Vivere da cristiani è assimilare preogressivamente l’esperienza di Cristo sintetizzata nelle prime due domeniche di quaresima: camminare nella fedeltà al Padre per raggiungere la meta della trasfigurazione gloriosa. L’itinerario è reso possibile a una condizione: ascoltare la Parola di Dio, radicarsi in essa, accettarne le esigenze. La liturgia di questa domenica e delle due successive fa rivivere, nel mistero, al cristiano le grandi tappe attraverso cui i catecumeni erano (e sono) aiutati a scoprire le esigenze profonde della conversione a Cristo, nei segni dell’acqua, della luce, della vita.ù
Al centro della liturgia di questa terza domenica di quaresima sta l’acqua come punto di convergenza e di incontro di due interlocutori: l’uomo e Dio. L’acqua diventa il simbolo che compedia ed esprime la richiesta dell’uomo e la risposta di Dio.
Breve riflessione del Vescovo di Noto Mons. Antonio Staglianò
Gesù incontra la donna di Samaria al pozzo di Giacobbe
“Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna “ (Gv. 4, 13-14)
Avete mai fatto l’esperienza di trovarvi dinanzi ad una persona che ne sa di voi più di voi? Potremmo restare inchiodati alla paura di venire scoperti in qualche magagna. Ci ribelleremmo subito, appellando alla privacy, nella società democratica e della libertà individuale, abituati come siamo a portare in giro le nostre maschere, con le quali pensiamo di poterci difendere dagli altri. La faccia che esibiamo è molto spesso diversa dal nostro volto: quest’ultimo però è guardato sempre da Dio, che ne sa senz’altro più di noi, sempre e comunque. Dio ci conosce nell’intimo, nell’anima e vede i nostri desideri più nascosti, le intenzioni recondite del nostro cuore, la condizione morale che viviamo, al di là appunto della scena sulla quale interpretiamo la nostra parte di uomini e donne “buone”, “oneste” laboriose”, “religiose” etc. etc.
Per la Samaritana fu un appuntamento inatteso con Gesù. E’ Lui ad arrivare prima al pozzo e a “occuparlo”: ha sete, vuole bere. Ricordo una predica di don Primo Mazzolari che presenta Gesù al pozzo di Giacobbe come un “povero”, un “medicante”. E’ Lui infatti a chiedere: “dammi da bere”. Esplicita il suo bisogno, a partire dal quale dischiude una relazione umana con una donna, una samaritana, anch’ella mendicante, povera in tanti sensi. E’ dunque un incontro tra poveri e mendicanti: è questo il mistero vero di Dio, che pur essendo Dio si fa tutto a tutti, si pone nella stessa condizione umana, raggiungendo certe profondità umane che l’uomo stesso non raggiungerebbe senza il suo aiuto. C’è bisogno di acqua che soddisfi la sete. Nulla però è così materiale nelle parole e nei gesti di Gesù, ma anche nella stessa sete della samaritana. Si tratta di un’altra sete, di giustizia, di verità, di nobiltà d’animo, di fiducia, di trasparenza, di amore. Gesù ha sete della sete della samaritana e vuole soddisfarla definitivamente con l’acqua che zampilla per l’eternità.
E’ l’acqua che non solo disseta, ma ancor prima purifica la vita, rende pulita l’esistenza. Di quest’acqua la samaritana ha veramente sete. E’ come se attendesse da Gesù un “discernimento nel profondo”: “donna l’uomo che vive con te non è tuo marito, perciò hai detto bene di non aver marito”. La donna lo deve sapere: urge una trasparenza morale per vivere la vita umanamente. La miseria morale dell’infedeltà, del tradimento, della mercificazione del proprio corpo (e così via di questo passo) non rende bella la vita e non la fa vivere umanamente: è sempre un piace cercato per sé in faccia e contro la sofferenza di altri. La donna samaritana è simbolo della ricerca umana della autenticità, mentre ci si trova nella condizione “mascherata” dell’inautenticità e si vive la vita “come se … tutto fosse a posto”. In realtà “tutto a posto non è per niente”: c’è sempre qualcosa che ha bisogno di redenzione. C’è sete di un’acqua che può purificare la vita se solo togliessimo la maschera e chiedessi da “mendicanti” un aiuto che può venire solo da Dio.
