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Noto. Il Decano della Facoltà di Bioetica “Regina Apostolorum” di Roma Prof. Gonzalo il 17 maggio consegnerà a venti professionisti il Diploma di Perfezionamento in bioetica

La Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, da 3 anni ha stipulato una convenzione con la diocesi di Noto creando una sede di video conferenze intitolata a Maria Madre della vita, ove settimanalmente dall’Ateneo vengono trasmesse a distanza le lezioni, in modalità interattiva dalle 15.20 alle 18.30. Il referente in loco della Diocesi e dell’Ateneo è il Sac. Prof. Antonio Stefano Modica. Lo svolgimento del corso ha sede presso l’aula SS. Redentore del Seminario Vescovile di Noto in via Gioberti n.2.
 
Il Diploma di Perfezionamento in Bioetica è indirizzato a tutti quelli che intendono in futuro inserire nella loro attività professionale e lavorativa una maggiore consapevolezza delle questioni bioetiche: sacerdoti, religiose e religiosi, studenti ecclesiastici, giuristi, medici e personale sanitario, insegnanti di religione, catechisti ed altri agenti di pastorale e volontari impegnati nella difesa della vita. Il Diploma di Perfezionamento in bioetica permetterà loro di approfondire gli argomenti della bioetica, conoscere i suoi fondamenti ed affrontare meglio le sfide attuali nell’ambito biomedico, biogiuridico ed ambientale, alla luce della morale cattolica in fedeltà al Magistero della Chiesa.
 
Per ottenere il diploma si deve: frequentare le lezioni e superare l’esame previsto al termine di ognuno dei due anni. Il programma si svolge in modo ciclico, senza che sia prevista una propedeuticità tra i due anni; è pertanto possibile iscriversi ogni anno. Il prossimo 17 maggio alle ore 17.30 presso la sala Giovanni Paolo II del Seminario Vescovile di Noto, si terrà la solenne cerimonia di consegna dei diplomi ai venti alunni che nello scorso anno accademico hanno concluso la frequenza del corso e superato l’esame finale.
 
La cerimonia avrà un indirizzo di saluto da parte del responsabile in loco Sac. Prof. Antonio Stefano Modica al Decano e ai presenti, seguirà la relazione del decano della facoltà di bioetica “Regina Apostolorum” di Roma Prof. Gonzalo Miranda L.C. dal titolo: “Riproduzione Assistita: campo di battaglia”, mentre il Prof. Emanuele Di Leo, direttore delle sedi di videoconferenza, illustrerà i campi di spendibilità del diploma. A conclusione, il Decano, a ciascuno dei presenti consegnerà brevi manu la pergamena di titolo con il punteggio finale.
L’evento è aperto a tutti coloro che sono interessati alle questioni bioetiche, tenuto conto dell’attualità della tematica.
 

Migliaia di fedeli a Piazza Armerina dove è stato consacrato il XII Vescovo della Chiesa piazzese S.E. Mons. Gisana

In un clima di gioia e di festa, alla presenza di migliaia di fedeli che hanno gremito la Basilica Cattedrale di Piazza Armerina, è stato consacrato ieri, sabato 5 aprile, il XII Vescovo della Chiesa piazzese, Mons. Rosario Gisana, figlio della nostra Chiesa di Noto.
 
L’antico e solenne rito di Ordinazione è stato presieduto dal nostro Vescovo, Mons. Antonio Staglianò, assistito dai due Vescovi conconsacranti, Mons. Michele Pennisi, Arcivescovo di Monreale, già Vescovo di Piazza Armerina e Mons. Paolo De Nicolò, Vescovo titolare di Mariana in Corsica. A concelebrare L’Eucaristia di Ordinazione il Cardinale Paolo Romeo, Arcivescovo di Palermo e gli Arcivescovi e Vescovi della Sicilia. Numerose le autorità civili e militari, quali il Presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, il Sindaco di Piazza e i Sindaci degli otto comuni della Diocesi.
 
Dopo il saluto liturgico del nostro Vescovo Staglianò, l’Amministratore diocesano di Piazza Armerina, Mons. Giovanni Bongiovanni, ha rivolto il suo saluto ai presenti, esprimendo la gioia di tutta la Diocesi piazzese per il dono del novello pastore. Dopo la proclamazione del Vangelo, l’assemblea ha intonato l’antico e venerando inno allo Spirito Santo“Veni Creator”, a cui ha fatto seguito la presentazione dell’eletto e la lettura del mandato del Papa.
 
Nell’omelia pronunciata da Mons. Staglianò, è stata evidenziata la gioia di questo evento, epifania di Chiesa e di comunione tra le due Diocesi, una gioia, ha rimarcato Mons. Vescovo, che è opera di Dio. Prendendo spunto dal Vangelo della V domenica di Quaresima, la risurrezione di Lazzaro, Mons. Staglianò ha posto l’accento sul dramma del dolore e della morte che attaglia ogni uomo. In questa sofferenza, ha affermato il Vescovo, è attesa una parola di speranza. “Il bel pastore offre la vita per le pecore” – ha proseguito Mons. Staglianò – “Il Vescovo è colui che sa entrare nel cuore di Dio e da lì impara a guardare l’uomo, con gli occhi di Dio”. Guardare gli altri con gli occhi misericordiosi di Dio: questa l’esortazione e l’augurio di Mons. Vescovo rivolto a Mons. Gisana.
 
Dopo l’interrogazione dell’eletto e il canto delle litanie dei Santi, il momento culminante della liturgia di Ordinazione: l’imposizione delle mani e la preghiera di consacrazione. Significativi i riti esplicativi: l’unzione crismale sul capo, la consegna dei Vangeli, dell’anello, della mitra, del pastorale e infine l’insediamento alla cattedra e l’abbraccio di pace di Mons. Gisana con i confratelli Vescovi. Al termine della celebrazione, il novello pastore, ha percorso la navata centrale della Cattedrale, benedicendo il suo gregge. Dopo la benedizione, il saluto del Sindaco di Piazza e le parole che Mons. Gisana ha rivolto la parola ai presenti, elevando anzitutto il sacrificio della lode alla Trinità Santissima per il dono dell’Episcopato, esprimendo da parte sua l’impegno di conformarsi a Cristo, il desiderio di assumere la “forma” del Figlio di Dio. Per realizzare pienamente questa conformazione, Mons. Gisana ha evidenziato come sia necessario uno stile di povertà, di essenzialità, che è stile tutto evangelico. Con l’esempio di Maria, ha concluso il novello Vescovo, “porto nel mio cuore l’ubbidienza alla parola di Dio e con lei desidero servire questa Chiesa secondo i principi della sequela””. Al Vescovo Rosario, la preghiera e la sollecitudine fraterna di tutta la Chiesa netina, che egli con generosità e piena dedizione ha servito in questi anni.
 

