“Dal dolore alla speranza” questo è il titolo della mostra del Prof. Elia Li Gioi, che dal 28 luglio espone le sue opere sotto le austere volte della splendida Basilica Cattedrale di Noto. Una mostra che nelle intenzioni del Maestro Li Gioi, vuole spingersi oltre il fatto estetico dell’evento, per veicolare un messaggio, per raccontare una storia, quella di tanti uomini, donne e bambini che vivono il dramma dell’immigrazione, che in questi ultimi tempi ci tocca da vicino, visti gli innumerevoli sbarchi, spesso con esito tragico, che interessano le coste del nostro territorio.
I lavori del Prof. Li Gioi comprendono installazioni e opere su tela, con tecniche miste. Interessanti e di notevole impatto i suoi “totem” lignei, ricavati dai relitti delle imbarcazioni, che affrontando i viaggi della speranza, sono diventati testimoni silenti del dolore di chi lascia la propria terra, alla ricerca di un futuro migliore, ricerca che in molti casi si infrange, come le onde del mare, sugli scogli dell’egoismo e dell’indifferenza umani. Questi relitti di barconi sono opere “vive” che odorano ancora di salsedine come di lacrime, di sudore e di morte, che narrano un dolore senza fine, che lanciano un grido di rivolta all’Europa e al mondo.
“Abbiamo smarrito l’esperienza del piangere” ha sottolineato con forza Papa Francesco in visita a Lampedusa. Le opere del Prof. Li Gioi vogliono farci ritrovare il coraggio di fermarci per considerare la tragedia di questa umanità disperata, che non comprende solo gli immigrati, ma l’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, l’uomo debole, fragile, ferito, impastato di umanità e di divinità, l’uomo che soffre ma che non si arrende al dolore e il suo grido – come quello raffigurato dal Maestro Li Gioi nella smorfia di dolore di un Giovanni Paolo II ormai allo stremo delle forze – questo grido di dolore condensa ed esprime in maniera più che eloquente l’angoscia di un’umanità che tuttavia non si rassegna alla morte, che non si arrende, che vuole lottare e vuole vincere, finché questo grido di sofferenza non diventi l’urlo liberatorio di una vita che ri-nasce, come il bimbo che viene alla luce, dopo il travaglio del parto. Ma adesso lasciamo parlare il Prof. Li Gioi, che ci spiegherà il significato più profondo di questa mostra – dentro un luogo sacro, come la vita di ogni persona -il messaggio che vuole lanciare, che è fondamentalmente di speranza e di rinascita.
Prof. Li Gioi, può parlarci della genesi di questa mostra,perché è nata, cosa ci vuole comunicare?
La mostra nasce dalla mia vicinanza con quelle che oggi Papa Francesco chiamerebbe le “periferie del mondo”. Esperienze personali che mi hanno forgiato e figure di riferimento esemplari ai quali mi sono sentito vicino, come Don Milani e Helder Camara. Provengo inoltre dalla formazione artistica dell’Accademia di belle arti di Firenze, nella quale ho maturato il mio percorso artistico e umano. Per me l’arte trasmette segmenti di riflessione, più che mai in questi giorni di esposizione in Cattedrale qui a Noto. Questa mostra in un luogo sacro, non è in dissonanza con i temi delle mie opere, che hanno a che fare con l’uomo, con la vita. Cosa c’è di più sacro della vita? Se nelle chiese si proclama la parola di Dio, questa mostra in Cattedrale proclama la parola degli uomini e in questo non c’è contraddizione. Uomo e Dio non sono rivali, c’è un solo messaggio: quello di un dolore pieno di speranza, che sale dall’umanità stanca, che attende salvezza. Queste opere non devono lasciarci indifferenti, devono poterci scuotere e interrogarci sulla possibilità di un futuro diverso.
C’è in queste opere una drammatica bellezza; si può parlare di un’estetica del dolore, esso che ci appare quale non-senso e contraddizione? Cosa vuol dirci la sofferta visione di un’esistenza che appare votata all’assurdità e alla disperazione?
Sembra una contraddizione: la“bellezza” di questo dolore vuole farci maturare un nuovo sguardo sulle cose. Direi che è una bellezza all’incontrario, che attraversa la bruttura della sofferenza, ma per aprirsi alla speranza: dolore e speranza cammino insieme, per dirci che c’è sempre una via di uscita, una nuova possibilità. Un mondo migliore è possibile, una umanizzazione dell’economia, della politica, della società non è un’utopia. La bellezza salverà il mondo, quella di una nuova umanità, che ci fa più giusti, più solidali, più vicini ai bisogni di chi mi sta vicino o anche lontano. Questa mostra vuole dirci: siamo una società imbarbarita, diventiamo più umani, costruiamo una società più fraterna e solidale.
Nelle sue opere c’è una particolare attenzione ai volti, quelli degli immigrati, come quello sofferente di Giovanni Paolo II. Cosa può dirci riguardo a questa sottolineatura, quale l’appello di questi volti, che non conosciamo, ma che in fondo ci appaiono così familiari, quasi assomigliandoci?
Dal dolore di questi volti si può ripartire, essi esprimono anche forza e coraggio; il loro non è un dolore arrendevole. Sono volti oserei dire “sacri”, in essi c’è una passione divina, i tratti del Cristo sofferente. Ma in essi può anche intravedersi la luce della risurrezione, volti trasfigurati, che profumano di vita. In questo dolore c’è una esplosione di amore e di vita in tutta la loro forza. Questi volti ci appartengono, sono il volto di una umanità che si prepara ad accogliere l’alba di un nuovo giorno.