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Gesù, la samaritana e l’acqua viva zampillante vita eterna

Lo scorso 26 marzo il nostro Vescovo, a seguito dell’invito dei Padri Cappuccini di San Giovanni Rotondo ha tenuto una catechesi su: “Gesù e la Samaritana”.  Gli elementi di questa riflessione si inscrivono nel mezzo del tempo di Quaresima, che è tempo di conversione attraverso un più profonda e sincera ricerca di Dio, nel ritorno a Lui con tutto il cuore; l’incontro di Gesù con la donna di Samarìa aiuta ad entrare nel cammino di preparazione alla Pasqua attraverso la via del dialogo di salvezza che il Signore vuole intraprendere per primo, facendo Lui il primo passo, venendoci incontro laddove Lui sa che passa la svolta della nostra vita. Aspetta anche noi, seduto al nostro “pozzo di Giacobbe”. Nel discorrere del nostro Vescovo sono emerse le circostanze teologiche dell’episodio di Samaria: la necessità di Gesù di salire a Gerusalemme e passare per la Samaria esprime una necessità teologica: lo Sposo, Figlio ed erede del Padre, va ad offrire il suo amore-Spirito a Samarìa, la sposa adultera che si prostituisce, ma che alla fine lo accetta e poi, la questione che tra i Giudei e i Samaritani esisteva un’inimicizia profonda che Gesù vuole sfatare. La donna è rappresentativa di tutto il popolo samaritano. L’ Israele eretico si incontra con quello ortodosso.
Il dono di Dio, che la Samaritana ancora non capisce, è Gesù stesso che non fa distinzioni tra persone e persone, ma è venuto a portare la salvezza a tutti coloro che lo  accolgono, al dono si accede attraverso l’acqua viva di cui solo Gesù dispone.
Il Vescovo sottolinea come la Samaritana entra pienamente e stabilmente nel dialogo di salvezza tanto che subito corre in città dai suoi concittadini, come prima evangelizzatrice, a coinvolgerli nel dono della salvezza. E ci riesce, non perché sa parlare e convincere con bei discorsi, ma perché, liberata dall’amore ricevuto nel dono dello Spirito-acqua viva, dice ai suoi concittadini :  “ Mi ha detto tutto quello che ho fatto “. L’amore libera dalla paura del peccato e dal peso del passato, e così rende credibili, perché testimoni, e testimoni coraggiosi, non i giusti che non hanno bisogno di salvezza, ma i peccatori, che Gesù è venuto a chiamare e salvare. 

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Per disseppellire energie di vita nella città e nel mondo

Pasqua non è solo un giorno. Ogni domenica è Pasqua, e la settimana può ricominciare sempre con il lievito nuovo del pane spezzato. Ma c’è un tempo di cinquanta giorni – il tempo pasquale – che aiuta a comprendere tutte le valenze della Pasqua e riportarle nelle pieghe della nostra vita. Quest’anno ci saranno a Modica anche due importanti appuntenti che possono aiutare a meglio capire il rapporto tra resurrezione di Cristo e storia  degli uomini, riguardanti la città e il mondo. Giovedì 28 aprile alla Fontana – dalle 18 alle 21,30 – sarà ripreso l’antico rito “Crisci ranni”, con cui augurare ai bambini e ai giovani una crescita autentica. Le scuole e le parrocchie hanno prodotto materiali significativi che saranno presentati a tutti in una serata in cui si intrecceranno canti, messaggi, convivialità. Si avvierà anche il progetto “Benvenuto cittadino”, con cui sarà dato in dono alla famiglia di ogni neonato un libro di fiabe a ricordare la necessità di buoni nutrimenti. Il giorno dopo – venerdì 29 aprile dalle 18 alle 21 – ci sarà un convegno sull’educare oggi nelle nostre città, con relatori di grande sapienza come il cappuccino Giovanni Salonia e Giuliana Martirani, una delle più significative figure dell’educazione alla nonviolenza.
E ci sarà – negli interventi conclusivi del nostro Vescovo, Mons. Antonio Staglianò, e del Sindaco di Modica – la possibilità di capire come l’impegno educativo si coniughi con tutte le dimensioni della vita, da quella spirituale a quella socio-economica, a sei mesi dalla firma del “Patto sociale contro la crisi”.
Poi, l’altro grande appuntamento – dall’11 al 13 maggio – vedrà a Modica delegati Caritas da tutta Italia per il Coordinamento nazionale immigrazione, che avrà due momenti pubblici: mercoledì 11 alle 21,30 nell’Atrio Comunale una serata dedicata al Mediterraneo, venerdì 13 in San Pietro alle 12 la concelebrazione conclusiva pres. dal nostro Vescovo Mons. Staglianò. Non sono eventi isolati, ma si innestano e rilanciano impegni quotidiani che speriamo sempre più corali e diffusi.

