur sono fondati  su ragioni sapienti. Lo strumento televisivo è vorace, quelli  dei mass media  in genere  sono spazi difficili e pericolosi  da abitare.  Essere presenti è però  importante: nei mass media pontificano tutti sul cattolicesimo e su Dio, specialmente  i razionalisti atei che, scrivendo e parlando di cristianesimo a modo loro, realizzano  introiti  economici consistenti. Per  lo più si tratta di ricostruzioni infondate e bizzarre del cristianesimo e del cattolicesimo, su cui poi si spara  addosso,  spesso ridicolizzandole. Su questo non mi pare ci sia par condicio.  Per non parlare di chi  con tutte  le buone  intenzioni – vuole  rifondare la fede  e “spara” contro  i dogmi fondamentali della tradizione cristiana,  destrutturandoli e “spiegandoli con razionalità”. Peccato che la spiegazione “razionale”  portata sia  in  realtà   lo  svuotamento  della  loro  verità,  con tutte  le conseguenze per  la  spiritualità e  il cammino  di fede  dei  cristiani  e dei cattolici.

 
La crisi dell’umano
D’altronde è necessario oggi per l’evangelizzazione  abitare – con prudenza  e competenza – il mondo  dei mass media. I vescovi italiani lo ribadiscono  da anni  e anche  negli ultimi Orientamenti pastorali del nuovo decennio su Educare alla vita buona del Vangelo ne parlano  con insistenza.  Nel frattempo, sotto l’ispirazione   del  magistero  di  Benedetto XVI, viene costituito un Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione  che di per  sé implica  un nuovo investimento dell’intelligenza della fede in territori oramai  post-cristiani, mentre l’iniziativa promettente del Pontificio  consiglio per la cultura  denominata “Cortile dei  gentili” mostra  quanto sia determinante oggi aprire  il dialogo con tutti gli uomini che  sono  alla  ricerca  della  verità e si pongono le domande fondamentali sul senso della vita e sul significato del dolore, della morte, dell’ingiustizia. Una nuova santa alleanza viene auspicata  dal cattolicesimo tra credenti e “non-credenti pensosi” per ritornare a pensare insieme  sulle cose che veramente valgono  per l’umano dell’uomo,  oltre  la deriva  superficiale dell’appiattimento sulla rissosità della politica  e sull’immoralità diffusa,  perpetrata  nella   mercificazione dei corpi umani  alla smaniosa  ricerca del piacere  per sé in faccia al dolore degli altri. La  crisi vera  che  stiamo  vivendo non è tanto  economica o finanziaria, ma è più profondamente crisi culturale, in senso  forte  è crisi dell’umano. L’umano è ridotto alle condizioni materiali della propria esistenza, mentre l’individualismo  crea competitività violente  da “homo  homini lupus”. Esiste allora una “controversia sull’umano” – come amava dire Giovanni  Paolo  II  – che  il cattolicesimo oggi deve affrontare con maggiore consapevolezza.  Perciò urge che mostriamo  dappertutto che il cattolicesimo è una concezione del mondo  e della vita, una visione dell’uomo e del suo destino  storico  e tutto  questo  lo è in intelligenza  e razionalità. Il cattolicesimo ha tanto logos da offrire  e chiede  che si allarghino  gli spazi della razionalità della fede, la quale può aiutare ogni forma della ragione  a recuperare le sue dimensioni sapienziali, oltre il riduzionismo della versione solo scientista della ragione. È l’invito pressante di Benedetto XVI, sin dall’inizio del suo pontificato.
Il Dio dei cristiani
In questo contesto  di motivazioni ideali, piuttosto concrete per la nuova evangelizzazione e per l’iniziativa culturale della  Chiesa  cattolica  (dopo il convegno  di Palermo  è nato allo  scopo  il Progetto culturale della Chiesa italiana,  di cui sono stato  per un decennio teologo  consulente), la proposta che Sgarbi mi fece mi sembrò un’occasione provvidenziale: il programma era strettamente culturale (non dunque di spettacolo); il tema era  “Dio”  e a parlarne avrebbe invitato  Matthew Fox (teologo  che, rievocando il gesto di Lutero, appose anche  lui 95 tesi al portone della Cattedrale di Wuttemberg), un  filosofo ateo (che peraltro mi fecero scegliere)  e poi Morgan  (cantante a me sconosciuto, ma conosciutissimo dai giovani per certe sue posizioni esistenziali  disorientanti); lui stesso avrebbe parlato di Dio in tre  soliloqui  interpretando opere  d’arte  (per lo più Caravaggio). Io avrei dovuto  dialettizzare con tutti, “mantenendo le posizioni cattoliche”, cercando di mostrare cioè che il cattolicesimo ha ragioni da vendere, argomentazioni razionalmente condivisibili anche da chi non crede come noi o non crede  affatto. Il dibattito, dunque, sarebbe stato culturale e non per questo  avrei dovuto mettere tra parentesi la mia fede. Anzi,  Sgarbi  voleva  proprio che la confessionalità della fede risultasse culturalmente apprezzabile sui vari temi trattati nelle trasmissioni  programmate (su Dio, sulla bellezza, sulla verità, sulla giustizia) e per questo aveva inteso invitare  un vescovo: voleva il cattolicesimo istituzionale, per così dire. La cosa sembrò buona anche agli amici cui mi rivolsi, benché  tutti  fossero preoccupati della personalità debordante e “individualisticamente solista”  di  Sgarbi.  