Il 5 Aprile 2014 l’Ordinazione Episcopale di Mons. Gisana. Per la Diocesi di Noto un migliaio di fedeli a Piazza Armerina

Sabato 5 aprile, come già noto, avrà luogo a Piazza Armerina, la Consacrazione Episcopale di Mons. Rosario Gisana, figlio di questa nostra Diocesi. Grande mobilitazione per la Chiesa di Noto da dove si prevedono un migliaio di presenze: da tutti i Vicariati giungeranno a Piazza Armerina numerosi fedeli per manifestare a don Rosario segni di affetto e stima, per ciò che in questi anni ha donato con generosità e piena dedizione alla Diocesi. In Tanti dunque si stringeranno al novello pastore: parrocchie, gruppi, associazioni e quanti hanno beneficiato dell’amabile umanità di Don Gisana, che ora da Vescovo, sarà chiamato a conformarsi ancora più radicalmente a Cristo buon Pastore.
 
La Solenne Concelebrazione Eucaristica si svolgerà presso la Chiesa Cattedrale di Piazza Armerina, alle ore 16,30. Il Rito di Ordinazione sarà presieduto dal nostro Vescovo, Mons. Antonio Staglianò; i Vescovi con-consacranti saranno Mons. Michele Pennisi, Arcivescovo di Monreale, già pastore della Chiesa piazzese e Mons. Paolo De Nicolò, Vescovo titolare di Mariana in Corsica, già reggente della prefettura della Casa pontificia. Saranno Presenti alla celebrazione il Cardinale Paolo Romeo, Arcivescovo di Palermo e gli Arcivescovi e Vescovi della Sicilia.
 
La Chiesa netina si prepara a vivere uno speciale momento di grazia e innalza al Signore preghiere per Don Rosario, perché plasmato dallo Spirito Santo, possa testimoniare nel servizio pastorale alla Chiesa piazzese, la cura del Pastore divino, che offre la vita per il suo gregge.
 
E’ possibile seguire la diretta streaming della consacrazione sul sito della diocesi di Piazza Armerina. LINK 

2 Aprile 2014. Celebrazione del V anniversario di ingresso in Diocesi del nostro Vescovo

“Per un Vescovo la Diocesi è la sua carne! Carne della mia carne siete, perciò vi amo”. Con queste parole il nostro Vescovo Mons. Antonio Staglianò, nel quinto anniversario del suo ingresso nella Diocesi di Noto, ha ribadito l’altissimo dovere di carità verso questa porzione del popolo di Dio, in quanto pastore che, a immagine del Bel Pastore, “offre la vita per le pecore” (cfr Gv 10,11). “La mia fatica è di potervi amare, non secondo il mio amore, ma secondo l’amore di Dio”. Dovere di carità, quello di un Vescovo, che è padre nella fede, che genera figli a Dio. Questi figli, d’altra parte, necessitano di questo amore offerto: “Voi avete diritto a questo amore di Dio”.
Durante la solenne Eucaristia di ringraziamento, celebrata nella Basilica Cattedrale, splendente di bellezza per i nuovi affreschi, ci sono stati tanti motivi per lodare il Signore: i cinque anni di fruttuoso servizio pastorale del Vescovo, l’anniversario della morte del Beato Giovanni Paolo II, la memoria liturgica di San Francesco di Paola, santo che condivide con Mons. Staglianò le radici calabresi, il conferimento dei ministeri del Lettorato e dell’Accolitato ad alcuni alunni del Seminario.
Mons. Vescovo ha sollecitato, ancora una volta, i numerosi fedeli alla necessità di “restare umani”, conservando quei tratti di figli che mostrano il volto del Padre misericordioso, “figli del Padre – ha proseguito ancora Mons. Staglianò – per dare forma, nel nostro corpo, a Cristo che vive in me. Figli nel Figlio, per diventare figli del Padre”. Un Dio che è Padre è un Dio vicino, un Dio che salva, che non giudica, che ha mandato Gesù, “non per condannare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3,17).
Un Dio che non ci giudica e che vuole salvare in noi la dignità filiale che ci fa belli in umanità. “Ecco perché il giudizio si volgerà a misericordia” (cit). “Come immaginare il giudizio di Dio?” ha incalzato il Vescovo: “Il giudizio di Dio è il bene, è la misericordia, il perdono”. Ecco allora come Dio, nel Figlio Gesù Cristo, cambia la faccia del mondo; ecco come i cristiani che seguono il Figlio, rimangono umani, “peccatori sì – ha concluso Mons. Staglianò – ma che sanno sempre rialzarsi”.
Mons. Vescovo ha voluto ulteriormente rafforzare il suo desiderio di donarsi alla Diocesi, nell’offerta di un amore che è anche sofferenza, dolore; poiché nell’amore si dona tutto, senza trattenere niente per sé. Amare col cuore di Cristo, è la “croce” di un Vescovo, la fatica e la gioia di accogliere tutti e di farsi uno con tutti.
Al termine della celebrazione, il Sindaco di Noto, Corrado Bonfanti ha rivolto il suo saluto augurale a Mons. Staglianò, per la testimonianza di paternità e per la fattiva collaborazione con l’Amministrazione Comunale, che ha portato alla sottoscrizione del Patto Sociale e ad un impegno concreto a favore dei giovani, con azioni a sostegno degli oratori parrocchiali.
Anche il Vicario Generale, Mons. Angelo Giurdanella, ha rivolto un ringraziamento a Dio per i cinque anni di ministero a Noto del Vescovo Antonio, sottolineando il suo attivo impegno per la rinascita della Chiesa Cattedrale, non solo in quanto edificio sacro, ma anche quale “Madre di tutte le Chiese della Diocesi”. Il Vicario Generale ha pure ricordato l’attenzione del Vescovo per una Pastorale più missionaria, a partire dal rinnovamento dell’atto catechistico e per una più incisiva Pastorale Vocazionale.
Certi dell’amore del nostro Vescovo Antonio, che cinque anni fa, nel giorno della sua elezione episcopale, scrisse a questa comunità diocesana: “Non vi conosco, ma già vi amo!”, anche noi vogliamo rinnovare l’impegno ad amare, ancor di più, il nostro Pastore, per essere più meritevoli del suo amore per noi.

