Relazione di Mons. Staglianò al Convegno nazionale Migrantes a Frascati il 23 settembre 2009

'Cieli nuovi e terra nuova'. L'accoglienza: dimensione ontologica della comunità cristiana
02-10-2009

«Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta [‘]Senza verità, senza fiducia e amore per il vero, non c’è coscienza e responsabilità sociale, e l’agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società, tanto più in una società in via di globalizzazione, in momenti difficili come quelli attuali» (Benedetto XVI, Caritas in Veritate, n. 3).

 Secondo Benedetto XVI il significato della carità svelato dalla verità è donazione-accoglienza-comunione: «La verità è  luce che dà senso e valore alla carità. Questa luce è, a un tempo, quella della ragione e della fede, attraverso cui l’intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità: ne coglie il significato di donazione, di accoglienza e di comunione. Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L’amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. E` il fatale rischio dell’amore in una cultura senza verità. Esso e` preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrari» (Caritas in Veritate, n. 3). Ciò che è detto della carità, vale anche per l’accoglienza, che è una specificazione di significato della carità cristiana: da qui l’importanza e l’interesse della nostra riflessione sull’accoglienza  come dimensione ontologica della comunità cristiana.

1. La verità dell’accoglienza
 L’accoglienza non è semplicemente un modo-di-porsi e di rapportarsi della comunità, ma ne dice più profondamente l’essere: accogliere non è solo un fare-operare del cristiano, ma è soprattutto un manifestare-svelare la realtà che si è, che costituisce e determina la vita stessa della comunione ecclesiale, dichiarandone la credibilità. Vale l’adagio classico: agere sequitur esse. Perciò, l’agire va verificato sull’essere, potendolo manifestare o anche tradire: l’essere è la realtà, la verità.
 Appartiene a questa verità dell’accoglienza il fatto vero che il cristianesimo non è solo dottrina, ma piuttosto evento, irriducibile a gnosi: l’accoglienza/ospitalità sintetizza bene la priorità dell’annuncio con quello della testimonianza per una evangelizzazione realizzata con ‘fatti e parole intrinsecamente connessi’ (DV 4). Così, se l’accoglienza diventa una ‘categoria teologica’ per comprendere la vita cristiana dei singoli e delle comunità essa si lascia scandagliare e collocare alle radici dell’essere, oltre e al di là ( o anche al di qua) del livello dell’emozione soggettiva o anche della compassione collettiva: accogliere per un cristiano esprime una stato ontologico, prima ancora che un dovere morale. ‘Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato’ (Gv 13,34) è un comandamento che certo implica l’urgenza di superare steccati culturali, forme di egoismo radicate, pregiudizi etnici e religiosi, per dare epifania all’amore come donazione unilaterale  e incondizionata (leggi eucaristica) che vince sulla morte della seduzione. La sua pratica però è possibile perché ‘cieli nuovi e terra nuova’ sono stati creati: cioè una conversione ontologica della creatura umana è accaduta nella storia per la grazia di Cristo, per l’amore effuso nel cuore dei credenti, per cui l’esercizio dell’accoglienza rimanda a un-essere-per-gli-altri quale realtà della persona rinnovata ontologicamente nell’amore e dall’amore.


 

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