Quali le difficoltà che incontra oggi un direttore di un ufficio diocesano.
I problemi riguardano non tanto l’organizzazione né i singoli. Si tratta di un insieme di mentalità, di stili consolidati che sono la cultura dei nostri ambienti ecclesiali che condizionano il funzionamento delle strutture.
Tre modelli di evangelizzazione
1. Il modello del contadino
È il modello della nostra evangelizzazione: gettare il seme e attendere. Non siamo noi che salviamo ma il Signore e questo ci insegna l’umiltà. È il terreno che è decisivo. Quello che conta è la fedeltà, la tenacia, l’ubbidienza.
2. Il modello del pescatore
È un avventuriero, uno che non ha strade su cui camminare, deve inventare la sua rotta e questo lo abitua ad inventare. La società liquida ha bisogno di pescatori più che di contadini. Kipling nel suo “capitani coraggiosi” dice che il pescatore di merluzzi diventava anch’egli merluzzo, cioè mettendosi dal suo punto di vista. Fuori di metafora ciò vuol dire mettersi nella mentalità di coloro cui siamo inviati ad evangelizzare. Spesso il nostro linguaggio i merluzzi non lo comprendono e questa non è una loro colpa. Siete voi che gettate le reti dove i pesci non ci sono più da tempo. Occorre dunque imparare nuove virtù: l’empatia,
3. Il modello del pastore
Anche il pastore si muove molto e rischia cercando strade e pascoli diversi. Ma mentre il pescatore non si muoverebbe mai alla ricerca dell’unico merluzzo che gli manca, mentre invece il pastore si muove per una sola pecora perché ognuna di esse è importante. La pecora sa che quello è il suo pastore. Oggi non c’è più il dialogo personale. Non facciamo solo cose di massa o di gruppo ma il singolo non viene attenzionato. Nessuno ha più tempo di ascoltare nessuno. Manca il dialogo personale. Il modello del pastore è quello di perdere tempo, stare con l’altro, condividere la sua vita.
Tutto questo ci suggerisce che la cultura del contadino non è sufficiente. Le altre due ci danno l’idea biblica dell’esodo-Pentecoste.
L’esodo ci suggerisce di uscire, di perdere, abbandonare le proprie sicurezze per avventurarsi nell’apparente vuoto del deserto, dove però ci aspetta Dio. Questo stile può essere individuato a diversi livelli:
Esodo spirituale, uscendo dalla propria logica e lasciandosi prendere da Dio.
Esodo mentale: superare gli schemi.
Esodo linguistico: cambiamo i nostri linguaggi (anche la parola ufficio è brutta).
Esodo temporale: come rinuncia a rimpiangere il passato
Esodo ecclesiale: andare oltre i confini della propria diocesi
Esodo spaziale: uscire dal territorio
Esodo etnico-culturale: apertura alle diverse culture presenti sul nostro territorio
Esodo di genere: accettare il ruolo delle donne nella chiesa
Esodo di status: accettare il ruolo dei laici nella chiesa.
I protagonisti di questo esodo sono principalmente quelli che esprimono un movimento che va dalla Diocesi, alla Regione, dall’ufficio alle parrocchie e ai movimenti, dal tempio al territorio, dalla parrocchia alla società.
Qui ci interessa l’esodo degli Uffici. Il problema decisivo è superare la sorda incomunicabilità tra piano nobile e piano terra. Cioè alla base non arriva nulla. Si lavora a livello di convegni, parole, progetti, ma là dove si opera non interessa perché non si risponde ai loro bisogni.
È necessario recuperare tutti e tre i modelli evangelici.
Lavorare per il futuro (stile del contadino): pazienza e progettualità.
Mettersi nel punto di vista dell’altro e battere vie nuove (stile del pescatore): l’empatia e la creatività.
La capacità di prendersi cura, ascoltando e dialogando con le persone (lo stile del pastore): il rapporto umano.