Programma “Crisci Ranni”

Programma Coordinamento Nazionale Immigrazione 2011

Scheda Iscrizione (come uditore) Coordinamento Nazionale Immigrazione

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Una nuova fantasia pastorale

È già in edicola l’ultima fatica editoriale di S. Ecc.za Mons. Antonio Staglianò, nostro Vescovo, che porta il titolo: “Una speranza per l’Italia. Dal Sud una proposta per educare alla vita buona del Vangelo”. Con la prefazione del Card. Bagnasco il volume vuole essere una riflessione alla luce dei recenti documenti sul mezzogiorno e sulla nota pastorale dei nostri Vescovi “Educare alla vita buona del Vangelo” che da le indicazioni pastorali per il prossimo decennio della Chiesa Italiana. Il testo corredato e irrobustito da un percorso didattico chiamato “Laboratorio” è il frutto di molti anni di esperienza sul campo culturale e pastorale del nostro Vescovo e di un tentativo di attuazione concreta di criteri cosiddetti teorici. La sfida educativa ripone la speranza nella continua riscoperta di Gesù Maestro incarnato nella realtà ambientale di ogni cristiano che vive nella tradizione il suo rinnovamento e la sua conversione a Dio Padre che ama di un amore personale rivolto a tutti.
L’opera verrà presentata ufficialmente il 26 maggio prossimo presso la Pontificia Università della Santa Croce a Roma dal direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian; lo stesso libro è stato dono del nostro Vescovo a tutti i sacerdoti e i diaconi della nostra Diocesi in occasione della giornata sacerdotale del Giovedì Santo in Cattedrale a conclusione della Messa Crismale.

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Una puntata su Dio

Dio sarà in televisione; o meglio si parlerà di lui. Una tematica importante e interessante quella su Dio. Corre una grave responsabilità al noto critico d’arte Vittorio Sgarbi, il quale, lunedì 2 maggio, in prima serata, condurrà su Raiuno un nuovo programma dal titolo “ Il mio canto libero”. La prima puntata ha dichiarato il Sindaco di Salemi avrà come tema Dio. Ospiti di riguardo attendono di essere intervistati e interrogati sull’ argomento, a cominciare dal nostro amato Vescovo, invitato a prendervi parte come teologo affermato, nel panorama teologico nazionale; Lech Walesa, polacco e politico attivista per i diritti umani già presidente della Polonia e Premio Nobel per la pace ed infine Matthew Fox, il cosiddetto, teologo scomodo per le sue 95 tesi. Questa si presenta come un’occasione propizia che apre la possibilità ad un ulteriore dialogo tra pensatori diversi; in un contesto multietnico e multiculturale ricomprendere le radici del nostro essere creaturale ci aiuterà a riflettere su un Dio non solo pensato ma reale soprattutto a partire dal teologare a cui il nostro Vescovo, spesso rimanda. 

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Veglia Pasquale nella Notte Santa

In questa Santa notte la Chiesa ci invita ad essere testimoni della luce del Risorto; le tenebre vengono dissipate dal racconto che celebra la storia della salvezza e che ci ricorda come Dio, fin dalla creazione del mondo non dimentica il suo popolo nonostante i tradimenti; Dio non abbandona Israele, ma lo cura con infinita tenerezza. Questa veglia è la più grande festa dell’Anno liturgico; essa nell’antichità è stata designata come “la festa delle feste”, “la solennità delle solennità”. Questa notte santa è l’occasione per riscoprire l’immensa ricchezza della Liturgia e la sua forza vitale. Per antichissima tradizione questa è  «la notte di veglia in onore del Signore»  (Es 12,42), giustamente definita «la veglia madre di tutte le veglie»  (S. Agostino). In questa notte il Signore “è  passato”  per salvare e liberare il suo popolo oppresso dalla schiavitù; Cristo “è passato”  alla vita vincendo la morte; questa notte è celebrazione-memoriale del nostro “passaggio” in Dio attraverso il Battesimo, la Confermazione e l’Eucaristia. Vegliare è un atteggiamento permanente della Chiesa che, pur consapevole della presenza viva del suo Signore, ne attende la venuta definitiva, quando la Pasqua si compirà nelle nozze eterne con lo Sposo e nel convito della vita (cfr. Ap 19,7-9). La Celebrazione pasquale, nel cuore della notte, è ben altra cosa di un semplice ricordo della vittoria di Cristo. La Chiesa celebra il suo Mistero: essa si costruisce nella Pasqua e trova la sua forza e la sua solidità nella potenza del Risorto. È il grande memoriale annuale in cui il popolo di Dio, evocando attraverso le parole ed i riti ciò che Dio ha compiuto quando ha fatto passare dalla morte di croce alla vita nuova il suo Servo Gesù, vive in Lui ed attraverso di Lui questo evento di salvezza.
La Veglia pasquale diventa il momento privilegiato della Celebrazione del Battesimo e della rinnovazione della fede battesimale.
La Liturgia, nei segni, esprime l’evento cardine della salvezza: la morte-risurrezione del Signore.
 All’inizio essa si svolgeva in modo molto semplice: un’assemblea di preghiera con la frazione del pane e l’agape fraterna, ma preceduta da un digiuno piuttosto stretto di uno o più giorni; progressivamente questa Veglia si è arricchita di significato.