V anniversario di ordinazione episcopale del nostro Padre Vescovo

 Nella ricorrenza del 5° anniversario di Consacrazione Episcopale del nostro Vescovo Mons. Antonio Staglianò, la comunità diocesana si è stretta attorno al suo pastore, elevando al Signore il ringraziamento per questi anni di ministero nella Chiesa netina. Una solenne Eucaristia è stata celebrata nella Chiesa Madre di Rosolini; presente alla Celebrazione anche il Vescovo eletto di Piazza Armerina, figlio della nostra Diocesi, Mons. Rosario Gisana, che il prossimo 5 aprile sarà consacrato Vescovo nella Cattedrale piazzese. Presenti anche numerosi presbiteri e diaconi, il Seminario Vescovile e tanti fedeli giunti dalle diversi parti della Diocesi.
Mons. Vescovo ha rivolto un sentito saluto al Vescovo eletto di Piazza Armerina, manifestando la gioia per la sua elezione, definendola come “il dono più bello di questi 5 anni di Episcopato”. Nella solennità di San Giuseppe, Mons. Staglianò ha ricordato la grande figura di colui che è stato il padre putativo di Gesù, custode del Figlio di Dio; la sua paternità è esemplare ed è modello per quanti nella Chiesa sono chiamati ad essere “padri”. Ma come si diventa “padri”? “Si diventa padri – ha affermato Mons. Staglianò – nell’unica Paternità: quella di Dio”. Questa Paternità nella Chiesa, deve dunque diventare, ha proseguito ancora il Vescovo, “segno, sacramentum della misericordia di Dio”.
Mons. Staglianò, rivolgendosi ancora al Vescovo eletto Gisana, ha osservato che l’esercizio di questa Paternità per un Vescovo impone un cammino arduo, che è quello della Croce, cioè dell’amore donato, gratuito, dell’amore che è sofferenza, come doglie di parto, per la gestazione dei figli di Dio, nel grembo sempre fecondo della Chiesa: “generare figli a Dio, nel figlio Gesù: ecco la Paternità di un Vescovo”.
Mons. Staglianò ha voluto dichiarare con forza la sua Paternità verso la porzione del Popolo di Dio affidatagli, che passa anche attraverso i limiti e le miserie dell’uomo fragile, che per questo è chiamato a continua conversione; inoltre, ha proseguito ancora, perché il Vescovo sia padre è necessario “che il fedele lo percepisca tale e che quindi pure lui si converta ad essere figlio”. Ma come si diventa “figli”? Quando si vive la figliolanza divina del Figlio nel Padre: “convertirsi ad essere figli nel Figlio”. Così c’è autentico riconoscimento della Paternità del Vescovo, nel “Sacramento” che egli è della misericordia di Dio.
“Bisogna guardarsi con gli occhi di Dio – ha sollecitato Mons. Staglianò – guardatemi come mi guarda Dio”. Con queste parole il Vescovo ha parlato ai suoi figli, “guardiamoci nella fede”; proprio questa fede, che ci fa maturare lo sguardo stesso di Dio per vedere gli altri come li vedrebbe Lui, ha animato e sostenuto questi 5 anni di ministero a Noto del nostro pastore, che ha confidato ai presenti la preghiera che lo accompagna dal giorno dell’Ordinazione Episcopale, quella di Charles De Foucauld: “Padre mio, mi abbandono a te”. “Il Vescovo – ha detto ancora Mons. Staglianò – deve affidarsi a Dio nell’obbedienza della fede”. In questa fede il Vescovo diventa padre, “amando e soffrendo”, gestando nuovi figli nella Chiesa. Queste le gioie e le fatiche di un pastore, questo l’appassionato servizio del Vescovo Staglianò alla Chiesa che è in Noto: “mi sono sforzato di servire, di predicare sulla necessità di rimanere umani”. “Restare umani” la tenace esortazione del Vescovo in questi anni di sapiente magistero, capaci cioè di amare, di manifestare il volto bello di figli fatti a immagine e somiglianza di Dio, ma ha avvertito Mons. Staglianò “senza Gesù facciamo fatica a rimanere umani”. Nel bilancio di questo primo lustro di ministero a Noto, Mons. Vescovo ha ricordato pure il suo diuturno impegno per una maggiore comunione presbiterale e con il Vescovo, per una maggiore sinergia pastorale tra le comunità parrocchiali, per attivare azioni concrete di carità e di solidarietà contro le tante povertà che travagliano il nostro territorio. Inoltre ha ribadito il grande bene che vuole ai suoi confratelli presbiteri e a tutto il popolo santo di Dio. Richiamando infine l’attuale impegno della Visita Pastorale, ha dichiarato come questa esperienza gli stia facendo gustare la gioia di stare in mezzo al gregge, con “l’odore delle pecore”, toccando pure con mano il dolore e la speranza di tanta gente. Al nostro Vescovo assicuriamo il sostegno della preghiera e la docilità dei figli. Auguri Padre!
 
