Relazione del Vescovo Mons. Staglianò tenuta a Roma il 21/04/2009 per il Simposio Internazionale su Anselmo d’Aosta nel IX centenario della morte

Preghiera e argomentazione filosofica nel Proslogion di Anselmo d'Aosta
28-04-2009

Il Proslogion è espressamente un dialogo con Dio alla ricerca di intelligenza. L’approfondimento logico è inquadrato dentro un atteggiamento di invocazione dell’uomo verso il suo Dio, contemplato nella maestà della sua vita divina e amato nella misteriosa ineffabilità della sua misericordia. È una situazione esistenziale dentro la quale il pensiero cogitante vive e dalla quale trae forza: la preghiera introduttiva non deve soddisfare semplicemente le esigenze della scelta di un particolare genere letterario. Essa è molto di più di un ‘accorgimento stilistico’, perché fonda il dinamismo del pensare anselmiano, costituendo le condizioni delle possibilità reali del suo vero esercizio.


Viene così a stabilirsi un ‘legame stretto’ tra il movimento riflessivo della ragione e la decisione credente dell’orante. Il tema toccato è Dio, la sua esistenza, i suoi attributi: un tema suscettibile non solo di trattazione strettamente teologica, ma anche di sviluppo squisitamente filosofico, proprio perché coimplicativo di una concezione generale della realtà e dell’essere, dell’uomo e della storia. La presunzione anselmiana sarebbe quella di poter intensivamente ricercare sul piano filosofico, mantenendo o, per lo meno non nascondendo, un influsso da parte della fede storica ed ecclesiale (mistica) sul livello della conoscenza come tale. Cogitatio e meditatio appaiono armonicamente come due modalità differenti dell’unico movimento con cui lo spirito umano attinge vera conoscenza. Ha ragione R. W. Southern: «preghiera e meditazione costituiscono due modi strettamente collegati tra loro di sforzo mentale. Il loro intrecciarsi è uno dei caratteri principali del metodo anselmiano». E’ senz’altro questo il motivo per cui il modo di ‘porsi in pensiero’ di Anselmo ha ricevuto così ampio spazio nella Fides et ratio di Giovanni Paolo II – l’enciclica dedicata al rapporto tra fede e ragione ‘ che sottolinea la ‘circolarità virtuosa’ tra pensare e credere in una epistemologia nella quale la fede e la ragione permangono nella loro rispettiva autonomia e, tuttavia, doverosamente non si esercitano in netta separazione, ma piuttosto in un mutuo sostegno epistemico: fides quaerens intellectum ‘ intellectus quaerens fidem.

 

La ‘sola ratione’ non è ragione isolata


Denominato impropriamente’Padre della scolastica’ (non esiste ancora in Anselmo la distinzione chiara di Tommaso tra ragione e fede, tra filosofia e teologia), egli rifondò su nuove basi la teologia, approfondendo il momento speculativo e razionale del discorso della fede. Il suo progetto di fides quaerens intellectum rimanda a una particolare figura della ragione che non è riconducibile nè all’intellectus della patristica, nè alla ratio dell’alta scolastica. Il suo metodo è quello delle rationes necessariae (della scoperta della intrinseca necessità del dato), perciò è metodo intenzionalmente filosofico. L’oggetto della sua riflessione è, però, dichiaratamente teologico: il libero agire di Dio con l’uomo, creato e chiamato in Cristo a libertà. In questo senso, la meditazione anselmiana è ad un tempo filosofica e teologica. Il famoso argomento del Proslogion intreccia i due livelli della riflessione unitaria di Anselmo: quello della ‘sola ragione’, della motivazione critica spinta al massimo della sua necessità implicativa e quello della fede che cerca di comprendersi, in cerca dell’intelligenza della propria misteriosa oscurità.
Anselmo crede, ma vuole capire ciò che crede. Assertore di un profondo legame tra fede e intelligenza, egli apre il dialogo con il ‘non credente’ e con l’infedele, sicuro che la mente umana dischiude un itinerario di intelligenza praticabile a chiunque usi la ragione in modo onesto. Perciò egli non teme di riflettere razionalmente pregando il suo Dio: non ha timore di approntare una prova razionale dell’esistenza di Dio nell’invocazione della grazia che deve illuminarlo nel cammino della sua scoperta. La fede viene al pensiero. Il pensiero non disdegna di avanzare nella fede stessa.


Dalla fede creduta Anselmo mutua, infatti, quella denominazione di Dio in quanto id quo maius cogitari nequit , riconosciuto poi presente alla mente umana come suo fondamento costitutivo. Poichè è nell’intelletto, ‘ciò di cui non si può pensare il più grande’ non può restare soltanto sul piano ideale; non può non esistere anche nella realtà, diversamente non sarebbe quello che si dice che è , non sarebbe ciò che è, cioè ‘ciò di cui non si può pensare il più grande’. Ma questo è contraddittorio. Il passaggio apparentemente semplice postula invece qualcosa che non viene discusso, come, per esempio, l’acquisizione neoplatonica che l’esistente in re è più grande dell’esistente solo in intellectu. Tuttavia una più equilibrata interpretazione del dettato anselmiano impedisce il giudizio del ‘salto indebito’ dal livello logico a quello ontologico che la tradizione critica da Gaunilone, attraverso Tommaso e fino alla sistemazione di Kant, gli ha ingiustamente accreditato.


 

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