La Liturgia attuale, dopo la riforma della Settimana Santa del 1955 e rivisitata con il Concilio Vaticano Il, è scandita da quattro momenti.

• La liturgia della  luce. La processione esce dalla chiesa, lasciata completamente al buio, senza luci né candele accese, dal Venerdì santo. Una volta fuori dalla chiesa, i concelebranti raggiungono un braciere precedentemente preparato, e dopo un breve saluto iniziale (senza il Segno della Croce) il celebrante benedice il fuoco. Quindi prende delle braci e le mette nel turibolo e accende, da quella fiamma, il Cero pasquale; benedice poi il cero pasquale, tracciandovi una croce, le lettere greche Alfa e Omega e le cifre dell’anno; Quindi il diacono, portando il cero pasquale, comincia la processione che entrerà in chiesa, intonando per la prima volta “Lumen Christi” (La luce di Cristo), e il popolo risponde “Deo Gratias” (Rendiamo grazie a Dio). Dietro il cero pasquale si riforma la processione iniziale, e si accodano anche i fedeli; sulla porta il diacono intona di nuovo “Lumen Christi”, e tutti i presenti accendono una candela; arrivati al presbiterio il diacono intona per la terza volta “Lumen Christi” e si accendono le luci della chiesa, tranne le candele dell’altare. Quindi viene riposto e incensato il cero pasquale e il libro, dal quale un diacono, o un cantore, intona l’Exultet (Preconio Pasquale) o annuncio pasquale. Terminato l’annuncio tutti spengono le candele, ed inizia la liturgia della Parola, introdotta dal celebrante.

• Liturgia della Parola; le 7 Letture dell’Antico Testamento sono un compendio della Storia della Salvezza.  La Liturgia della Parola della Veglia di Pasqua è la più ricca di tutte le celebrazioni dell’anno; consta di sette letture e otto salmi dall’antico testamento, un’epistola di San Paolo apostolo ed il vangelo scelto tra i tre sinottici, a seconda dell’Anno liturgico allo scopo di ripercorrere la storia della redenzione dall’origine della vita in Dio. Dopo ogni lettura e ogni salmo vi è l’orazione del celebrante. Per motivi pastorali si può ridurre il numero di letture dell’antico testamento da sette a tre; la lettura dell’Esodo è sempre obbligatoria.
• prima lettura dal Libro della Genesi (Gn 1,1-2,2)
• salmo responsoriale (Sal 103 oppure 32)
• seconda lettura dal Libro della Genesi (Gn 22,1-18)
• salmo responsoriale (Sal 15)
• terza lettura dal Libro dell’Esodo (Es 14,15-15,1)
• cantico responsoriale (Es 15,1-6.17-18)
• quarta lettura dal Libro del profeta Isaia (Is 54,5-14)
• salmo responsoriale (Sal 29)
• quinta lettura dal Libro del profeta Isaia (Is 55,1-11)
• cantico responsoriale (Is 12,2.4-6)
• sesta lettura dal Libro del profeta Baruc (Bar 3,9-15.32-4,4)
• salmo responsoriale (Sal 18)
• settima lettura dal Libro del profeta Ezechiele (Ez 36,16-28)
• salmo responsoriale (Sal 41)
Dopo l’Orazione alla settima lettura anche le candele dell’altare vengono accese e il celebrante intona il Gloria, che viene cantato da tutti, con l’accompagnamento dell’organo e il suono delle campane, secondo gli usi locali. Segue l’Orazione Colletta.
• epistola dalla Lettera ai Romani di San Paolo apostolo (Rm 6,3-11)
• salmo responsoriale (Sal 117)
• brano evangelico
1. dal Vangelo secondo Matteo (Mt 28,1-10) nell’anno A
2. dal Vangelo secondo Marco (Mc 16,1-8) nell’anno B
3. dal Vangelo secondo Luca (Lc 24,1-12) nell’anno C
Segue l’Omelia che conclude la Liturgia della Parola.

• Liturgia battesimale; È uso celebrare anche dei battesimi la notte di Pasqua, in questo momento liturgico. Tutti i fedeli riaccendono la candela che avevano all’inizio. Dopo una breve introduzione si cantano le Litanie dei Santi. Quindi il celebrante, pronunciata la preghiera, prende il Cero pasquale e lo immerge parzialmente nell’acqua del Battistero, benedicendo l’acqua. Poi passa ad aspergere tutto il popolo. Nel caso in cui ci siano battesimi, si compie in questo momento il rito che può avvenire anche per immersione come nelle comunità neocatecumenali, altrimenti si pronuncia la professione delle promesse battesimali. È possibile concludere la Liturgia Battesimale con le Preghiere dei fedeli. Non si dice il Credo, perché è sostituito dalla rinnovazione delle promesse battesimali.