Il  contenitore  era però  una  buona   occasione  per  entrare  in un “cortile  dei gentili” organizzato  dai gentili. Avrei dovuto sostenere contro Fox che il cattolicesimo non è l’ideologia del peccato originale con la quale si terrebbero compresse  le coscienze delle persone, ma piuttosto un’esperienza di fede storica  e liberante che sa bene  della fragilità umana  e delle sue profonde ferite, ma ha fiducia nell’uomo e nelle sue potenzialità redente  dalla  grazia  di Dio  in Cristo Gesù. Questa grazia viene sicuramente  – come  lui sostiene  – “prima di ogni peccato”.  E d’altronde “original blessing” (In principio era la gioia, il titolo  del suo libro  recentemente  ripubblicato in italiano)  non è una  tesi  anticattolica: perché,  a  volerla dire tutta,  proprio il cattolicesimo nel dogma cattolico dell’Immacolata  Concezione  (l’unica   donna preservata dal peccato originale) mostra che più antica del peccato originale è la misericordia di Dio e il suo pensiero gioioso e grazioso per ognuno di noi (siamo pensati e amati nel Verbo eterno di Dio in Dio). Senza dire che il cristianesimo non è gnosticismo e, perciò, per il cristianesimo, non siamo stati creati a causa di un peccato metastorico, ma siamo stati creati nella benedizione di Dio e il peccato originale si configura come un fatto storico e reale (nel più remoto dei tempi, inattingibile alla ricostruzione storiografica, ma invece evidente nella considerazione teologica) solo al capitolo terzo della Genesi. Anticattolico è, semmai, il suo panteismo che, alla ricerca di una nuova spiritualità cosmocentrica, non distingue più tra Dio e il mondo e, volendo superare il dualismo, ne confonde la differenza reale. In realtà non è necessario il panteismo per ritornare a dare la dovuta “sacralità” alla natura e alla creazione di Dio, contro un certo antropocentrismo prometeico moderno che nulla ha a che fare con l’antropocentrismo cristiano: l’uomo è posto al centro del giardino per coltivarlo e non per sfruttarlo ed esserne predatore. Il disastro ecologico cui stiamo assistendo trova l’ultima causa e la sua vera origine nell’uomo dimentico di Dio, nell’uomo divenuto vorace perché ha estromesso i comandamenti di Dio dall’orizzonte di senso delle sue attività umane. Questa è la sacrosanta
verità. Ritornare allora al Dio dei cristiani è la scommessa vera per il futuro dell’ambiente, anzitutto perché il vero fondamento di una sana ecologia è propriamente l’uomo aperto al dono, al riconoscimento dell’altro, l’uomo agapico, ovvero il cristiano rigenerato dallo Spirito di Cristo, l’uomo nuovo di cui parla s. Paolo e di cui il cattolicesimo si impegna a declinare le conseguenze operative e morali nella persona  mana, nella società e nell’impegno storico a tutti i livelli. Questo Dio – che nel linguaggio della tradizione  cristiana ci viene consegnato come il Padre del Signore nostro Gesù Cristo che dona lo Spirito – non ha caratteristiche sessiste e pertanto non può propiziare nessuna forma di maschilismo. D’altro canto anche la prima tesi di Fox “Dio è padre ed è madre” non può suonare anticattolica, poiché di fatto sono abbondanti nella Bibbia le espressioni materne (o al femminile) con le quali viene descritto il rapportarsi di Dio al  mondo e al suo popolo: “come una madre consola suo Figlio, così avrete consolazione in Gerusalemme”, mentre la misericordia del Padre “ricco in misericordia” viene plasticamente comunicata con un linguaggio estremamente femminile, con “gli uteri di misericordia”. Il nostro Dio Padre “materno” – al di là dei nomi cui siamo costretti per non essere condannati a tacere (s. Agostino) – ha la verità e il significato di quanto Gesù ci ha mostrato, perché lui, il Cristo, è la rivelazione del Padre: “Filippo chi vede me vede il Padre”. Padre allora vuol dire l’autorevolezza. Allora, chi crede in Cristo, il Figlio eterno nella carne umana, partecipa alla vita filiale di Gesù, riceve il dono Spirito Santo che gli fa gridare “Abba-Padre”. Conosce Dio in modo nuovo.
Vorrei procedere schematicamente, per esemplificare il ragionamento:
a. Secondo la rivelazione di Gesù, “Padre” è il nome con il quale conviene rivolgersi a Dio. Il termine “Dio” è troppo generico, rischia di essere astratto. La fede cristiana è, invece, un incontro personale con un Dio che ha un volto, parla, ascolta, agisce nella storia, come creatore dell’universo, come amico degli uomini e delle donne di tutti i tempi, per i quali offre salvezza, liberazione, gioia, pace.
b. Il Padre non è lontano, distante: egli è Dio e “Dio è amore”, dialoga, comunica, si fa sentire, è compagno di strada condividente. Così Gesù lo ha mostrato, un Padre premuroso, ricco di misericordia, disponibile al perdono, un continuo “dono per” chiunque si apre ad accoglierlo nell’umiltà della fede.
c. Imparare ad adorare “questo” Dio significa “saper pregare il Padre nostro”, cioè educarsi alla speranza fiduciosa, alla condivisione solidale, alla paziente sopportazione, al perdono. Chi crede nel Padre di Gesù rinuncia alla vendetta, all’egoismo, all’indifferenza e si prende cura dell’altro, diventa custode di suo fratello.
 