Gli auguri del Vicario generale a nome della comunità diocesana
 
Eccellenza Carissima,
il quinto anniversario della sua consacrazione episcopale è una rinnovata opportunità per manifestarle coralmente la nostra gratitudine e il nostro affetto per il suo prezioso ministero tra noi: Presbiteri, Diaconi, Religiosi e Religiose, Consacrati, Seminario, Laici delle nostre comunità parrocchiali e delle Aggregazioni laicali.
L’opuscolo che abbiamo progettato nella ricorrenza di questo primo tratto di strada condiviso con lei vuole ripercorrere il suo ricco magistero e le prospettive e scelte pastorali che ha voluto indicare alla sua e nostra amata chiesa di Noto. Un segno semplice e uno strumento concreto e agile per aiutarci a fare memoria di tale prezioso patrimonio da non confinare negli archivi degli uffici parrocchiali ma da far diventare stimolo e fermento per le nostre comunità.
In questi cinque anni ha rivolto una particolare attenzione anzitutto al presbiterio, basti pensare alle quattro lettere indirizzate ai presbiteri, nella consapevolezza che tra i primi compiti del vescovo si annovera la cura spirituale e culturale del clero nonché la comunione del presbiterio con la consapevolezza che soltanto l’amore ci rende cristianamente credibili (Cfr Seconda Lettera ai Presbiteri). Stare insieme, vivere insieme, lavorare insieme è stata la sua costante consegna al nostro presbiterio e alle nostre Comunità.
Con la lettera pastorale sulla Misericordia di Dio ha voluto tracciare il cammino pastorale unitario che ci ha permesso di ripensarci come chiesa che, raggiunta dalla magnanimità di Dio attraverso la sua Parola, l’Eucaristia e i Poveri, diventa tra gli uomini e le donne del nostro territorio segno e fermento di relazioni autenticamente evangeliche capaci di incidere nel tessuto sociale.
Momento culminante del suo ministero in questi anni di presenza a Noto è stata ed è la visita pastorale pensata come tempo di conversione e di grazia, di ascolto e di incontro, di rinnovamento spirituale e di slancio missionario per una chiesa capace di rivelare il volto misericordioso di Dio e la bellezza e la verità della fede. Ne abbiamo già colto i frutti nei due Vicariati di Pozzallo e Ispica dove la visita pastorale si è già conclusa.
Stando tra la gente durante la visita pastorale, specialmente nell’incontro nelle famiglie, con gli ammalati e nei colloqui personali, ha avuto la possibilità di percepire la fede semplice ma radicata e vivace della nostra gente. Così incontrando le comunità le ha confermate e spronate a pensarsi fuori dal recinto, inviate tra la gente, nelle strade dove gli uomini vivono, soffrono e gioiscono per esprimere il volto di una chiesa più estroversa, forte solo del vangelo di Cristo.
I segni concreti della carità, quelli che lei ama chiamare “fatti di Vangelo”, prendono sempre più forma e corpo nei diversi progetti di solidarietà come gli ultimi in ordine di tempo che saranno il centro di accoglienza di Valverde a Scicli e il villaggio del “Magnificat” dell’Associazione Papa Giovanni XXIII a Modica.
Certi di interpretare i suoi sentimenti filiali, vogliamo rivolgere un deferente pensiero ai suoi adorati genitori e specialmente a suo papà in questo tempo provato dalla sofferenza, con l’augurio di una pronta guarigione e ripresa .
Il Cristo Signore continui ad essere la sua forza e la sua speranza; lo Spirito santo conforto e luce; il popolo santo di Dio a lei affidato che è a Noto sua corona e gioia.
Mons. Angelo Giurdanella
 

Domenica 16 Marzo. Celebrazione eucaristica di S.E. Mons. Staglianò alla presenza di S.A.R. Don pedro di Borbone

 Domenica scorsa, 16 marzo, la città di Noto ha ricevuto la visita di Sua Altezza Reale Don Pedro di Borbone, Duca di Noto. In questa circostanza il Sindaco della città ha conferito la cittadinanza onoraria all’illustre ospite, accompagnato dalla consorte e da uno dei suoi figli. La visita di Don Pedro di Borbone ha avuto anche un momento alto e significativo nella Celebrazione Eucaristica presieduta dal nostro Vescovo, Sua Eccellenza Mons. Antonio Staglianò, che, all’inizio della liturgia è stato insignito dell’onorificenza di Cappellano di Gran Croce.
Nella sua Omelia, Mons. Staglianò, ricordando la Trasfigurazione di Gesù sul monte, ha sottolineato come tale evento lascia intravedere la gloria della Pasqua. Nel volto trasfigurato di Cristo, che il Padre proclama figlio amato, il Vescovo ha evidenziato come si possa riconoscere il volto della nostra umanità, che risplende di bellezza divina, poiché voluta, creata e amata da Dio. Mons. Staglianò ha pronunciato la sua Omelia pure in lingua spagnola per Don Pedro e la sua famiglia, rimarcando come la chiamata di Dio in Abramo, è chiamata universale alla fede nel Cristo e nel Vangelo della salvezza.
Al termine della Messa, Mons. Vescovo ha voluto omaggiare le Altezze Reali con il dono della sua recente pubblicazione sull’abate calabrese Gioacchino da Fiore e sulla sua teologia trinitaria. Infine, ascoltando la “preghiera del cavaliere” dell’ordine di San Giorgio che esorta alla difesa della fede e della Chiesa, Mons. Staglianò ha invitato i presenti all’impegno diuturno della “buona battaglia della fede”, per l’edificazione di un mondo più giusto e più umano, secondo il progetto di Dio.

Nasce la Fondazione di Comunità Val di Noto. “Rigenerare coesione sociale, far ripartire il Sud”

Dare voce al territorio, mettere insieme le esperienze più vive, dare sostegno a percorsi di liberazione e di speranza perché si consolidino. È con questi obiettivi che nasce la Fondazione di Comunità Val di Noto, come risultato di un cammino comune intrapreso nel 2010 dalle Diocesi di Siracusa e Noto insieme a diverse realtà del terzo settore, alcune associazioni di volontariato, cooperative sociali, esperienze di economia solidale con il sostegno della Fondazione CON IL SUD.
 
Il Vescovo di Noto, Mons. Antonio Staglianò ha diciarato: “la Fondazione Val di Noto è una “fondazione di comunità”: ovvero al centro vi sarà la cura della coesione sociale, che viene prima – per il nostro Sud – di tutto il resto, come ho scritto nel mio libro “Una speranza per l’Italia”. Quest’impegno per la coesione sociale permetterà di unire le grandi consegne del passato (la tradizione del vicinato, la laboriosità di tanti, il calore dell’accoglienza) alla responsabilità per le sfide dell’oggi: il lavoro, e con esso la dignità; lo sviluppo, non più a qualsiasi prezzo, ma come sviluppo sostenibile; l’assistenza certo, ma non l’assistenzialismo, quanto piuttosto la capacità della presa in carico dei più deboli. Per restare umani! E così ripensare il nostro Sud come laboratorio di umanità, e la nostra collocazione mediterrana come la possibilità di ritrovarci amici nella convivialità delle differenze”
 
 
Come riportato nello Statuto, la Fondazione di Comunità Val di Noto vuole operare “a favore della collettività in ambito sociale, culturale ed economico, promuovendo processi di crescita delle persone e delle comunità, a partire dalle situazioni di maggiore fragilità sociale, con prioritaria attenzione al superamento delle diverse forme di emarginazione, donne e bambini con difficoltà familiari e sociali, persone senza fissa dimora, detenuti, ex detenuti e familiari di detenuti, immigrati”. Un organismo, quindi, che si prefigge di promuovere la coesione sociale, ma anche un’economia sociale e solidale che sia aperta alle realtà più deboli della società e sia capace di attrarre i giovani e i talenti creativi: un “sistema terzo” tra Stato e mercato, che accresca l’infrastrutturazione sociale dal basso, generi sviluppo sostenibile, dia speranza ai giovani, a vantaggio dello sviluppo complessivo dell’intera comunità e della crescita della qualità della vita.
 