• Liturgia eucaristica: è il vertice di tutto il cammino quaresimale e della celebrazione vigiliare
La Liturgia Eucaristica è articolata come in tutte le celebrazioni eucaristiche; alla fine il celebrante dà la benedizione, concludendo così una grande celebrazione che era cominciata il Giovedì santo con la Messa in Cena Domini.

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Venerdì Santo. Passione del Signore

La Passione di Cristo è il punto di convergenza di tutta la sua vita, Gesù l’ha chiamata: la sua “ora”, il suo “battesimo”. L’ha scelta liberamente in obbedienza al Padre e per amore degli uomini. Oggi, Venerdì Santo, noi tutti fissiamo gli occhi sulla Croce. Davanti a Gesù che muore in croce per noi non resta che il silenzio. Un silenzio che ci aiuti a riconoscere il nostro peccato, ma anche il dono della salvezza che Dio ha operato in Cristo Gesù. I tre momenti della Liturgia che ci apprestiamo a celebrare (la proclamazione della Passione, l’ostensione della Croce e la distribuzione dell’Eucaristia che stanotte abbiamo adorato) esprimono il massimo della sobrietà, perché i nostri occhi possano contemplare in pienezza l’essenziale dono di amore di Cristo sulla croce per la salvezza di tutti gli uomini di ogni tempo. Insieme ai ministri, che silenziosamente si porteranno davanti all’altare, oggi messo a nudo, prostriamoci in silenzio e con profonda umiltà, riconoscendoci impotenti davanti al peccato, causa di morte. In questo giorno i cristiani commemorano la Passione, la Crocifissione e la morte di Gesù Cristo. Questa ricorrenza viene osservata dai fedeli di molte confessioni cristiane con speciali pratiche e riti. La data del Venerdì Santo è mobile, in quanto collegata con quella della Pasqua .
 In questo giorno i fedeli sono invitati all’astinenza e al digiuno, in segno di penitenza per i peccati che Gesù è venuto a espiare nella Passione, ed assume inoltre il significato mistico di attesa dello Sposo, secondo le parole di Gesù (Mt 9,15); lo Sposo della Chiesa, cioè Cristo, viene tolto dal mondo a causa del peccato degli uomini e i cristiani sono invitati a preparare con il digiuno l’evento gioioso del suo ritorno e della liberazione dalla morte; questo evento si attua non solo nel memoriale della sua resurrezione, la domenica di Pasqua, ma anche nella continua venuta del Signore nel cuore dei fedeli che sono pronti ad accoglierlo e a morire con lui al peccato per risorgere ad una vita nuova.
Durante la giornata non si celebra l’Eucaristia: infatti durante la celebrazione liturgica pomeridiana del Venerdì santo si distribuisce l’eucaristia consacrata il giorno precedente, il Giovedì Santo (Celebrazione In Coena Domini), in cui si ricorda l’ultima cena del Signore con i discepoli e il tradimento di Giuda. La liturgia inizia nel silenzio, come si era chiusa quella del giorno precedente e come si apre quella della veglia di pasqua nella notte del sabato santo, quasi a sottolineare come il triduo pasquale sia un’unica celebrazione per i Cristiani.
La liturgia è incentrata sulla narrazione delle ultime ore della vita terrena di Gesù secondo il Vangelo di Giovanni e sull’adorazione della croce, molto importante, in questo giorno. La croce non è un semplice strumento di tortura, ma è segno dell’amore che Dio nutre verso gli uomini. Con la croce Dio riporta la vita vera nel mondo, con la croce Dio insegna all’uomo ad amare. I cristiani in questo giorno sono invitati ad adorare la croce di Cristo e a non rassegnarsi dinanzi le croci di ogni giorno, perché solo morendo si risuscita a vita eterna; quello che potrebbe sembrare un cadavere piegato e disprezzato, non resta tale ma trionfa sulla morte e dona vita piena; quella croce è segno di speranza, che sconfigge ogni altra croce e ogni segno di violenza che rappresenta.

Il venerdì santo le campane non suonano; occorre però precisare da quale momento, in quanto si riscontrano tradizioni differenti a seconda dei diversi riti cattolici, in particolare:

• Nel rito romano:
Il venerdi santo le campane, che tradizionalmente richiamano i fedeli alla celebrazione dell’Eucaristia, non suonano in segno di lutto. Esse suonano per l’ultima volta la sera del giovedì santo, e precisamente al canto del Gloria della S. Messa, per poi tornare a suonare a festa durante la Veglia Pasquale, sempre al canto del Gloria, come segno dell’annuncio dei Cristiani della resurrezione del Signore.

• Nel rito ambrosiano:
le campane suonano sino all’annuncio della morte del Signore: le ore 3 del pomeriggio del Venerdì santo. Dopodiché tacciono fino alla veglia pasquale.