Custodi dei fratelli
Buoni argomenti per ragionare anche con un filosofo ateo. Il filosofo pensoso non vuole negare Dio in modo superficiale. Nella prospettiva del dialogo si deve ritenere che la posizione atea sia meglio rappresentata non tanto dall’affermazione “Dio non esiste”, quanto piuttosto dall’invocazione “Dio perché non esisti?”. L’ateo pensoso sa guardare al dramma della sofferenza e dell’ingiustizia umana e può cogliere intuitivamente che dovrebbe esistere un Dio (è uno spiraglio per la riflessione), perché è troppo il vociare dell’umano dolore diffuso nel mondo. Ma per lui Dio non esiste e però può anche interrogarsi, secondo queste belle espressioni poetiche che cito a memoria: “una voce grida dal profondo della terra e invoca un Dio che non esiste; non esiste nessun Dio che ascolti quella voce; ma perché la voce che invoca Dio esiste?”. In verità l’ateismo è inquieto nella sua ricerca sull’uomo ed è a tutti noto che gli atei dell’Ottocento negarono Dio perché l’immagine moderna di Dio era quella di un Ente superiore “contro” l’uomo. L’equivocazione moderna dell’alterità di Dio (Dio è sicuramente l’Altro, ma venne concepito come opposto e contro, secondo Romano Guardini) propiziò le ragioni dell’ateismo di Feuerbach, di Marx, di Nietzsche. Nella scoperta di Dio come Padre di Gesù potrebbe esserci la risposta ad ogni ateismo, se solo questa scoperta si potesse con sempre nuova intelligenza declinare antropologicamente. La radice della libertà umana risiede infatti nel ritrovare e nel riscoprire continuamente il “volto del Padre”. Questo volto non si lascia inscatolare dentro nessuna immaginazione umana, le trascende tutte: non è padre in quanto maschio (si devono superare le ingenue rappresentazioni legate al sesso). Come Padre, infatti, Dio è anche madre: è un Padre materno. Solo Dio dice chi è Dio, perciò solo Gesù, il Figlio di Dio, ci può dire chi è il Padre e lo ha fatto nella sua testimonianza d’amore crocifisso. Nelle “parabole del Regno” ci ha raccontato molto di lui. Così, in uno slogan vero: “adoratori del Padre, custodi dei fratelli”. La fede è cammino di vita esigente, sempre esposta al rischio dell’evasione religiosa e della schizofrenia tra pratica credente ed esistenza giornaliera. Nessuno è immune da questo rischio. Perciò è importante concentrarsi sull’annuncio vero del santo Vangelo. Il Vangelo è Gesù, il suo kerigma, è l’avvento del regno di Dio. Il regno di Dio è la signoria del Padre suo. Il contenuto dell’annuncio del santo Vangelo è: “Dio è amore”, cioè Dio è Padre, ha un volto, non è un’idea vaga di infinito, ma un agente nella vita quotidiana di ogni uomo. Da “buon” Padre, aiuta e sostiene la fatica di ogni giorno per la costruzione di una vita felice su questa terra. Questa scoperta (= rivelazione) si esprime in un’adorazione nuova, la quale esige da tutti di diventare custodi dei fratelli. Dobbiamo allora – per essere da credenti all’altezza delle sfide culturali di oggi e della testimonianza cristiana che ci è richiesta, della santità cui siamo chiamati – aiutarci a cogliere come e quanto l’annuncio della paternità di Dio responsabilizzi la libertà di ogni uomo in esperienze vere di amore e di solidarietà: “essere adoratori di questo Padre significa diventare irrimediabilmente custodi di tutti, sentiti fratelli”. È certo che la conversione umana si manifesta in grandi cambiamenti degli stili di vita, comporta veri sforzi ascetici (la metanoia cristiana non è cosa superficiale, che possa accadere come per incanto o per magia) e imponga il raggiungimento di traguardi non facili. Tuttavia questa conversione è impossibile se non si cambia proprio nell’accoglienza del nuovo volto di Dio, se non si matura nella conoscenza della sua paternità, come Gesù l’ha comunicata. Questa mistica contemplativa dei tratti veri del volto del Padre è il fondamento, nella fede, della vera conversione del nostro cuore e di tutta la nostra esistenza nella libertà dell’amore e del dono di noi stessi per gli altri.
 
Orfani di padre
Tutto questo è oltremodo significativo e culturalmente rilevante nella nostra attuale società, che soffre di “orfananza del Padre”: una crisi così profonda che ha effetti terribili nella crisi demografica che sarà il vero problema del prossimo futuro, specialmente in Europa e anche in Italia. Il cantante Morgan e Sgarbi stesso – ognuno a proprio modo – rappresentano dei veri e propri “sofferenti” di questa “orfananza del Padre”, secondo Horkheimer. Anche con loro su questo avrei dovuto dialettizzare, “mantenendo le posizioni cattoliche” che, purtroppo non vanno di moda nemmeno tra gli stessi cattolici praticanti. Non è solo il problema di Gavino Ledda con il suo “padre-padrone”; c’è ovviamente molto di più singolare che non bisogna disattendere nella stessa predicazione della paternità di Dio, se vogliamo che essa sia sempre più e sempre meglio luce e sapienza per ogni paternità umana. La riscoperta e la predicazione del volto vero di Dio, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo che dona lo Spirito, è oggi la sfida più audace che la fede rivolge all’uomo del nostro tempo, affinché l’uomo si liberi da tutte le sue frustranti paure e si concepisca protagonista della propria storia individuale, nonché di quella collettiva e sociale. Certo, di Dio si può parlare sempre e solo a partire dalle nostre esperienze, ma nell’educazione religiosa della nostra gente occorre tener presente che ogni linguaggio umano è limitato e talvolta le nostre esperienze rendono equivoco il linguaggio con cui comunichiamo la nostra fede. Nella mediazione della fede occorre tenere presente tutto questo. Il Padre celeste (cioè il Dio comunicato da Gesù e non costruito attraverso le nostre immagini) è rivoluzionario rispetto a ogni tipo di paternità terrena: la sua predicazione è critica profetica per ogni modello di padre in questo mondo e deve diventare l’occasione per recuperare la stessa paternità umana nei suoi contenuti profondi: vicinanza, tenerezza, fiducia, sicurezza, consolazione, protezione, promozione delle creatività, educazione alla libertà. La crisi del padre è crisi di autorità, non tanto nel senso giuridico, ma in quello valoriale di autorevolezza: l’autorevolezza del padre rende sicuro il cammino libero della crescita e orienta ad un futuro di costruzione responsabile della propria felicità, affianca senza sostituire, protegge senza mortificare il potenziale.
 