Al centro, il primato della progettualità, del mettersi insieme e della capacità di dar voce al territorio, così come fortemente sostenuto da Carlo Borgomeo, presidente di Fondazione CON IL SUD: “Al Sud è stata imposta un’industrializzazione forzata, anziché accompagnare uno sviluppo dolce del territorio. E oggi ci ritroviamo con tante cattedrali nel deserto o addirittura con deserti nelle cattedrali, con le industrie completamente scisse dalla realtà territoriale. Dobbiamo decidere per lo sviluppo quali siano le priorità. Salvare i ragazzi dalla strada o inseguire mega progetti pensati altrove e spesso estranei al territorio? Prima viene la coesione sociale, poi lo sviluppo economico“.
 
Con la finalità, dunque, di “pensare in prospettiva per il territorio”, l’11 febbraio 2014 si è costituita la Fondazione di Comunità Val di Noto, la quarta del Sud Italia, dopo quelle di Napoli, Salerno e Messina, tutte nate con il sostegno della Fondazione CON IL SUD. Anche la Fondazione di Comunità Val di Noto nasce con la significativa e consistente partecipazione di Fondazione CON IL SUD e con l’apporto di Caritas Italiana, in un’ottica di sostegno e rafforzamento delle “azioni di sistema contro le povertà”.
 
Nei primi cinque anni di programmazione si svilupperanno tre programmi di “policy permanenti”: – Fratello maggiore, i cui progetti intendono promuovere percorsi di presa in carico dei più deboli che diventino esemplari anche per il welfare comunitario e aiutino “ripartenze” che indichino vie di uscite possibili dalla crisi; – I progetti del programma Tessuto inclusivo, che mirano al sostegno delle presenze nel territorio tese alla coesione sociale, come cantieri educativi, centri sociale ed educativi, iniziative di cittadinanza attiva, cammini di inclusione sociale; – Telaio creativo, con progetti che promuoveranno azioni di economia sociale con cui valorizzare i prodotti degli Iblei, generare opportunità lavorative nell’ottica cooperativistica, promuovere e consolidare canali di scambio solidali.
 
Nel primo quinquennio sarà altresì avviata, nell’ottica dei territori socialmente responsabili, una “progettualità diffusa”, attraverso percorsi di coprogettazione in cui concorrere con spirito donativo e criteri di equità alla crescita del territorio.
 
La Fondazione di Comunità Val Di Noto verrà presentata lunedì 17 marzo a Siracusa, presso la Sala Convegni della Camera di Commercio, in via Duca degli Abruzzi. L’incontro inizierà alle 16 con i saluti delle autorità; è poi prevista la relazione del presidente di Fondazione CON IL SUD, Carlo Borgomeo. Seguiranno gli interventi di Francesco Marsico, vice direttore nazionale di Caritas Italiana e di Gaetano Giunta, segretario generale della Fondazione di Comunità “Distretto sociale evoluto” di Messina. Tra i relatori anche l’arcivescovo di Siracusa, monsignor Salvatore Pappalardo e il vescovo di Noto, monsignor Antonio Staglianò.
 
In mattinata Carlo Borgomeo sarà a Modica per incontrare gli studenti dell’Istituto di istruzione superiore “Galilei-Campailla”.
 

Messaggio del Vescovo per la Quaresima 2014. “Come resti Padre nel nostro dolore?”

Carissimi fratelli e sorelle in Cristo, cari amici, papà, mamme, fratelli e sorelle, figli e figlie, uomini e donne che abitate il territorio della nostra amata Diocesi di Noto, vi saluto nel Signore risorto da morte.
Abbiate pace e consolazione in Colui che “si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà” (cfr. 2 Cor 8,9).
 
Nel suo messaggio per la Quaresima, Papa Francesco ha voluto insistere su quest’aspetto del mistero di Cristo, il Buon samaritano che manifesta la sua ricchezza d’essere Figlio nella povertà del “prendere su di sé le nostre debolezze, i nostri peccati, comunicandoci la misericordia infinita di Dio”. Così, Papa Francesco invita tutti a farsi discepoli di Gesù e seguirlo nella “sua” povertà, riconoscendolo negli ultimi e nei poveri, impegnandoci con determinazione sulle strade della giustizia, dell’uguaglianza, della condivisione e della sobrietà: “l’amore rende simili, crea uguaglianza, abbatte i muri e le distanze”. Perciò, “ad imitazione del nostro Maestro, noi cristiani siamo chiamati a guardare le miserie dei fratelli, a toccarle, a farcene carico e a operare concretamente per alleviarle”. Sarà bello per tutti lasciarsi istruire dal Papa sulle tante forme della miseria, contro cui combattere: miseria “materiale”, ma anche “morale” e “spirituale”. Importante è comunque farsi interpellare su quanto conclusivamente egli afferma: “la Quaresima è un tempo adatto per la spogliazione; e ci farà bene domandarci di quali cose possiamo privarci al fi ne di aiutare e arricchire altri con la nostra povertà. Non dimentichiamo che la vera povertà duole: non sarebbe valida una spoliazione senza questa dimensione penitenziale. Diffido dell’elemosina che non costa e che non duole”.
 
