Carissimi fratelli e sorelle in Cristo risorto da morte,
nell’imminente ricorrenza della Pasqua del Signore, il mio pensiero corre a tutti voi per dirvi il mio affetto, la mia vicinanza attraverso la preghiera, la mia disponibilità ad essere sostegno concreto nel vostro cammino di fede e conforto costante nella solitudine (per non pochi, angosciante) a cui la vita sovente ci espone.
Chiedo al Signore che, nella fatica di vivere, ognuno di voi possa fare esperienza di momenti di solidarietà e di speranza, perché per vivere abbiamo bisogno innanzitutto di non essere lasciati soli nel momento della prova e, poi, abbiamo bisogno di speranza: quella speranza messa a dura prova da un futuro che si presenta spesso come una sfida difficile da vincere.
Dentro di me, in tal senso, sento particolarmente forte il desiderio di condividere con tutta le comunità cristiane della diletta Diocesi di Noto alcune riflessioni che da tempo, con prepotenza, si fanno spazio nel mio cuore e nella mia coscienza. Esse urgono risposte capaci di dare senso alle nostre esistenze, oggi più che mai bisognose di speranza vera, d’incoraggiamento sincero e di entusiasmo vivificante.
“Soffri con me per il Vangelo, con la forza di Dio” (2 Tim. 1, 8-10)
Mi sono chiesto più volte quale possa essere l’augurio più bello da farvi a Pasqua e come sia possibile, senza rischiare di essere scontati, poco credibili, convenzionali, parlare di Cristo morto e risorto per noi a quanti ogni giorno vivano soltanto esperienze di dolore e di disperazione. Un pensiero ricorrente è rivolto ai nostri ammalati ed anziani provati dalla sofferenza, dal dolore fisico e dalla solitudine, alle famiglie oppresse dai diversi problemi, ai nostri giovani schiacciati dalla solitudine, dalle diverse preoccupazioni e dalla paura del futuro.
Come comunicare speranza ai tanti giovani che da anni alla ricerca di un lavoro, accontentandosi spesso anche di posizioni squalificanti rispetto agli studi effettuati, vedano come unica soluzione possibile per loro affidarsi al potente politico di turno che in cambio di voti promette loro una sistemazione che purtroppo non arriva mai? Cosa dire poi a quanti non più giovani, a causa dei tagli generati dalla crisi economica, abbiano perso improvvisamente il lavoro e si trovino a fare i conti con il mutuo della casa da pagare e con la famiglia da sostenere?
Come portare consolazione a quanti abbiano perso i propri i cari, vittime di situazioni drammatiche quali incidenti stradali, atti di violenza, scelte di vita pericolose e sbagliate?
Come stare accanto a quanti, affetti da malattie gravi, prostrati nel corpo e nello spirito, vivano ogni giorno l’esperienza disperante della precarietà della vita e della solitudine del calvario che li porterà alla morte?
Come spiegare loro che se non avranno il dono della guarigione dalla malattia, è loro riservata un’altra speranza, quella di stare accanto al Risorto?
Perché alcuni muoiono nel pieno della giovinezza, mentre altri raggiungono un’estrema vecchiaia? Perchè ci sono dei poveri e dei ricchi? Perché la vita di alcuni scorre serena mentre quella di altri è costellata soltanto di amarezze?
Come è possibile accettare tutto questo?
“Non temere perché ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni” (Is 43, 1b-3)
Ognuno di noi ha una sua propria storia, ha un cammino del tutto personale. Fa parte del mistero di Dio che, solo, sa ciò che è bene per ciascuno. Spesso le “burrasche” indeboliscono in noi la fede e quindi anche la nostra capacità di riconoscere il passaggio del Signore nella nostra esistenza. Nei momenti di prova è difficile credere nei miracoli. Afferrati dalla paura, siamo portati più facilmente a dubitare piuttosto che affidarci alla Divina Provvidenza. Le fatiche quotidiane diventano per noi insormontabili perché ci sentiamo soli nell’affrontarle o addirittura perché abbiamo voluto affrontarle da soli, presumendo delle nostre capacità. Quanto facciamo, infatti, con le sole forze umane non ci può risanare integralmente, non riesce a colmare il vuoto profondo del nostro cuore.