Il Padre di Gesù
Ecco dunque quanto mi ero preparato a dire. In estrema sintesi: ogni paternità è vera se è trasparenza e simbolo dell’unica paternità di Dio, i cui tratti originali del volto si possono cogliere nelle parabole del Regno. Perciò ci ha detto Gesù: “uno solo è il Padre e nessuno si faccia chiamare
padre sulla terra”; la contemplazione e l’accoglienza nella fede cristiana di Dio come Padre impegna a una vita autenticamente umana, fondata sull’amore misericordioso che si rende responsabile della vita dei fratelli, delle sofferenze, dei bisogni materiali e spirituali della gente; la fede richiesta dal Padre supera la pratica legalistica dell’obbedienza ai precetti, per cui l’andare a messa di domenica è ben più che soddisfare una legge: è la volontà di lasciarsi coinvolgere dall’amore del Padre che rigenera e con la sua grazia rende tutti capaci del gesto del dono di sé per l’altro, ripetendo il gesto eucaristico di Gesù, che si fa Pane spezzato e sangue sparso per amore; attingendo al cuore del Padre, Gesù mostra e rivela nel suo comportamento una vicinanza affettuosa soprattutto verso i peccatori, gli sventurati, verso tutti quanti si trovassero in condizioni di miseria fisica (le malattie), spirituale (il peccato), economica (la povertà). L’amore preferenziale di Gesù per i poveri, per i diseredati e i disprezzati della terra “simbolizza realmente” la verità di Dio, il Padre “suo”. Ogni uomo è fratello, perché Dio è Padre. Questa è allora l’ultima verifica: chi è adoratore del Padre diventa generosamente custode degli uomini, sentiti suoi fratelli.
 
Resta la delusione
Quando giunsi allo studio della Rai, non vidi né Fox, né il filosofo ateo. Il contenitore era cambiato. C’era solo Morgan. Ma mi dissero che avrei avuto la possibilità di offrire le mie riflessioni sul Padre-paternità e umanità disorientata nel corpo centrale della trasmissione attraverso quattro domande che una presentatrice (la Marangoni) avrebbe dovuto rivolgermi, in uno spazio temporale di venti minuti. Mi sembrò una buona proposta e rimasi. Di fatto, le cose andarono diversamente. Sgarbi era “inviperito” perché su un giornale nazionale veniva riportato in prima pagina che avrebbe a Salemi obbedito agli ordini di un mafioso. Credo che questa sia stata la molla scatenante che lo ha portato a parlare solo di sé e a difendersi in soliloqui che non finivano mai. Solo verso la fine si cominciò a trattare il tema. Io venni chiamato (dopo che ero stato maldestramente presentato all’inizio della trasmissione e tenuto come un palo a dir niente per dieci minuti) verso le 23,05. La Marangoni non mi pose nessuna domanda (in realtà non parlò affatto, pur dovendo essere la presentatrice principale) e io venni invitato a tenere un pensiero predicatorio di 4-5 minuti. Così accadde, che ho parlato in diretta della paternità di Dio in Gesù in un tempo in cui i telepredicatori non è che siano tanto amati. Oltre la delusione, resta un po’ di fornicazione interiore per l’esperienza. Historia magistra vitae.

Progetto Policoro. Un “Centro Servizi” per condividere la fatica dei giovani in cerca di lavoro

Durante la prolusione all’assemblea dei Vescovi italiani dello scorso Maggio, il Cardinale Bagnasco, presidente della CEI, ha espresso la preoccupazione della Chiesa per il lavoro che manca o che, precario, è motivo di sofferenza per tante famiglie e giovani. Aiutare le nuove generazioni a trovare un posto nel mondo, nella società, a creare un lavoro che permetta all’uomo di essere la via della Chiesa è uno degli obiettivi del Progetto Policoro, che, dopo 15 anni di attività nella Chiesa del Sud Italia, continua a regalare alla storia gesti concreti che sono espressione della difesa della dignità della persona. “Proprio nella difesa della dignità della persona e del suo lavoro può iniziare un impegno concreto, e alla portata di tutti, perché si sviluppi una nuova cultura del lavoro che, senza opporre resistenza ai mutamenti in atto, ponga alcuni punti di riferimento capaci di orientarli nella direzione giusta.” Per realizzare concretamente un percorso che incoraggi i giovani a scoprire una nuova mentalità del lavoro, dal 20 Giugno è aperto in diocesi il Centro Servizi del Progetto Policoro, più propriamente detto Centro di Animazione Territoriale; non è uno sportello di “collocamento”, ma uno strumento di informazione e di formazione, che con uno stile accogliente, coerente e competente aiuta i giovani della nostra diocesi a incontrarsi, costruire reti, individuare i bisogni del territorio e offre un’esperienza responsabile di servizio a tutta la comunità. Per i giovani oggi è necessario fermarsi a “studiare” una realtà che disorienta e che presenta dei fenomeni che non sono facilmente gestibili ed è arrivato il momento di far comprendere ai nostri ragazzi che a questa situazione  bisogna rispondere in modo propositivo e creativo. Certamente un centro di animazione territoriale non servirà a molto se non diventa un luogo di confronto e di approfondimento sulla dignità del lavoro, di fronte alla strumentalizzazione o riduzione del medesimo ad altri obiettivi che non sono la piena realizzazione dell’uomo nelle sue diverse dimensioni. Il Vangelo passa attraverso ferite degli uomini, dei giovani scoraggiati dei nostri vicariati, ed il Vangelo oggi ci chiede la capacità di ascolto delle idee dei giovani e della scommessa sulle loro capacità, ci chiede di avviare un progresso che coinvolga anche le istituzioni in un circolo di sostegno e di accompagnamento che abbia al centro l’uomo e che all’uomo faccia comprendere che nelle sue “azioni” sta la contemplazione di Dio, come ha vissuto Giuseppe, il carpentiere della casa di Nazareth, di cui si parla nei Vangeli solo per quello che “fece”, cioè per il suo lavoro. Il Progetto Policoro ha lo scopo di “agire” contro la disoccupazione giovanile e di testimoniare che il lavoro, come sostiene la Dottrina Sociale della Chiesa, non è solo necessario alla proprietà personale, ma al bene comune; “la considerazione delle implicazioni morali che la questione del lavoro comporta nella vita sociale induce la  Chiesa ad additare la disoccupazione come una «vera calamità sociale », soprattutto in relazione alle giovani generazioni” (CDSC 287).
 
