Parrocchia da ripensare: culto, missione, cultura
Per una parrocchia aperta al territorio, al servizio di una fede incarnata
di don Antonio Staglianò (Direttore dell’Istituto Teologico Calabro)
«Nella parrocchia, la chiesa fa casa con l’uomo» (Primo Mazzolari)
«C’è un tratto che la parrocchia non deve assolutamente perdere. Essa è chiamata a rendere visibile la Chiesa ‘radicata in un luogo’, non soltanto in senso topografico, ma anche (e più) come rapporto con la gente, le famiglie e il tessuto della società che vive e opera in un territorio. Quando ci si chiede come mai la parrocchia sia la figura più conosciuta della Chiesa, la risposta sta proprio nel suo carattere di vicinanza e di accoglienza [‘] Quando la parrocchia cerca di essere ‘Chiesa presente tra le case degli uomini’ farà bene a tener conto che, in questo modo, fa diventare realtà un sogno che, prima di essere nostro, è di Dio: è Lui che ha pensato di prendere dimora negli uomini, e non solo l’ha desiderato: l’ha fatto» (dal Messaggio dell’Assemblea generale dei Vescovi italiani [Assisi, 20 novembre 2003])
La parrocchia appartiene a quell’insieme di segni attraverso i quali storicamente si comunica la fede cristiana nel contesto della convivenza civile. Benché non abbia una identità teologica iure divino, rappresenta una ‘scelta pastorale’ teologicamente fondata: è un soggetto pastorale e canonico importante perché la Chiesa si costituisca quale segno storico della comunione degli uomini con Dio e degli uomini tra di loro. Giovanni Paolo II lo ha richiamato, insistendo sulla sua radicazione territoriale: «se la parrocchia è la Chiesa posta in mezzo alle case degli uomini, essa vive e opera profondamente inserita nella società umana e intimamente solidale con le aspirazioni e i suoi drammi. Spesso il contesto sociale, soprattutto in certi paesi e ambienti, è violentemente scosso da forze di disgregazione e di disumanizzazione: l’uomo è smarrito e disorientato, ma nel cuore gli rimane sempre più il desiderio di poter sperimentare e coltivare rapporti più fraterni e più umani. La risposta a tale desiderio può venire dalla parrocchia, quando questa, con la viva partecipazione dei fedeli laici, rimane coerente alla sua originaria vocazione e missione: essere nel mondo ‘luogo’ della comunione dei credenti e insieme ‘segno’ e ‘strumento’ della vocazione di tutti alla comunione» (CFL 27). Don Primo Mazzolari ha detto: «nella parrocchia, la chiesa fa casa con l’uomo».
Di recente, i Vescovi italiani ‘ nella Nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia ‘ hanno opportunamente ribadito ‘ nella Nota il loro ‘si’ deciso alla parrocchia: «il futuro della Chiesa italiana, e non solo, ha bisogno della parrocchia». La parrocchia rappresenta «un bene prezioso per la vitalità dell’annuncio e della trasmissione del Vangelo», permettendo la concretizzazione del modello di «una Chiesa radicata in un luogo, diffusa tra la gente e dal carattere popolare» (n.5). Essa «figura di Chiesa semplice e umile», «Chiesa di popolo», vicina alla gente, capace di abitare i territori sui quali si gioca la vicenda umana (n. 4). Per la sua idoneità a permettere la tessitura di «rapporti diretti con tutti i suoi abitanti, cristiani e non, partecipi della vita della comunità o ai suoi margini» (n. 10), la parrocchia incarna la possibilità del Vangelo di farmi prossimo a ogni uomo, con una ‘nuova fantasia della carità’ (NMI, n. 50), interloquendo con tutti gli altri soggetti sociali del territorio e mirando alla creazione di una mentalità ispirata evangelicamente, di un ethos cristiano che alimenti la cultura diffusa. Da qui la sottolineatura della ‘via italiana’ nella scelta di una Chiesa di popolo che al di là di ogni rischioso perfettismo spirituale e organizzativo si rivolga a tutti e in tutti si sforzi di radicare un diffuso senso di Dio e un profondo senso cristiano della vita: «per mantenere il carattere popolare della Chiesa in Italia, la rete capillare delle parrocchie costituisce una risorsa importante, decisiva per il legame degli italiani con la Chiesa cattolica» (n.11). E’ la parrocchia del Concilio Vaticano II, secondo cui ‘la Chiesa cammina con l’umanità e sperimenta insieme al mondo la medesima sorte terrena’ (GS 40) .
