Un centinaio di animatori Caritas e di volontari si sono ritrovati all’inizio della Quaresima al Monastero delle Benedettine di Modica per «ascoltare il Signore» ed evitare di fare di “testa propria”. Rinnovando la consapevolezza che la questione centrale è la conformazione a Cristo, e subito dopo la possibilità che gli altri possano ritrovare nella comunità cristiana un lievito di speranza. Quella vera, quella che viene da una “virtù provata”! Conformarsi a Cristo che è stato “tutto per gli altri” e ha portato su di sé il peccato del mondo, ritrovare per questo un cristianesimo “mistico” e non ridurre la carità a mera filantropia: sono state le sottolineature continue da parte di don Corrado Lorefice commentando il capitolo sesto della lettera ai Galati. Chiarendo fin dall’inizio come la mentalità del mondo occidentale, che insidia pure i credenti, parte dall’opposto: dall’individualismo assoluto. Facendo perdere quel senso del “compatire” che pure era presente nella nostra gente, tradotto in un termine (e una pratica) come “cumputtare”. Eco dei tanti testi biblici, paolini, in cui è proprio di Cristo (e quindi del cristiano) prendere su di sé l’altro, ritrovando la verifica nel fatto che l’altro è peso, e così non diventa possesso! Per questo è necessario convertirsi ma la conversione è, prima che morale, culturale e teologica. Come chiariva Dossetti nel suo intervento “Sentinella quanto resta nella notte?”: «C’è da chiedersi se tali degenerazioni (ndr: la mentalità occidentale centrata sull’io assolutizzato) non siano insite nel pensiero occidentale, come sostiene Levinas. A suo parere, possono essere evitate non con un semplice richiamo all’altruismo e alla solidarietà, ma ribaltando tutta la impostazione occidentale, cioè ritornando all’impostazione ebraica originale, nella quale si dissolve proprio questa partenza dalla libertà del soggetto. I figli di Israele sul Sinai, nel momento più solenne e fondamentale di tutta la loro storia, quando Mosé propose loro la Legge, hanno detto: Faremo e udremo (Es. 24,7). Cioè essi scelsero un’adesione al Bene, precedente alla scelta tra bene e male. Questa accettazione è la nascita del senso, l’evento fondante l’istaurarsi di una responsabilità irrecusabile». Per questa conversione è necessario coltivare l’uomo interiore, l’uomo che sa fermarsi «per ridare spazio allo Spirito perché ci conformi come uomini nuovi all’Uomo nuovo». L’uomo che «guarda la storia a partire dalle cose invisibili». L’uomo che non pensa allora più a se stesso ma «partecipa alle sofferenze di Dio». Don Corrado ha concluso citando Bonhoeffer, rilevando ancora una volta come – nell’ascolto e frequentazione del Signore – leggiamo meglio “dove siamo”, ma anche cogliamo meglio la chiamata di fondo: «Gli uomini vanno a Dio nella loro tribolazione, piangono per aiuto, chiedono felicità e pane, salvezza dalla malattia, dalla colpa, dalla morte. Così fanno tutti, cristiani e pagani. Uomini vanno a Dio nella sua tribolazione; lo trovano oltraggiato, povero, senza tetto né pane. Lo vedono consunto dai peccati, da debolezza e morte. I cristiani stanno vicini a Dio nella sua sofferenza. Dio va a tutti gli uomini nella loro tribolazione; sazia il corpo e l’anima del suo pane, muore in croce per cristiani e pagani, e a questi e quelli perdona».
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