Il centro servizi è aperto nei giorni
Lunedì ore 17.00 – 20.00
Mercoledì ore 9.00 – 12.00
Giovedì ore 17.00 – 20.00
in Via Mons. Blandini n° 9 – Noto
Per informazioni o appuntamenti rivolgersi a:
Anita 3394236049 – Ada 3401440956 – email: progettopolicoro@diocesinoto.it

La Misericordia come condizione essenziale per agire secondo lo stile evangelico

Un corpo è sano se tutte le sue membra svolgono organicamente la loro funzione. Se questa immagine, cara alla predicazione dell’apostolo Paolo, è valida per definire l’essere della Chiesa, non può non diventare paradigmatica per stabilire i criteri della sua prassi. La due-giorni, tenutasi il 17 e il 18 giugno scorsi presso l’Oasi Don Bosco, sulla strada Noto-Palazzolo, è valsa a far sperimentare ai partecipanti non solo la responsabilità organizzativa, ma principalmente la loro profeticità.  immediatamente connessa all’identità battesimale. Erano presenti, in primo luogo il Vescovo, i membri del Consiglio Pastorale Diocesano, i componenti del Consiglio Presbiterale e quelli del Coordinamento Pastorale Diocesano. Invece di fare una cronaca, il sottoscritto è più propenso a mettere in evidenza i risultati cui si è pervenuti, che lungi, dal rispecchiare solo l’aspetto organizzativo, hanno avuto il merito di approdare alla “sola cosa necessaria” di cui parla Gesù nel suo dialogo con Maria, la sorella di Marta. Il momento fondamentale che ha fatto da presupposto agli incontri è stata la riflessione dettata da Mons. Francesco Guccione, da cui è emerso che la misericordia, tema centrale del prossimo anno pastorale, è la condizione per instaurare e coltivare relazioni secondo lo stile evangelico. Il suo pensiero è stato motivato e rafforzato da racconti esperienziali che hanno richiamato l’agire di Gesù con i peccatori, nei confronti dei quali non ha mai espresso un giudizio di condanna, ma solo di accoglienza, di perdono e di risanamento. I rapporti fra i cristiani si devono improntare a questo stesso atteggiamento se vogliono essere credibili, per cui non ci si può discostare da questo stile, che rivela la grandezza della misericordia di Dio. A questo momento ha fatto seguito la presentazione del metodo di lavoro fatta da Don Rosario Gisana, vicario episcopale per la Pastorale, il quale si è soffermato sulla magnanimità di Dio come tema dominante del messaggio della prima lettera di Pietro. Questo attributo divino, che non riesce a rendere adeguatamente ai nostri occhi l’infinita grandezza del “cuore” di Dio, è alla base di ogni azione pastorale e di ogni programmazione, sopratutto in quest’anno, in cui il Vescovo vuole proporre alla nostra attenzione il messaggio della misericordia divina, pubblicando prossimamente la sua prima lettera pastorale. I lettori avranno la possibilità di riscontrare alcuni spunti di riflessione, leggendo una sintesi della relazione di Don Gisana a pagina 4 di questo numero. Questi temi hanno avuto ulteriore approfondimento nelle parole del Vescovo, che, richiamando il duplice aspetto della carismaticità e della ministerialità del popolo di Dio, ha ribadito l’importanza del servizio pastorale come declinazione delle proposte del Vangelo nella vita delle nostre comunità e di ogni persona. Ecco perché l’organizzazione delle attività non deve essere fine a se stessa, ma in funzione della trasmissione della parola di Dio nell’oggi della storia, dando motivazioni valide, tutt’altro che superficiali alle donne e agli uomini che incontriamo, accostandoci a loro e proponendo una parola di vita che non proviene da noi o dalle nostre intuizioni o dalle stesse attività, ma da Dio stesso. D’altronde, che senso avrebbe il nostro fare se non fosse sostanziato da questi principi? Dove approderebbero le nostre iniziative se non facessero trasparire un certo afflato soprannaturale? Le varie iniziative cui saremo invitati in questo prossimo anno pastorale hanno, pertanto, la funzione di mediare alcuni contenuti fondamentali, utili per fare cammino: mentre ci si atterrà al tema dell’educazione, che ci vedrà interessati in questo decennio, avremo modo di approfondire il mistero della divina misericordia, come invito ad addentrarci con più fiducia e responsabilità nel mistero della Chiesa e nella rivalutazione dei rapporti fra di noi. L’anno pastorale e l’anno liturgico, con tutte le loro attività e scadenze, sono infatti scuole di spiritualità e di incontro con il Signore, scuole di vita per riscoprire il senso delle relazioni e della nostra chiamata nella Chiesa e nella storia.  
           