La liturgia della Chiesa cattolica, secondo la forma ordinaria del rito romano, prevede l’Azione liturgica della Passione del Signore, detta (In Passione Domini):
• la Liturgia della Parola, composta dalle letture e dalla solenne preghiera universale,
• l’Adorazione della Santa Croce;
• la santa comunione

Solitamente, poi, in ogni parrocchia si effettua la Via Crucis o più in generale la processione devozionale con il Crocifisso, le statue del Cristo Morto e della Madonna Addolorata o le statue che rappresentano i Misteri, ossia le stazioni della Via Crucis. Il Papa celebra quest’ultimo rito presso il Colosseo.

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Giovedì Santo

Con la denominazione di “Giovedì Santo” nella quasi totalità delle confessioni cristiane si indica il giovedì precedente la Domenica di Pasqua. Tale giovedì, nell’Anno liturgico romano della Chiesa cattolica è denominato Giovedì della Cena del Signore.
Il giovedì santo è una ricorrenza mobile in quanto collegata con la Domenica di Pasqua, per cui la data varia di anno in anno, anche se cade sempre nei mesi di marzo o di aprile.
Nel giovedì santo si ricorda sia l’istituzione dell’Eucarestia e del ministero dell’sacerdozio sia la consegna ai discepoli del comandamento dell’amore (Gv 13,34). Per queste ragioni in questo giorno viene celebrata la Giornata sacerdotale.
Il giovedì santo è caratterizzato soprattutto dalla messa del Crisma e dalla messa nella Cena del Signore: durante questa giornata non si può celebrare la Messa secondo altri forulari. La santa Comunione può essere distribuita solo nella Messa, crismale o in Cena Domini: agli infermi può essere distribuita in qualunque ora del giorno.
Questo giorno è diviso tra il tempo di Quaresima ed il tempo del Triduo Pasquale, perché è sia l’ultimo giorno di Quaresima sia il primo giorno del Triduo Pasquale, ma in modo tale che i due tempi non si sovrappongano; la Quaresima, infatti, termina prima che inizi la messa in Cena Domini; essa è seguita dall’adorazione del Santissimo Sacramento deposto all’Altare della reposizione

LA MESSA DEL CRISMA

La Messa del Crisma è la Celebrazione Eucaristica presieduta dal vescovo nella cattedrale, generalmente il mattino del Giovedì Santo. Se si frapponessero notevoli difficoltà alla riunione del clero e del popolo con il vescovo, si può anticipare la celebrazione in un altro giorno prossimo alla Pasqua con il formulario proprio della messa.
A questa messa, che vuole significare l’unità della Chiesa locale raccolta intorno al proprio vescovo, sono invitati tutti i presbiteri della Diocesi i quali, dopo l’omelia del vescovo, rinnovano le promesse fatte nel giorno della loro ordinazione sacerdotale.
In questa messa, il Vescovo consacra gli Oli Santi: il Crisma, l’Olio dei Catecumeni e l’Olio degli Infermi.
Essi sono gli oli che si useranno durante tutto il corso dell’anno liturgico per celebrare i sacramenti:
• il crisma viene usato nel battesimo, nella cresima e nell’ordinazione dei presbiteri e dei vescovi;
• l’Olio dei Catecumeni viene usato nel battesimo;
• l’Olio degli Infermi viene usato per l’Unzione degli infermi

 MESSA IN CENA DOMINI

La Messa nella Cena del Signore (anche con diverse grafie: Messa in Cena Domini, Missa in Cena Domini[3], Messa in Coena Domini), è la seconda celebrazione liturgica del tardo pomeriggio o della sera del Giovedì Santo, che nella forma ordinaria del rito romano della Chiesa cattolica inaugura il Triduo pasquale dandogli solenne inizio. In essa si ricorda l’Ultima Cena del Signore con i suoi discepoli, consumata prima della sua passione, nella quale consegnò ai discepoli il Comandamento dell’amore (“Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”, Gv 13,34), dopo aver lavato loro i piedi.
Secondo la dottrina cattolica, Gesù istituì i sacramenti dell’Eucaristia e dell’Ordine sacro.
In memoria di quest’ultimo gesto, la liturgia prevede il rito della Lavanda dei piedi, ripetendo quello che Gesù stesso fece dopo l’Ultima Cena.

La liturgia comincia, come tutte le messe, con il saluto iniziale e l’Atto penitenziale; può però essere preceduta dalla presentazione degli oli (Crisma, Olio dei catecumeni e Olio degli infermi), benedetti la mattina dal vescovo durante la messa crismale, mediante una breve processione fino all’altare, dove vengono appoggiati ed incensati. Al Gloria si suonano le campane a festa, secondo gli usi locali, in tutte le Chiese: dopodiché vengono “legate” le campane e non vengono più suonate fino al Gloria della Veglia pasquale, nella notte fra il Sabato santo e il giorno di Pasqua, per sottolineare con il silenzio l’attesa della gioia pasquale, quando le campane stesse risuonano a festa. Per tradizione, anche l’organo rimaneva in silenzio dalla fine del Gloria della Messa in Cena Domini fino al Gloria della Veglia pasquale; il Messale post-riforma liturgica però consente di usare l’organo in questo periodo, anche se soltanto per sostenere il canto.
Dopo la Comunione, la pisside, contenente ostie consacrate, non viene riposta, ma rimane esposta sull’altare per una breve adorazione; quindi, accompagnata dalle prime quattro strofe dell’inno Pange lingua, comincia una processione eucaristica fino all’Altare della reposizione, il luogo della reposizione del Santissimo Sacramento, (dove vengono intonate le ultime due strofe, cioè il Tantum ergo). Quindi l’assemblea si scioglie in silenzio, senza benedizione o segno di croce. In alcuni luoghi, da quel momento si prolunga l’adorazione per tutta la notte, fino al giorno seguente.

