Si è tenuta il 02 dicembre presso la scenografica chiesa di San Giuseppe di Modica la presentazione del XIX rapporto del Dossier Statistico 2009 curato da Caritas – Migrantes , curato e voluto dalla Scuola Speciale per Assistenti Sociali “F. Alcontres”. L’incontro moderato dal Direttore della Scuola Padre Matarazzo gesuita e dal Direttore della Caritas Diocesana di Noto prof. Maurilio Assenza si è aperto con la testimonianza di Lucia proveniente dal Madagascar, che da anni lavora presso l’istituto che forma assistenti sociali. Un ottimo esempio di integrazione, ha fatto comuni le proprie esperienze di migrante, le difficoltà iniziali legate alla lingua, ai pregiudizi della gente sul suo matrimonio con un italiano (che dura da 17 anni), del suo lavoro, dei suoi studi. Lucia ha però in qualche modo dato la risposta del migrante alla domanda che spesso ci poniamo “come facciamo funzionare l’integrazione?” INCONTRANDO LE PERSONE GIUSTE. L’integrazione può funzionare se diamo una mano amica e se ci interessiamo a chi ci chiede di essere accolto.
Ed è quello che ci dimostrano i dati del Dossier, abilmente spiegati da Vincenzo La Monica che è sempre in grado di umanizzare numeri e statistiche fornendo una chiara lettura di come stanno veramente le cose. Alcuni dati del Dossier sfatano luoghi comuni diffusi sul fenomeno immigrazione che sottolineano differenze fra la percezione che noi abbiamo degli stranieri e la realtà. Fra i tanti esempi cito quello che riguarda la criminalità: la nostra percezione ci fa credere che l’aumento della presenza degli stranieri nel nostro Paese coincida con l’aumento della criminalità. I dati della Caritas non confermano questa ipotesi. Vincenzo La Monica ha poi chiarito quale è l’azione rivolta alle istituzioni adottata dalla Caritas riguardo al fenomeno immigrazione: il pacchetto sicurezza voluto a luglio dal Governo deve essere contenuto in un più grande e impegnativo Pacchetto Integrazione. Non si può continuare ad agire sull’emergenza, strumentalizzare i mass media, creare timori e paure. L’Osservatorio delle Povertà della Diocesi di Noto ha per questo scelto di intraprendere una ricerca sull’integrazione che ci aiuti a capire come il nostro territorio vive il fenomeno dell’immigrazione in tutte le sue sfaccettature: la scuola, il lavoro, la sicurezza, il rapporto con la società civile. Perché conoscenza è solidarietà.
L’incontro ha visto poi l’intervento commovente e toccante di Dana, una donna rumena che ha sofferto la perdita del suo piccolo bambino in un incidente nelle campagne modicane la scorsa estate. Dana è salita sul palco tenendo fra le mani un piccolo foglio per poter essere più sicura nelle sue parole, quando ha guardato la platea che stava per ascoltarla ha buttato via il foglio e ha parlato con il cuore. È partita dal suo Paese per dare un futuro ai propri bambini, ha trovato nella lingua l’ostacolo maggiore. La sua vita è stata segnata da incontri positivi e negativi: datori di lavoro che non capivano il suo disagio ma anche famiglie che l’hanno accolta come una figlia e le hanno insegnato la nostra lingua. Poi la sua famiglia l’ha raggiunta, il marito e i suoi due figli. Dopo i primi problemi sono riusciti entrambi a trovare lavoro, a inserire i bambini a scuola, a farsi degli amici. Ma purtroppo una tragedia ha compromesso la serenità della sua famiglia, la scomparsa prematura del loro piccolo bambino. Ma Dana è riuscita a trovare la forza di continuare proprio nella solidarietà della comunità: con splendido stupore Dana ci ha raccontato di come la gente le regalava un sorriso o un abbraccio per strada o nella sua casa o in parrocchia; di come persone sconosciute si sono unite al suo dolore e le hanno fatto forza. “Ho capito cosa significa far parte di una comunità”. Lei e suo marito non volevano più rimanere a Modica, tutto ricordava loro il dramma sofferto, eppure una volta tornati in Romania hanno sentito il bisogno di ricongiungersi con la nostra comunità che tanto li aveva aiutati a sopportare il terribile lutto. E sono tornati. E adesso è compito nostro non abbandonarli e alleviare il loro dolore, perché il dolore non ha razza, la sofferenza non ha patria.
Il piccolo angelo volato in cielo, dice Dana, si chiamava Mario, un nome italiano.
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