A questa concretezza siamo oggi particolarmente convocati dalle condizioni generali di ristrettezza economica generata dalla crisi che stiamo attraversando. Questa “crisi materiale” genera anche tante “tristezze esistenziali” che toccano le nostre relazioni umane più sacre, come la famiglia, l’amicizia, la fi ducia, quasi inabissandoci “nella notte dove le tenebre sono più fitte”. È possibile allora che, in Quaresima, decidendo di seguire l’ammonimento del Papa, in gesti concreti di prossimità, cura, condivisione e solidarietà, possiamo percorrere – con Gesù – quella via crucis che ci salverà, proprio là dove abbiamo più bisogno di redenzione: l’umano in noi che si va perdendo in tante forme di barbarie che non indignano più nessuno, la bellezza umana in noi che più non splende nell’indifferenza dei cuori induriti dal consumo della società mercantile, la gioia umana in noi che degrada perché non si riconosce più l’amore vero, nell’abbaglio della ricerca del piacere per sé in faccia alla sofferenza degli altri. É lo stesso Santo Padre a denunciarlo nella sua illuminante Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium (La gioia del Vangelo) dove afferma che “quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete” (n. 54).
 
Ecco però la gioia più grande di questa Quaresima, secondo Papa Francesco: sta nel nostro impegno a comunicare e a “testimoniare a quanti vivono nella miseria materiale, morale e spirituale il messaggio evangelico, che si riassume nell’annuncio dell’amore del Padre misericordioso, pronto ad abbracciare in Cristo ogni persona”.
 
Per questo nel mio messaggio di Quaresima a voi tutti, carissimi fedeli della Chiesa locale di Noto, voglio domandarmi, insieme con voi: come Dio resta Padre nel nostro dolore?
 
Come sopravvissuti dopo una tempesta, pensiamo che il peggio sia passato e finalmente si possa ritornare alla riva delle nostre certezze e delle nostre sicurezze e tirare un respiro di sollievo, recuperando le forze. Spesso però e per tanti, la vita ci pone senza tregua dinanzi ad ulteriori momenti di crudele e dolorosa prova, tanto da lasciarci paralizzati ed inermi in mezzo al mare, sulla barca dello sconforto, della paura del domani e del peso di quanto ci sarà chiesto di sopportare.
 
Alcuni interrogativi nascono spontanei nel profondo del nostro cuore. Gli stessi che in questi giorni sto ascoltando dalla bocca di mio papà Gregorio, inchiodato al letto del suo dolore: “Quanta sofferenza dovrò ancora patire? Perché tutto questo capita a me? Gli altri vivono sereni, perché per me non c’è mai pace? Che cosa ho fatto di male nella mia vita per meritare tutto questo?”. È veramente vasto il vociare della sofferenza umana, come un grido unico che si eleva e raggiunge l’orecchio di Dio: è sempre il grido di Abele ucciso dal fratello, del suo sangue innocente che invoca giustizia.
 
Questi gli interrogativi che attanagliano spesso la nostra mente e talvolta induriscono il nostro cuore. Ci portano a guardare quanti sembrano condurre un’esistenza felice con invidia e cattiveria, quasi che fossero colpevoli delle nostre sciagure. Questo ci porta non di rado a chiuderci inevitabilmente nella solitudine del nostro pessimismo, convincendoci che nessuno possa capirci. Altri, per questo, giungono a pensare che Dio non esista o che ci sia solo per alcuni, i più fortunati, quelli ai quali va tutto diritto, quelli che hanno realizzato tutti i loro progetti. Così, siamo come trasportati a sentirci “figliastri” e non “figli” amati da Dio sin dall’eternità. La ferita del non sentirci amati da Dio crea un solco così profondo in noi da farci sperimentare la condizione avvilente di debolezza e di impotenza rispetto alle negatività della vita. E allora perché credere? Come confidare in Dio quando non riusciamo più a sentirlo? Come pregare? Che cosa chiedere a Dio? E soprattutto come sperare in un Dio Padre misericordioso, in un Dio Padre giusto, in un Dio Padre Amore: come resti Padre nel nostro dolore?
 
La domanda è seria, se Gesù stesso l’ha vissuta per noi sulla croce. Nel tempo del crudo dolore del morire crocefisso, per la prima e unica volta, Gesù, sentendosi come abbandonato, chiama l’Abbà suo, “Dio”. É come se la morte stringesse la sua morsa letale, scoccando una freccia avvelenata nel cuore di Gesù, puntando a distruggere il suo sentimento d’essere Figlio e il Padre restasse per Lui in quel momento solo “Dio”, nel grido: “mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato?” (cfr. Mc 15,34).
 
Effettivamente, carissimi, come resta Padre il nostro Dio: quando per i più, esistere significa guardare da lontano una tavola imbandita cui non potranno mai sedere; quando la storia ci relega costantemente ai piedi della Croce, togliendoci ogni possibilità di replica e avvilendo i nostri tentativi di alzare la testa dalle miserie di un quotidiano veramente disumano. Affermare semplicemente che Dio è Padre provvidente, è difficile e risulta astratto, aleatorio, talvolta ideologico. Il credere che siamo custoditi dal Signore dovrebbe darci la forza per vivere in pace, serenamente. Non sempre è così, perché abbiamo bisogno di conferme e di toccare con mano la Sua presenza, altrimenti ci sentiamo smarriti. L’immenso mistero della sofferenza, infatti, non si può liquidare con risposte banali, né tantomeno storpiando l’immagine di Dio a nostro uso e consumo, facendolo diventare indifferente e sadico, considerando pertanto il dolore come grazia o punizione. In tal senso, la domanda che resta sospesa nel dolore di molti è: dov’è Dio in questa sofferenza? Perché avere fede in un Dio che resta Padre?
 
Tutti nella vita attraversiamo momenti di scoraggiamento, nei quali sembra che non vada bene nulla, che nessuno ci capisca, che intorno a noi ci sia solo male, momenti di disorientamento e di perdita del controllo che mettono a dura prova il nostro essere di Cristo: in una società dove essere felici si riduce banalmente ad avere una bella casa, un lavoro gratificante, sposare una persona in vista, ottenere ciò che si desidera a qualsiasi costo, essere circondati da persone che ci adulano, andare in vacanza ogni anno, comprare vestiti di marca, permettersi economicamente la signora delle pulizie, non avere altro pensiero che scegliere il ristorante dove cenare con gli amici. É difficile, dunque, razionalmente conciliare questa dimensione idilliaca in cui tutto sembra perfetto e in cui non sono ammesse sbavature di alcun genere, con la vita dei tanti che combattono ogni giorno, con lo scacco della fine di un rapporto sentimentale o di un tradimento, con l’incapacità di affrontare una malattia grave che incombe, con il dolore per la scomparsa di una persona cara, con lo sconforto della perdita del lavoro.
 