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Inaugurata la sede romana di Meter

«La Chiesa è tale perché è comunione». Monsignor Giovanni D’Ercole vescovo ausiliare dell’Aquila ha sintetizzato così il senso dell’alleanza sancita ufficialmente sabato scorso presso la Casa Tra Noi nell’ambito del convegno “Dalla profezia alla Comunione”. L’associazione onlus Meter che da dieci anni lotta a difesa dell’infanzia e Casa Tra Noi si sono gemellati firmando un protocollo d’intesa a margine del decennale della scomparsa di don Sebastiano Plutino, fondatore del movimento Tra Noi.
Presenti in qualità di relatori all’incontro, oltre al vescovo D’Ercole, don Fortunato Di Noto fondatore di Meter, Antonella Simonetta, presidente di Tra Noi, e don Marco Pozza, che si è definito «amico e collaboratore Meter». E la collaborazione tra le due realtà sarà subito fattiva. Infatti, il documento, a firma congiunta, ha ufficializzato anche la nuova sede romana di Meter di via Niccolò Machiavelli. In essa, «verranno attivati servizi legati all’infanzia, alle famiglie, alle comunità religiose e non solo», vi è scritto in un depliant di presentazione delle attività di Meter.
La nuova sede quindi sarà soprattutto «un centro di ascolto che accoglie e accompagna le vittime di abuso attraverso un percorso terapeutico, giuridico, sociale e pastorale», hanno spiegato i responsabili dell’associazione fornendo anche i recapiti a cui rivolgersi in caso di aiuto. Un numero verde: 800-455270 e il 345/0258039. «Un’alleanza – ha sottolineato monsignor D’Ercole – che può diventare collaborazione e comunione e che potrà generare una fantasia originata d’amore». Il presule ha poi ricordato la figura di don Plutino: «La sua lezione è che la nostra vita si specchia continuamente negli altri, anche perché la profezia è la coerenza di una vita di chi non pensa soltanto in termini di io ma ha lo sguardo rivolto verso gli altri», ha detto. Si è poi soffermato anche sul suo incontro con don Plutino: «Guardava sempre avanti, insegnava a sopportare tutto vedendo sempre il positivo in ogni cosa».
Don Di Noto, invece, ha riflettuto inizialmente su «i bambini santi». «Pensate – ha detto il sacerdote – quanti bambini si sono opposti con durezza all’onta della violenza nei confronti della loro purezza». E ha poi ha aggiunto con forza: «Chi accoglie i bambini, accoglie il Signore». «Sono convinto – ha precisato – che chi lo fa è già in Paradiso». Don Fortunato ha quindi espresso il suo pensiero in merito ai temi del convegno. «Ho abbinato l’esperienza di don Orione con la mia: la comunione dei santi esiste. Non è una fantasia. È un carisma che viene dal Signore Gesù», ha detto. Da qui l’apertura alla speranza: «Oggi viviamo in un mondo lacerato dalla discordia ma capace ancora di lenire la sofferenza. Non esiste, infatti, mistica che non sia vissuta». Don Di Noto in conclusione del suo intervento ha ribadito ancora una volta l’importanza dell’impegno e dell’aiuto reciproco: «Abbiamo una Chiesa povera perché spesso è gelosa dei talenti invece di esserne orgogliosa: ma essi vanno fusi avendo la capacità di dire ai giovani che si può percorrere la vita in maniera diversa».
Don Marco Pozza, invece, prima della firma del protocollo d’intesa, ha richiamato a una frase di Steve Jobs, fondatore della Apple. «Jobs, a chi gli chiedeva se fosse un genio, rispose: “Non so se lo sono, ma so che per esserlo bisogna sapere intravedere il futuro quando ancora non risulta ovvio: credo che sia una frase che può stimolare anche noi ad avere più coraggio di metterci in gioco, per amore della Chiesa, nonostante i rischi propri di ogni novità».
 

Istituiti cinque nuovi Accoliti nella chiesa Cattedrale di Noto

Sabato, 11 giugno scorso, durante la solenne Veglia di Pentecoste, in Cattedrale, Mons. Antonio Staglianò ha istituito accoliti cinque alunni del nostro Seminario: Gabriele Di Martino, Davide Lutri, Gianni Roccasalvo, Manlio Savarino, Giovanni Vizzini. Il ministero dell’accolitato è un servizio in aiuto al Vescovo, al Presbitero o al Diacono nella preparazione dell’altare e dei vasi sacri è considerato anche ministro straordinario della Comunione: ciò significa che colui che presiede la celebrazione può chiamarlo a distribuirla o a portarla agli ammalati. Il ministero dell’accolito continua ad essere anche una tappa nel percorso istituzionale verso il diaconato e il presbiterato. In una cornice tutta diocesana, con la presenza delle Comunità di parrocchie della vicaria netina, con le Comunità parrocchiali, di origine dei seminaristi, è stata celebrata la Festa dello Spirito Santo. La Chiesa ci fa ricordare il memoriale dell’invio dello Spirito Santo su Maria e gli Apostoli riuniti nel Cenacolo, essa stessa è inviata ad annunciare l’evangelo a tutte le genti, fino ai confini del mondo, nell’attesa del ritorno del Signore. La celebrazione della Pentecoste, “festa delle feste” o “grande domenica” come la chiamavano i Padri della Chiesa, ricorda questo dono dello Spirito che attualizza, ricorda e interiorizza quello che ha fatto Gesù. Il nostro Vescovo durante l’omelia ha sottolineato come lo Spirito realizza la sua presenza nell’assemblea, nella convocazione attorno al Pastore, vincolo di unione ed epifania dell’unità della Chiesa; lo Spirito permette l’osservanza dei comandamenti nella testimonianza audace del Vangelo che oggigiorno risulta scomodo e difficile da applicare alle situazioni della vita. Ai nuovi accoliti auguriamo di poter, nella vicinanza all’altare e ai cari malati, sperimentare la vicinanza di Cristo nella concretezza di un agire “umano” prossimo a quanti hanno fiducia in Dio e a quanti la cercano.