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Premio Palma della Pace

È giunta alla sua decima edizione la kermesse culturale “Palma della Pace – Giorgio La Pira”. L’evento religioso, istituito dalla parrocchia Santa Maria di Portosalvo di Pozzallo, in collaborazione con la Confraternita “Maria SS. Addolorata” e con la partecipazione dell’associazione “Giorgio La Pira – spes contra spem”, taglia il prestigioso traguardo e vuole, anche quest’anno, concorrere a diffondere i meriti di coloro che hanno espresso ed esprimono testimonianze di servizio nel campo della solidarietà.
Grazie all’opera meritoria del nostro Vescovo, mons. Antonio Staglianò e di don Giovanni Botterelli, parroco della chiesa d Portosalvo, ieri sono state consegnate, le palme a don Fortunato Di Noto, al professor Giovanni Scambia, a monsignor Vincenzo Paglia e alla congregazione religiosa di diritto pontificio “I Legionari di Cristo”. Il riconoscimento è costituito da una palma, emblema di pace della Pasqua cristiana e da una riproduzione argentea del simulacro della Santissima Addolorata di Pozzallo con relativa motivazione dell’onorificenza.
Un plauso particolare al nostro don Fortunato Di Noto che riceve questo premio per il suo impegno contro lo sfruttamento dei minori e per l’attività portata avanti con scrupolo e attenzione dall’associazione “Meter”.
Il Vescovo, sia durante la sua energica omelia, sia nel consegnare il premio al prof. Scambia, ha ribadito l’urgenza di interpretare l’amore non a partire dal sentimentalismo bensì dal donarsi fino a morire così come l’etimo suggerisce.
L’iniziativa ha ottenuto un consenso non solo cittadino ma più di ampio respiro diocesano confermata da una partecipazione numerosa.

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Messaggio Pasquale 2011 del nostro Vescovo: Nell’Amore tutto si compie

Carissimi fratelli e sorelle in Cristo risorto da morte, 
nell’imminente ricorrenza della Pasqua del Signore, il mio pensiero corre a tutti voi per dirvi il mio affetto, la mia vicinanza attraverso la preghiera, la mia disponibilità ad essere sostegno concreto nel vostro cammino di fede e conforto costante nella solitudine (per non pochi, angosciante) a cui la vita sovente ci espone.
Chiedo al Signore che, nella fatica di vivere, ognuno di voi possa fare esperienza di momenti di solidarietà e di speranza, perché per vivere abbiamo bisogno innanzitutto di non essere lasciati soli nel momento della prova e, poi, abbiamo bisogno di speranza: quella  speranza messa a dura prova da un futuro che si presenta spesso come una sfida difficile da vincere.
Dentro di me, in tal senso, sento particolarmente forte il desiderio di condividere con tutta le comunità cristiane della diletta Diocesi di Noto alcune riflessioni che da tempo, con prepotenza, si fanno spazio nel mio cuore e nella mia coscienza. Esse urgono risposte capaci di dare senso alle nostre esistenze, oggi più che mai bisognose di speranza vera, d’incoraggiamento sincero e di entusiasmo vivificante.

“Soffri con me per il Vangelo, con la forza di Dio”  (2 Tim. 1, 8-10)

Mi sono chiesto più volte quale possa essere l’augurio più bello da farvi a Pasqua e come sia possibile, senza rischiare di essere scontati, poco credibili, convenzionali, parlare di Cristo morto e risorto per noi a quanti ogni giorno vivano soltanto esperienze di dolore e di disperazione. Un pensiero ricorrente è rivolto ai nostri ammalati ed anziani provati dalla sofferenza, dal dolore fisico e dalla solitudine, alle famiglie oppresse dai diversi problemi, ai nostri giovani schiacciati dalla solitudine, dalle diverse preoccupazioni e dalla paura del futuro.
Come comunicare speranza ai tanti giovani che da anni alla ricerca di un lavoro, accontentandosi spesso anche di posizioni squalificanti rispetto agli studi effettuati, vedano come unica soluzione possibile per loro affidarsi al potente politico di turno che in cambio di voti  promette loro una sistemazione che purtroppo non arriva mai? Cosa dire poi a quanti non più giovani, a causa dei tagli generati dalla crisi economica, abbiano perso improvvisamente il lavoro e si trovino a fare i conti con il mutuo della casa da pagare e con la famiglia da sostenere?
Come portare consolazione a quanti abbiano perso i propri i cari, vittime di situazioni drammatiche quali  incidenti stradali, atti di violenza, scelte di vita pericolose e sbagliate?
Come stare accanto a quanti, affetti da malattie gravi, prostrati nel corpo e nello spirito, vivano ogni giorno l’esperienza disperante della precarietà della vita e della solitudine del calvario che li porterà alla morte?
Come spiegare loro che se non avranno il dono della guarigione dalla malattia, è loro riservata un’altra speranza, quella di stare accanto al Risorto?
Perché alcuni muoiono nel pieno della giovinezza, mentre altri raggiungono un’estrema vecchiaia? Perchè ci sono dei poveri e dei ricchi? Perché la vita di alcuni scorre serena mentre quella di altri è costellata soltanto di amarezze?
Come è possibile accettare tutto questo?