Non possiamo ricevere speranza, sostegno, forza senza incontrare nelle nostre vite il Salvatore che ha versato il suo stesso sangue per amore sulla croce. Nonostante ciò, mettiamo in discussione anche le scelte fondamentali della nostra esistenza, colpevolizzando il Signore che ci ha chiesto di accettare un servizio senz’altro arduo e superiore alle nostre forze. Ma non dobbiamo mai dubitare che pure dall’alto dei cieli, dove è asceso e siede alla destra del Padre, il nostro Redentore ci venga incontro e continuamente ci offra il suo aiuto, nella consapevolezza che dal pellegrinaggio terreno non si possa escludere il momento dell’oscurità, della tempesta. E’ la prova dell’Amore a cui Gesù non rimane mai indifferente, non si tira mai indietro. Tra Gesù e i malati, i poveri, gli esclusi, gli svantaggiati, i sofferenti non ci sono barriere: egli stesso le ha abbattute tutte, rivestendosi della nostra fragile carne con tutte le sue ferite mortali.
Per lasciarsi toccare da Gesù, è necessario, però, accettare che il mistero della Croce con il suo inevitabile aspetto di umiliazione e di solitudine, diventi lo strumento della nostra salvezza. Tutti siamo deboli e infermi, paralizzati dalle nostre complicazioni, dai nostri condizionamenti interni ed esterni. Pur sentendoci deboli, però, non dobbiamo scoraggiarci bensì confidare sempre nel Signore e metterci nelle sue sante mani per essere salvati e a nostra volta diventare strumento di salvezza per gli altri. Se rimaniamo consapevoli che apparteniamo al Signore, lo scoraggiamento non ci può abbattere, le varie prove della vita e neppure le varie forme di ostilità che possiamo incontrare ci indeboliscono. Anzi, diventano occasioni favorevoli in cui la nostra fede si rafforza, il nostro amore cresce fino a saper ricambiare il male con il bene. La nostra fede diventerà sempre più forte nella misura in cui faremo comunione con i fratelli, dilatando all’infinito spazi di solidarietà e di partecipazione per essere una cosa sola nell’Amore.
Ed è proprio questa apertura del cuore, questo fiducioso abbandono che permette a Gesù di agire: il miracolo, infatti, è sempre frutto dell’incontro tra la fede dell’uomo e la potenza salvifica di Cristo. E’ questa l’unica dimensione che ci dona la forza di sostenere il “peso”della vicinanza di Dio”, soprattutto nei momenti di prova e nelle tempeste della vita, rispondendo alla chiamata del Signore anche quando il compito da assolvere sembra superiore alle nostre forze. Siamo infatti consapevoli che la nostra piccolezza, davanti al mistero insondabile di Dio, è la nascita della vera conversione del nostro cuore, il quale disarmato si consegna nelle mani della divina misericordia. Già, la misericordia: quanta potenza c’è nella misericordia, come tutto si rigenera e risorge attraverso la misericordia. Sto ricevendo i vostri suggerimenti sulla Lettera pastorale dedicata alla Misericordia di Dio Vi ringrazio per l’abbondanza e la profondità dei vostri scritti, delle vostre sintesi. Così con la collaborazione di tutti, potrò scrivere questa prima Lettera pastorale affinché la nostra vita diventi, essa stessa, la vera lettera del Signore risorto al mondo intero.
E’ necessario, quindi, che la volontà salvifica di Dio s’incontri con la nostra obbedienza, l’obbedienza dei piccoli della terra che procede dalla fede ed è animata dall’amore: quell’amore che ha spinto Cristo ad accettare, come un giunco piegato dal vento, la Croce per la nostra salvezza e che dovrebbe spingere ognuno di noi con la gioia di chi voglia essere autentico testimone di Cristo ad unirci a Lui, per portare a compimento il disegno universale di salvezza. Una gioia così però non può entrare in un cuore egoista, orgoglioso, avido, sospettoso, geloso, in un cuore non libero dal peccato. E’ perciò necessario l’impegno costante alla conversione, il combattimento contro le passioni smodate, la preghiera e l’affidamento quotidiano a colui che è venuto tra noi non come un potente e come un sapiente, ma con umiltà e mitezza, in una piccolezza tipica soltanto di chi è veramente grande.