 
 
 
 

La roccia della fede, la via della “visita”

Sarà una festa particolare quella di San Pietro 2011 a Modica, perché arricchita dal ricordo di una grande figura di prete come Mons. Matteo Gambuzza (1910-2011) a cento anni dalla nascita e dieci dalla morte. Un ricordo che inizierà concretamente con la visita nei quartieri, una caratteristica dell’Arciprete di san Pietro che la gente ancora ricorda per la prontezza con cui visitava gli ammalati, accompagnata dal suo proverbiale “Coraggio!” in cui si univano fede e condivisione concreta. Si tratta di una via concreta per la testimonianza della carità oggi, messa al centro anche dal nostro Sinodo diocesano e riproposta come prima modalità per educarci alla carità evangelica. Scrive il parroco di San Pietro don Corrado Lorefice all’inizio della lettera-invito per la festa: “Vogliamo far memoria di un prete dalla significativa statura umana e pastorale, per comprendere la sua figura e il suo messaggio nel contesto storico che lo ha visto esercitare il ministero a Modica, e per recuperare i tratti della sua testimonianza di cristiano e di prete di formazione tridentina pieno di una fedeltà alla Chiesa che gli ha consentito l’apertura lungimirante al post Concilio: la fede come roccia della vita, un grande senso della paternità, la visita come rapporto con la gente consolidato nel reale vissuto del territorio. Per tale motivo abbiamo pensato di animare la festa anche nei quartieri, in particolare a Cartellone e a S. Francesco La Cava con la celebrazione eucaristica e con un momento di fraternità”. Così, ci saranno la prossima settimana due eucaristie e feste di quartiere, mercoledì 22 giugno alla 19 nello slargo di via Exaudinos, venerdì 24 sempre alle 19 in via Rosa. Domenica 26 giugno alle 19 in San Pietro vi sarà la concelebrazione cittadina del Corpus Domini, a cui seguirà la processione eucaristica. Lunedì 27 e martedì 28 giugno la messa vespertina, presieduta dal primo successore di Mons. Gambuzza don Carmelo Lorefice, sarà celebrata alle 18,30, mentre alle 19,30 vi sarà una due sere storico-teologica sulla figura di Mons. Matteo Gambuzza. Il giorno di San Pietro, mercoledì 29 giugno, presiederà la Messa delle 10,30 don Giuseppe Sortino, che celebra il sessantesimo di sacerdozio; mentre la messa vespertina alle 19,30 sarà presieduta dal vicario generale della diocesi don Angelo Giurdanella. Seguirà la processione con l’artistica statua di San Pietro e il paralitico.
 

DON DI NOTO: ” I BAMBINI DI ROMA AVRANNO DEI LORO SERVITORI E DIFENSORI”

L’Associazione Meter onlus, (www.associazionemeter.org), fondata da don Fortunato Di Noto, dal 18 giungo sarà operativa contro ogni forma di abuso e di sfruttamento promuovendo la tutela e la difesa dell’infanzia. La sede Meter di Roma attiverà una serie di servizi legati all’infanzia, alle famiglie, agli educatori, alle comunità ecclesiali, religiose e non; un operativo e concreto segno di servizio (con una storia ventennale) per la Chiesa di Roma e per tutta la città e la regione Lazio.
La sede di Roma nasce grazie all’incoraggiamento che Papa Benedetto XVI, il 25 aprile scorso ha rivolto ai responsabili di Meter per la XV Giornata bambini vittime della violenza, dello sfruttamento e dell’indifferenza: “incoraggio Meter – diceva il Papa – a proseguire l’opera di prevenzione e di sensibilizzazione delle coscienze al fianco delle varie agenzie educative: penso in particolare – continuava Benedetto XVI – alle parrocchie, agli oratori e alle altre realtà ecclesiali che si dedicano con generosità alla formazione delle nuove generazioni”.
Il carisma e l’opera di Meter è stata condivisa dall’Associazione Movimento Tra Noi (www.movimentotranoi.it) che ha offerto una sede a Roma in quella logica di “comunione e reciproca accoglienza”.
Nel corso del convegno “Dalla profezia alla Comunione” che sabato 18 giugno ricorderà la figura di don Sebastiano Plutino, sacerdote e fondatore del Movimento Tra Noi a dieci anni dalla sua scomparsa si formalizzerà ufficialmente la “sede di Meter a Roma”.
Al Convegno  presenzieranno Monsignor Giovanni D’Ercole, Vescovo Ausiliare dell’Aquila e Assistente Spirituale del Movimento Tra Noi; don Fortunato Di Noto  presidente e fondatore Meter, Antonella Simonetta, presidente del Movimento Tra Noi; don Marco Pozza, amico e collaboratore Meter.
Don Fortunato Di Noto ha dichiarato: “Auspico che Meter diventi a Roma una proposta educativa per una pastorale di prossimità contro gli abusi nella logica della prevenzione e informazione attenta, generosa ed evangelica a favore delle famiglie, dei piccoli e dei deboli per orientarsi in questa società in crisi e frammentata”.
 