E’ proprio così: sarà pi questo il vero insegnamento di quest’incontro tra la samaritana e Gesù? Questa donna si trova – al di là delle apparenze e più o meno consapevolmente – in una condizione di “miseria morale” che la rende infelice, comunque insoddisfatta: l’attingere ogni giorno quell’acqua è metafora di una fatica che vorrebbe dissolvere. E’ possibile però solo se riceve l’acqua zampillante per la vita eterna. Con quell’acqua potrà non faticare più ed essere veramente felice. Si tratta ora di venire a sapere cos’è quest’acqua e chi la può donare, per poterla chiedere e finalmente ricevere. La si può chiedere solo a Dio, perché solo Dio la può donare. E però, quale Dio?
La domanda teologica che la samaritana pone a Gesù – probabilmente per il gusto di intrattenersi su “cose serie” con un ebreo, approfittando che un maschio ebreo ha osato parlare (perche di fatto non si poteva) con una donna e per di più samaritana -, non è teorica, ma concrete: riguarda l’adorazione religiosa – dove si adora Dio -, ma coglie la vita. La vita di una persona infatti cambia notevolmente quando si viene a sapere dove si adora Dio. Si trasforma effettivamente quando si dovesse venire a sapere – come accade alla samaritana – che Dio non si adora sul monte o a Gerusalemme, ma piuttosto in un esistenza trasparente sul piano etico e morale, una vita vissuta nella logica del dono e dell’amore, e non dello sfruttamento e del dominio. Il Dio di Gesù è “suo” Padre e il Padre suo si adora in “spirito e verità”, perché questo Dio vuole e cerca (è mendicante anche Lui) questi adoratori.
E allora? Ecco il miracolo che accade nell’incontro per la samaritana. Questa è l’acqua che riceve: un discernimento interiore della sua vita che la porta a decidere di vivere umanamente e attraverso una vita umana (= non mascherata, ma trasparente) adorare il Dio vivente. Il proprio corpo, la propria esistenza,la propria vicenda storica diventa il “tempio” nel quale Dio ama abitare e prendere dimora, essere adorato. Così Gesù la converte per davvero e le fa sperimentare una gioia immensa che la samaritana non può trattenere: ella corre, infatti, a raccontare a tutti dell’incontro che le ha ormai cambiato la vita.
E noi?
Ogni anno, forse, viviamo la nostra quaresima con stanchezza e aspettiamo che questo tempo si concluda per riposarci: il pensiero di dover far forza sulla nostra volontà per tentare il cambiamento ci spossa, per cui aspettiamo la Pasqua non tanto per gioire dei cambiamenti che siamo riusciti a ottenere nella nostra vita, ma piuttosto per la tranquillità di riprendere una ferialità che non ci costringe a dover pensare al mutamento, alla conversione, alla metanoia.
Certo, quaranta giorni sono pochi per raggiungere una conversione, non per niente cerchiamo di ottenere di più l’anno successivo. Di quaresima in quaresima, grazie alla esperienza della Chiesa, (la quale ci aiuta in questo) speriamo che la prossima sarà più fruttuosa. Tuttavia come la donna di Samaria potremmo essere incontrati in un ora precisa, quando meno ce lo aspettiamo, magari in gesti banali. La donna si trova a eseguire un gesto tra i più semplici e tra i più usuali al tempo: attingere dell’acqua.
Il comune bisogno di bere ha condotto la donna a quel pozzo in quell’ora: non poteva minimamente immaginare che lì avrebbe fatto l’esperienza di incontrare la Verità.
Gesù sa cosa dimora nel cuore della donna, sa che lei non è lì solo per tirare su dell’acqua, ma è anelante. E’ in cerca di chi le faccia chiarezza, di chi le indichi dov’è la verità, di chi le faccia scoprire cosa voglia dire adorare Dio “né su questo monte né in Gerusalemme”, perché chi le sta di fronte è Colui che rivelerà ogni cosa, essendo la manifestazione del Dio vero ed eterno, il Dio vivo dell’acqua via che zampilla per la vita eterna.
Parlare al cuore è cosa assai difficile, chi può sondare le profondità dell’animo umano? Solo chi ha umanità, lo può fare. Dio lo può in Gesù, perché in Gesù Dio è anche umano, il vero umano. Perciò noi non ci scoraggiamo nel cammino difficoltoso dell’esistenza, spesso segnato dall’incomprensione anche di noi stessi. Quando la nostra coscienza si ritrova inquinata dal peccato, quando non riusciamo a riconoscere e dare senso ai nostri gesti, quando non riusciamo in nessun modo a rimettere all’altro ciò che a nostra volta noi abbiamo avuto condonato, siamo certi che c’è un punto accessibile nel cuore di ogni uomo dal quale può partire tutto il bene possibile e c’è pure un luogo dove solo Dio può accedere: proprio quel luogo, se si tiene aperto, svuotato d’ogni forma di presupponenza, diventa occasione di salvezza e di liberazione.
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