“Non temere perché ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni” (Is 43, 1b-3)

Ognuno di noi ha una sua propria storia, ha un cammino del tutto personale. Fa parte del mistero di Dio che, solo, sa ciò che è bene per ciascuno. Spesso le “burrasche” indeboliscono in noi la fede e quindi anche la nostra capacità di riconoscere il passaggio del Signore nella nostra esistenza. Nei momenti di prova è difficile credere nei miracoli. Afferrati dalla paura, siamo portati più facilmente a dubitare piuttosto che affidarci alla Divina Provvidenza. Le fatiche quotidiane diventano per noi insormontabili perché ci sentiamo soli nell’affrontarle o addirittura perché abbiamo voluto affrontarle da soli, presumendo delle nostre capacità. Quanto facciamo, infatti, con le sole forze umane non ci può risanare integralmente, non riesce a colmare il vuoto profondo del nostro cuore.
Non possiamo ricevere speranza, sostegno, forza senza incontrare nelle nostre vite il Salvatore che ha versato il suo stesso sangue per amore sulla croce. Nonostante ciò, mettiamo in discussione anche le scelte fondamentali della nostra esistenza, colpevolizzando il Signore che ci ha chiesto di accettare un servizio senz’altro arduo e superiore alle nostre forze.  Ma non dobbiamo mai dubitare che pure dall’alto dei cieli, dove è asceso e siede alla destra del Padre, il nostro Redentore ci venga incontro e continuamente ci offra il suo aiuto, nella consapevolezza che dal pellegrinaggio terreno non si possa escludere il momento dell’oscurità, della tempesta. E’ la prova dell’Amore a cui Gesù non rimane mai indifferente, non si tira mai indietro. Tra Gesù e i malati, i poveri, gli esclusi, gli svantaggiati, i sofferenti non ci sono barriere: egli stesso le ha abbattute tutte, rivestendosi della nostra fragile carne con tutte le sue ferite mortali.
Per lasciarsi toccare da Gesù, è necessario, però, accettare che il mistero della Croce con il suo inevitabile aspetto di umiliazione e di solitudine, diventi lo strumento della nostra salvezza. Tutti siamo deboli e infermi, paralizzati dalle nostre complicazioni, dai nostri condizionamenti interni ed esterni. Pur sentendoci deboli, però, non dobbiamo scoraggiarci bensì confidare sempre nel Signore e metterci nelle sue sante mani per essere salvati e a nostra volta diventare strumento di salvezza per gli altri. Se rimaniamo consapevoli che apparteniamo al Signore, lo scoraggiamento non ci può abbattere, le varie prove della vita e neppure le varie forme di ostilità che possiamo incontrare ci indeboliscono. Anzi, diventano occasioni favorevoli in cui la nostra fede si rafforza, il nostro amore cresce fino a saper ricambiare il male con il bene. La nostra fede diventerà sempre più forte nella misura in cui faremo comunione con i fratelli, dilatando all’infinito spazi di solidarietà e di partecipazione per essere una cosa sola nell’Amore.
Ed è proprio questa apertura del cuore, questo fiducioso abbandono che permette a Gesù di agire: il miracolo, infatti, è sempre frutto dell’incontro tra la fede dell’uomo e la potenza salvifica di Cristo. E’ questa l’unica dimensione che ci dona la forza di sostenere il “peso”della vicinanza di Dio”, soprattutto nei momenti di prova e nelle tempeste della vita, rispondendo alla chiamata del Signore anche quando il compito da assolvere sembra superiore alle nostre forze. Siamo infatti consapevoli che la nostra piccolezza, davanti al mistero insondabile di Dio, è la nascita della vera conversione del nostro cuore, il quale disarmato si consegna nelle mani della divina misericordia. Già, la misericordia: quanta potenza c’è nella misericordia, come tutto si rigenera e risorge attraverso la misericordia. Sto ricevendo i vostri suggerimenti sulla Lettera pastorale dedicata alla Misericordia di Dio Vi ringrazio per l’abbondanza e la profondità dei vostri scritti, delle vostre sintesi. Così con la collaborazione di tutti, potrò scrivere questa prima Lettera pastorale affinché la nostra vita diventi, essa stessa, la vera lettera del Signore risorto al mondo intero.
E’ necessario, quindi, che la volontà salvifica di Dio s’incontri con la nostra obbedienza, l’obbedienza dei piccoli della terra che procede dalla fede ed è animata dall’amore: quell’amore che ha spinto Cristo ad accettare, come un giunco piegato dal vento, la Croce per la nostra salvezza e che dovrebbe spingere ognuno di noi con la gioia di chi voglia essere autentico testimone di Cristo ad unirci a Lui, per portare a compimento il disegno universale di salvezza. Una gioia così però non può entrare in un cuore egoista, orgoglioso, avido, sospettoso, geloso, in un cuore non libero dal peccato. E’ perciò necessario l’impegno costante alla conversione, il combattimento contro le passioni smodate, la preghiera e l’affidamento quotidiano a colui che è venuto tra noi non come un potente e come un sapiente, ma con umiltà e mitezza, in una piccolezza tipica soltanto di chi è veramente grande.