Proprio allora non dovremmo mai dimenticare che, in Cristo, gli uomini felici e beati sono “i poveri in spirito”: quelli, cioè, che realizzano la loro umanità, riconoscendo la propria povertà, la propria debolezza e la propria dipendenza da Dio. Sono coloro i quali, anche nei momenti pesanti e difficili della storia, con il coraggio della fede, affrontano la realtà così come è e non come la vorrebbero.
 
Sorgano allora i credenti nel Cristo risorto, quelli che sanno per esperienza, perché l’hanno assaporata nella loro quotidiana esistenza, la promessa di Gesù, gridata dall’Apostolo Paolo: “niente e nessuno potrà separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù nostro Signore” (cfr. Rm 8,39). Si manifestino, cioè vengano alla luce i cristiani che, rivolgendosi a Dio nella oscurità delle tribolazioni della vita, ma nella speranza del giorno del Signore, sanno accettare con pazienza dalle sue mani la Croce, nella consapevolezza che quando il nostro operare non è sufficiente e non vale a molto, Dio non ci lascia mai soli: sarà lo stesso Dio, nostro Padre, ad attivare percorsi di grazia ed intercessione, perché questa sia la terra dei meriti che si acquisiscono con le fatiche e i patimenti e non del riposo del disimpegno e della superficialità. Capiremo tutti che il fi ne ultimo della nostra preghiera e del nostro impegno di vita sarà desiderare la gioia della Croce, cioè dell’amore vero, che spinge il dono della vita fi no a morire per le persone amate. Soltanto in quest’ottica, allora, la pazienza dell’attesa e dell’accettazione non è la dimensione del succube e del vinto dalla vita, bensì è il trionfo dei forti che offrono il sacrificio perfetto a Dio in attesa di incontrarlo, Padre di misericordia e di perdono nell’ora della morte, per essere introdotti da “figli” nel Paradiso.
 
Ha ragione Papa Francesco: “vi è una sola vera miseria: non vivere da fi gli di Dio e da fratelli in Cristo”. Prendere la propria Croce e fare la volontà di Dio è parte del prezzo da pagare (“il giogo soave e leggero” – cfr. Mt 11,29) se si vuol essere discepoli di Gesù. Essere cristiani non è la decisione di un momento, ma la scelta di una vita con Dio, condividendo la Sua volontà, non cedendo all’angoscia né all’oppressione interiore, ma lasciandoci rimettere in cammino dal Signore, imparando a guardare alla Croce come il culmine dell’Amore, come un prezzo dell’Amore, come una postazione privilegiata da cui con più insistenza contemplare l’Amore e rispondere all’Amore.
 
Recuperiamo in questa Quaresima il nostro rapporto con “Colui che hanno trafitto” (cfr. Gv 19,37) per un eccesso di amore, per essere disposti a patire le Sue sofferenze, senza mezze misure e ripensamenti, seguendolo sempre, sia quando si tratta di entrare con Lui trionfanti in Gerusalemme, sia quando si tratta di seguirlo nel Getsemani e fi no alla Croce, nella consapevolezza che Dio non affida a nessuno un peso più grande di quello che sia in grado di sopportare.
 
La nostra salvezza è, dunque, avere Dio nel cuore ed essere in comunione con Lui costantemente attraverso la preghiera: essere fi gli nel Figlio e restarlo nella forma concreta di un discepolato che a poco a poco ci fa essere come Lui, come Cristo, cioè cristiani. É l’amicizia indissolubile che ci lega a Lui a segnare e cambiare la nostra vita, riconoscendo di non farcela da soli e di avere bisogno di aiuto. Potremo allora accogliere senza riserve il Salvatore, che entra nella nostra vita, e inizia un’opera di redenzione e ci salva da noi stessi, dal nostro “carattere”, dai nostri difetti, dai nostri peccati e ci rende capaci di una vita buona.
 
Pensiamo bene, dunque: la sofferenza, in quest’ottica, è obiettivamente l’unico evento veramente nostro che possiamo offrire a Dio tramite una serena accettazione, trasformando ogni dolore in validissima preghiera, arrivando persino a considerarlo come momento prezioso di comunione con Gesù che è venuto sulla Terra proprio per morire in Croce e donarci la vita vera. Aderiremo allora alla sua persona, convinti che “se la fede non ha le opere è morta, se la fede non segna la vita, non è fede” (cfr. Gc 2,20). Ci affideremo alla Sua grazia che ci dà la capacità di vivere, non-ostante quel problema, che ci permette di attraversare il problema e di superarlo, che ci dà coraggio, che consola, che rende capace di affrontare le difficoltà. La fede non risolve automaticamente i problemi, non elimina le spine; aiuta a sopportarle, a superarle, a vivere nonostante quelle difficoltà. La fede, nel momento in cui riconosciamo di essere deboli e comprendiamo che la nostra debolezza ha un senso, rende possibile il manifestarsi della potenza di Dio che ci aiuta a non aver paura, ad accettare le infermità, gli oltraggi, le necessità, le persecuzioni, le angosce sofferte, affidandoci a Cristo, mettendoci nelle sue mani, fi dandoci di Lui perché tutto è possibile in Colui che ci dà la forza. Solo affidandoci alla Sua grazia sperimenteremo la gioia, quella gioia che come ci ricorda il Santo Padre nell’Evangelii Gaudium, non è un sentimento superficiale ed effimero di euforia o piacevolezza, ma l’atteggiamento di chi sa che la sofferenza e la morte esistono, anzi, li ha attraversati sperimentando che la vita è più forte. Il contrario di questa gioia, afferma il Papa, non è il dolore, ma “una cronica scontentezza”, “un’accidia che inaridisce l’anima”, un “cuore stanco di lottare” che “non ha più grinta” (cfr. n. 277). Dio vuole la gioia e la felicità dell’uomo, e la vuole per tutti. “Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore” (n. 3).
 