“Andate a dire ai suoi discepoli: è risuscitato dai morti ed ora vi precede in Galilea” (Mt 28, 7)
Con la Pasqua, quindi, tutto si riveste di un senso diverso: persino il dolore diventa fecondo e ci apre a spazi inaspettati d’infinito. Senza Cristo le nostre speranze sono vane e destinate a perire. Con Cristo anche nella morte facciamo esperienza di vita eterna. Cristo risorto non è un mito, ma è l’avvenimento nella storia della vittoria dell’Amore sul dolore, sulla morte, sul peccato. E’ Cristo che entra nella profondità delle nostre vite e si colloca decisamente più in là di ciò che è umano tracciando nelle nostre debolezze e nelle nostre fragilità i segni tangibili dell’Eterno.
Per questo ognuno di noi dovrebbe vivere nella consapevolezza che il Risorto ci precede, è sempre più in là, non ci lascia soli: in un perenne altrove, che dura quanto e più della nostra vita, egli continua ad invitarci a cercarlo nei doni del suo Spirito, nella predicazione della parola di verità, nella liturgia e nei sacramenti, nella comunione attorno ai pastori nella Chiesa, nella donazione di sé ai fratelli, nell’esperienza della sua misericordia che a ciascuno è possibile fare aprendo il cuore all’Amore.
Soltanto vivendo “nella nostra carne e fino in fondo” il nostro atto di fede nella Croce di Cristo che ha unito indissolubilmente l’umano al divino – soltanto credendo che Cristo incarnandosi si è unito ad ogni uomo, ha condiviso la nostra condizione umana, ha attraversato il terreno del tradimento, della disperazione, della morte, non senza paura, come capita ad ognuno di noi dinanzi ad esperienze di dolore e di solitudine-, è possibile, allora, vedere nell’intimo di ogni realtà storica la presenza di Dio. E’ possibile vivere la morte come una fine, ma non come la fine di tutto, è possibile testimoniare che la nostra vita non è in balìa di un destino cieco, ma è nelle mani di un Dio che ci ama: così, le nostra esistenza non è destinata al fallimento, bensì ha un senso anche quando ha il sapore amaro della sconfitta. La croce non è una “bella teoria” della possibilità del soffrire dell’uomo come salvezza, bensì la manifestazione del volto vero e ultimo di Dio: Amore sconfinato.
Cristo morto e risorto testimonia che ogni crisi può essere superata, che la diversità può diventare ricchezza, che il dolore può diventare strumento di salvezza. La vita e la morte, la sofferenza e la tribolazione, la malattia e le catastrofi non sono l’ultima parola della storia, ma sono lo scoglio oltre il quale c’è un compimento trascendente per le persone e per il mondo. Più che vedere, udire, toccare, la fede è adorare la Croce nella consapevolezza che la sofferenza vissuta, senza ripiegarci su noi stessi, nel totale abbandono all’Amore e al dono verso gli altri, non distrugge l’umano ma lo salva perché Dio è, sempre e comunque, presenza di misericordia dentro ogni angoscia.
“Tutto è compiuto” (Gv 19, 30)
Gesù, con le sue braccia distese sul legno, con le sue mani inchiodate, sembra del tutto impotente. In realtà è proprio ora che salva il mondo. Lungo tutta la sua esistenza terrena ha desiderato di giungere a questo culmine, in cui superate tutte le tentazioni e tutte le insidie, può dire al Padre -”Tutto è compiuto”-, la missione affidatami è stata portata a compimento. E’ questo il momento in cui, dal suo annientamento, nasce finalmente l’umanità nuova. Le stesse piaghe delle sue mani, così come le piaghe dei piedi e la ferita del costato, sono ormai una preghiera che invoca pietà per tutti gli uomini. Dalla Croce, dal sacrificio, dalla rinunzia scaturiscono salvezza e grazia. Questa la chiave di lettura univoca per non sciupare le nostre esistenze, scoprendone il valore più profondo del dolore che si alimenta tenendo lo sguardo del cuore fisso verso Gesù Crocifisso.
Si tratta di una vera conversione, di cambiare mentalità. Si tratta di considerare come tesoro tutte le esperienze di debolezza, d’impotenza, d’incapacità in cui ci veniamo a trovare, chiedendo al Signore di darci la forza di adorare la Croce quale grande mistero dell’Amore che perdona, che rigenera e salva. Questo amore tutto compie.
L’augurio è che in questa santa Pasqua tutti noi possiamo sperimentarlo e, nel Cristo risorto, scambiarcelo in abbondanza. Interceda per questo San Corrado Confalonieri e la nostra amatissima Madre, Maria santissima, Scala al Paradiso.
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