“Chi è la donna?” e “Quale è la sua verità?”

Il 9 giugno è stata per il centro Italiano Femminile di Avola, una data importante per l’iniziativa che lo ha visto impegnato in un momento di riflessione sulla donna a partire dal pensiero illuminato del Beato Papa Giovanni Paolo II, che nel suo lungo pontificato ha elargito, a piene mani, all’associazione e al mondo intero, documenti, Encicliche, lettere dedicate proprio all’approfondimento del ruolo della donna nella Chiesa ed in ogni ambito della vita, sia essa civile, socio-politica che economica.

 
Ad aprire i lavori della serata, dedicata alla riflessione sulla donna, è stata la presidente del CIF di Avola, seguita da don Giuseppe Agosta, consulente ecclesiastico dell’associazione e dal Sindaco di Avola che ha portato al Vescovo il saluto della città.
A darci una lettura alquanto originale e moderna del tema affidatogli è stato proprio Sua Eccellenza, Mons. Antonio Staglianò, Vescovo della Diocesi, nonché poeta e scrittore, che abbiamo avuto modo di apprezzare per le sue numerose pubblicazioni.
Il nostro Vescovo, partendo da due interrogativi “Chi è la donna?” e “Quale è la sua verità?”, ci ha fatto riflettere sul fatto che conoscere ciò che ha detto Giovanni Paolo II nel suo Magistero sulla donna non può essere solo una questione dottrinale o più squisitamente culturale, ma deve significare un voler entrare nella grande verità sulla donna. Non si può allora prescindere dal chiarire “cosa è la verità” “Quid est veritas?” . Mons. Staglianò, giocando con le frasi e le parole fa l’anagramma della domanda e riferisce che la risposta sta dentro la domanda stessa “Est vir qui adest” ossia “è l’uomo che ti sta davanti”. Si capisce come allora il problema non sia semplicemente una questione femminile, come è stata considerata da più parti nel XX secolo dai movimenti e dalle associazioni femministe, ma piuttosto occorre leggere la questione in chiave antropologica. E Giovanni Paolo II riesce a leggere la donna nella sua verità, allo specchio della pienezza di umanità e di splendore della donna, Maria di Nazareth. La donna, pertanto, viene valorizzata in Maria di Nazareth, non in un mito, ma in una persona collocata nella storia e, dunque, nel tempo e nello spazio. Ed è Dio stesso che ci indica la straordinaria bellezza della verità sulla donna, concependola libera di pronunciare il suo sì o il suo no, così come fu per Maria, grazie alla quale e a partire dalla quale, possiamo comprendere la verità sulla donna e il suo corpo, fatto per accogliere, per liberare, per pacificare. A far da contro altare a questa visione della donna e della sua dignità, il Vescovo riferisce quanto la scrittrice Susanna Tamaro, sul Corriere della Sera del 17 aprile del 2010, esprime a proposito di una “mistica della promiscuità, che spinge le ragazze a credere che la seduzione e l’offerta del proprio corpo siano l’unica via per la realizzazione”, in nome di quel progetto di stampo femminista secondo il quale “il corpo è mio e me lo gestisco io”, inesorabilmente fallito.
Da qui l’esigenza di percorrere la via della questione antropologica che ci riporta a riconsiderare il concetto di relazione tra uomo e donna, che altro è rispetto alla relazione tra Adamo e le piante e gli animali del paradiso terrestre, con i quali Adamo non era in comunione. La creazione di Eva fa sperimentare ad Adamo l’unione profonda che è propria dell’unione coniugale, in cui la donna non sta accanto all’uomo, ma è tale perché gli sta di fronte, così come l’uomo può dirsi tale, quando nel vincolo con la donna, si pone di fronte a lei. A questo punto il Vescovo ritiene di doversi soffermare molto, in maniera forte, utilizzando un linguaggio diretto e a tratti fastidioso per una Chiesa che viene additata spesso come retrodatata, per le posizioni sin qui assunte, sull’amore coniugale. “E’ finita l’era del padre-padrone” dichiara Mons. Staglianò, “nell’atto amoroso c’è la fusione totale di anima e corpo e, riferendo la finezza lessicale dei Tedeschi, che utilizzano due vocaboli per indicare in modo distinto il corpo organico, il corpo-oggetto (Kӧrper) e il corpo umano, ossia il corpo-persona (Leib), accenna alla questione della comunicazione attraverso i media che portano a considerare la donna come “sospesa sul terribile crinale della sua mercificazione”, “persa nelle potenti fiumane della perversione imposta dalla nevrosi consumistica” che vede il corpo femminile, oggetto da esibire e da esporre per sedurre. Finisce il suo intervento il nostro Pastore esternando quanto gli stia a cuore che tutti noi si comprenda che occorre purificare il linguaggio dell’amore, facendo riferimento alla comunicazione dei media che utilizza in modo errato l’espressione “Fare l’amore” per sponsorizzare e pubblicizzare preservativi e alcuni passaggi di canzoni attuali, come quella di Giusy Ferreri, che sente l’esigenza invece di cantare “è da tanto tempo che non si fa più l’amore”. Il Centro Italiano femminile, assieme alle amiche ed amici intervenuti, farà tesoro delle indicazioni del suo Pastore per “puntare non tanto sulla donna o sul maschio, ma sulla persona e sulla sua dignità, custodita nel suo essere immagine di Dio”. (Ecce homo di Mons. Staglianò edito da Cantagalli, Siena 2007).