Dimostrare di avere fede nel momento della difficoltà, quando sembra impossibile credere, significa operare concretamente con un atteggiamento nuovo, significa abbandonare schemi di fede teorica basati su verità astratte ed abbandonarsi all’esperienza dell’incontro con la Persona che coinvolge la nostra vita, che la segna, che ci fa innamorare, che ci conquista, affermando con certezza “so a chi ho creduto, a chi ho dato la mia fiducia”! Non ho creduto a delle idee, non ho creduto ad una favola. Ho creduto ad una Persona, che con la sua carne ed il suo sangue, ha garantito per me e ho scelto di seguirla. Mi sono fi dato di una persona che mi ha amato a tal punto da sacrificarsi per me e che non mi ha mai deluso. So a chi ho creduto, ho creduto a Colui che ha trionfato sulla morte, per cui posso continuare nel mio impegno e posso vincere il male grazie a Lui. So a chi ho creduto e non rimarrò confuso in Eterno! Accogliamo la bella testimonianza di San Paolo: “Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno” (2 Tim. 4, 6-8).
 
La battaglia della fede è lasciare agire il Signore nella nostra vita permettendogli di salvarci: Lui è la nostra forza, con Lui possiamo combattere, con Lui possiamo vincere, in Lui possiamo conservare la fede solo se siamo capaci di stare con il nostro dolore, accettarlo, conoscerlo e guarirlo. Quando non siamo in grado di sentire quello che dobbiamo sentire, quando facciamo resistenza ai progetti di Dio o cerchiamo di sfuggire alla vita, allora siamo sconfitti. Se però ci aggrappiamo al dolore con Cristo e ci facciamo appendere alla Sua croce, la nostra sofferenza muore e rinasce la vita immensa e sconfinata. Ecco la morte di cui dobbiamo morire: non dobbiamo fuggire la sofferenza, negarla, fare finta che non esista o al contrario rimanerne paralizzati, schiacciati, ma accettarla, conoscerla e attraverso di lei scoprire, addirittura, lo scopo della nostra esistenza. La sofferenza ci pone di fronte alla nostra nudità, alla nostra essenza, al mistero della vita. E la più profonda conversione avviene sempre quando crediamo di aver toccato il fondo, quando ci sentiamo ormai senza difese, impotenti, quando ci arrendiamo, quando non abbiamo più nulla da perdere: allora capiamo che da soli non possiamo niente! É proprio in quel momento che la potenza di Dio ci solleverà! Dunque, non siamo noi con la nostra intelligenza, con la nostra volontà, con i nostri sforzi a trasformarci, ma è Dio che opera in noi.
 
Quando sentiremo il vuoto, Dio ci riempirà il cuore. Allora, nel sentire la nostra estrema fragilità e la grande misericordia di Dio, il nostro cuore cambierà, si trasformerà. Sentendo la sofferenza, sperimentando il dolore nella carne e nello spirito, collegandoli alla passione di Gesù, offrendoli a Dio, la nostra vita cambierà in profondità. La sofferenza, allora, non sarà più qualcosa da cui fuggire, ma un luogo da attraversare cercando di capire che cosa Dio vuole da noi, perché le sofferenze vengono per dirci qualcosa e nascondono sempre un tesoro prezioso: la possibilità della conversione del cuore. La invoco per tutti voi, voi invocatela per me, che ho tanto bisogno, particolarmente in questi giorni, di “capire” la Croce, di vivere nella fede quanto ho cercato di scrivervi. Preghiamo, uniti a tutta la sofferenza del mondo. Chiediamo anche a Nino Baglieri di pregare insieme con noi, soprattutto lui che ha saputo trasformare il suo grande dolore in una “croce cristiana” gravida di benedizione, di aiuto e di salvezza per tanti nella nostra Diocesi.
 
Il Signore Risorto conceda a ciascuno di voi e alle vostre famiglie, la luce della grazia e la forza della speranza, per risorgere con Lui e con Lui cercare, attraversando i patimenti della vita, “le cose di lassù”, le uniche che non deludono e durano per sempre.
 
Vi benedico, nell’intercessione di San Corrado e della Beata Vergine Maria, scala al Paradiso.
 

Domenica 9 marzo il ritiro dalle Benedettine a Modica dei diaconi e delle Caritas, dei Centri di ascolto e di aiuto

Per imparare la via di Dio, ogni anno si sale al monte della preghiera. Volutamente, con forte convinzione si convoca il “ritiro di quaresima” per le Caritas, i Centri di ascolto, i centri di aiuto e le opere caritative dalle Benedettine di Modica. Per un momento di ascolto della Parola di Dio alle 16,30 con una meditazione guidata da don Corrado Lorefice, una condivisione di lettura della storia dal basso alla luce anche dell’Evangelii Gaudium, la preghiera del vespro insieme alle monache. Quest’anno il ritiro si farà anche con i diaconi, segno di una Chiesa che vuole camminare insieme, accrescendo la comunione a partire dall’incontrarsi, unificando i momenti, evitando il moltiplicarsi di iniziative.
 
E già il 17 febbraio le opere caritative si sono incontrate anzitutto per continuare a chiedersi come Dio opera nelle loro storie, e solo successivamente pensare alle risorse, certo necessarie ma dentro fini e stili che solo nell’ascolto del Signore si chiariscono e rendono veramente ecclesiale l’appartenenza. Ci si ferma al monte di Dio, e poi si ridiscende … e appare nell’orizzonte sempre più chiaro il senso della croce, non come sacrificio, ma come dono che sa andare fino in fondo.
 
Con la capacità di affrontare la miseria assumendo liberamente la povertà. Come dice il papa nel messaggio per la quaresima: “Ad imitazione del nostro Maestro, noi cristiani siamo chiamati a guardare le miserie dei fratelli, a toccarle, a farcene carico e a operare concretamente per alleviarle. La miseria non coincide con la povertà; la miseria è la povertà senza fiducia, senza solidarietà, senza speranza. Possiamo distinguere tre tipi di miseria: la miseria materiale, la miseria morale e la miseria spirituale”.
 
E nel racconto emerge anche che i poveri, accompagnati con un affetto che sa cogliere i bisogni non solo materiali ma anche spirituali, ci aiutano a tutti ritrovarci in Dio, e così le opere caritative diventano parte integrante della missione. Sempre papa Francesco ricorda: “È bello sperimentare la gioia di diffondere questa buona notizia, di condividere il tesoro a noi affidato, per consolare i cuori affranti e dare speranza a tanti fratelli e sorelle avvolti dal buio. Si tratta di seguire e imitare Gesù, che è andato verso i poveri e i peccatori come il pastore verso la pecora perduta, e ci è andato pieno d’amore. Uniti a Lui possiamo aprire con coraggio nuove strade di evangelizzazione e promozione umana”.