Mentre il mondo cambia, la parrocchia fa sperare
Giovanni Paolo II ‘spera nella parrocchia’, anche nel senso che la parrocchia fa sperare dentro le attuali trasformazioni culturali, nel nostro tempo – definito da alcuni come ‘stagione dello smarrimento’ -, nei tanti segnali della crisi che attraversa l’uomo occidentale. In questa direzione, una interessante lettura dei ‘segni dei tempi’ si può rintracciare in Ecclesia in Europa, del 28 Giugno 2003 che rapporta questi segnali di crisi ad un offuscamento della speranza presente nella coscienza umana contemporanea.
Alcune esemplificazioni interpretano questa condizione antropologica:
1.1. smarrimento della memoria e dell’eredità cristiane, che si accompagna a certo agnosticismo pratico e ad un indifferentismo religioso: i simboli della presenza cristiana diventano ‘puro vestigio del passato’ a causa dell’incalzante processo di secolarizzazione, mentre si fatica a tradurre la fede in Cristo in un progetto di vita capace di innovare il tessuto sociale e culturale: il sale del cristianesimo rischia di risultare insipido, minacciato nel suo linguaggio più proprio e svuotato di senso (n. 7);
1.2. paura nell’affrontare il futuro, mentre la vita perde di significato e l’angoscia avanza, manifestandosi in tanti epifenomeni, quali la diminuzione della natalità, e il rifiuto a operare scelte definitive: lo dimostrano il calo delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, ma anche l’aumento dei divorzi e l’indisponibilità a stabilire legami duraturi che valgano il sacrificio di una vita;
1.3. la frammentazione dell’esistenza che porta a solitudini sempre più acutizzate, a divisioni e contrapposizioni (crisi familiari; conflitti etnici; atteggiamenti razzisti); l’indifferenza etica si coniuga con un egocentrismo esasperato, ravvisabile anche nella eccessiva ‘cura spasmodica per i propri interessi e privilegi’;
1.4. il crescente affievolirsi della solidarietà interpersonale, motivato certo dall’individualismo imperante, ma anche da una figura della globalizzazione tutta orientata a «seguire una logica che emargina i più deboli e accresce il numero dei poveri della terra», mentre le persone ‘ anche quelle assistite dal lodevole sforzo di tante istituzioni -, si sentono lasciate in balia di se stesse «senza reti di sostegno affettivo» (n. 8).
Si tratta dell’emergere di una nuova cultura – dominata dai media e spesso in contrasto con il Vangelo, talvolta ostile alla predicazione ecclesiastica-, nella quale grande spazio e posizione dominante hanno stili di pensiero e atteggiamenti di vita improntati all’edonismo, al pragmatismo, al relativismo e al nichilismo: si fa strada un nuovo uomo che nulla a che a fare con l’uomo nuovo del Vangelo, in una visione antropologica senza Dio e senza Cristo: «la cultura contemporanea dà l’impressione di una ‘apostasia silenziosa’ da parte dell’uomo sazio che vive come se Dio non esistesse» (n. 9).
Il contesto occorre ‘ con occhio illuminato dalla speranza cristiana ‘ riconoscere i «segni dell’influsso del Vangelo di Cristo nella vita delle società»: il recupero della libertà della Chiesa all’Est e un nuovo impulso nell’azione pastorale; il concentrarsi della Chiesa nella missione spirituale e il primato dell’evangelizzazione anche nei confronti della società civile e politica; una maggiore consapevolezza della missione del laicato negli spazi propri, la valorizzazione della presenza della donna.
Tra i segnali che aprono alla speranza, guardando alla vita ecclesiale, il Papa tra gli altri (i testimoni della fede cristiana, i tanti santi del nostro tempo ecc.) parla anche della parrocchia: essa «rimane in grado di offrire ai fedeli lo spazio per un reale esercizio della vita cristiana, come pure di essere luogo di autentica umanizzazione e socializzazione sia in un contesto di dispersione e anonimato proprio della grandi città moderne, sia in zone rurali con poca popolazione» (n.15).
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