“Andate a dire ai suoi discepoli: è risuscitato dai morti ed ora vi precede in Galilea” (Mt 28, 7)

Con la Pasqua, quindi, tutto si riveste di un senso diverso: persino il dolore diventa fecondo e ci apre a spazi inaspettati d’infinito. Senza Cristo le nostre speranze sono vane e destinate a perire. Con Cristo anche nella morte facciamo esperienza di vita eterna.  Cristo risorto non è un mito, ma è l’avvenimento nella storia della vittoria dell’Amore sul dolore, sulla morte, sul peccato. E’ Cristo che entra nella profondità delle nostre vite e si colloca decisamente più in là di ciò che è umano tracciando nelle nostre debolezze e nelle nostre fragilità i segni tangibili dell’Eterno.
Per questo ognuno di noi dovrebbe  vivere nella consapevolezza che il Risorto ci precede, è  sempre più in là, non ci lascia soli: in un perenne altrove, che dura quanto e più della nostra vita, egli continua ad invitarci a cercarlo nei doni del suo Spirito, nella predicazione della parola di verità, nella liturgia e nei sacramenti, nella comunione attorno ai pastori nella Chiesa, nella donazione di sé ai fratelli, nell’esperienza della sua misericordia che a ciascuno è possibile fare aprendo il cuore all’Amore. 
Soltanto vivendo “nella nostra carne e fino in fondo” il nostro atto di fede nella Croce di Cristo che ha unito indissolubilmente l’umano al divino – soltanto credendo che Cristo incarnandosi si è unito ad ogni uomo, ha condiviso la nostra condizione umana, ha attraversato il terreno del tradimento, della disperazione, della morte, non senza paura, come capita ad ognuno di noi dinanzi ad esperienze di dolore e di solitudine-, è possibile, allora, vedere nell’intimo di ogni realtà storica  la presenza di Dio. E’ possibile vivere la morte come una fine, ma non come la fine di tutto, è possibile testimoniare che la nostra vita non è in balìa di un destino cieco, ma è nelle mani di un Dio che ci ama: così, le nostra esistenza non è destinata al fallimento, bensì ha un senso anche quando ha il sapore amaro della sconfitta. La croce non è una “bella teoria” della possibilità del soffrire dell’uomo come salvezza, bensì la manifestazione del volto vero e ultimo di Dio: Amore sconfinato.
Cristo morto e  risorto testimonia che ogni crisi può essere superata, che la diversità può diventare ricchezza, che il dolore può diventare strumento di salvezza. La vita e la morte, la sofferenza e la tribolazione, la malattia e le catastrofi non sono l’ultima parola della storia, ma sono lo scoglio oltre il quale c’è un compimento trascendente per le persone e per il mondo. Più che vedere, udire, toccare, la fede è adorare la Croce nella consapevolezza che la sofferenza vissuta, senza ripiegarci su noi stessi, nel totale abbandono all’Amore e al dono verso gli altri, non distrugge l’umano ma lo salva perché Dio è, sempre e comunque, presenza di misericordia dentro ogni angoscia.

“Tutto è compiuto” (Gv 19, 30)

Gesù, con le sue braccia distese sul legno, con le sue mani inchiodate, sembra del tutto impotente. In realtà è proprio ora che salva il mondo. Lungo tutta la sua esistenza terrena ha desiderato di giungere a questo culmine, in cui superate tutte le tentazioni e tutte le insidie, può dire al Padre -”Tutto è compiuto”-, la missione affidatami è stata portata a compimento. E’ questo il momento in cui, dal suo annientamento, nasce finalmente l’umanità nuova. Le stesse  piaghe delle sue mani, così come le piaghe dei piedi e la ferita del costato, sono ormai una preghiera che invoca pietà per tutti gli uomini.  Dalla Croce, dal sacrificio, dalla rinunzia scaturiscono salvezza e grazia. Questa la chiave di lettura univoca per non sciupare le nostre esistenze, scoprendone il valore più profondo del dolore che si alimenta  tenendo lo sguardo del cuore fisso verso Gesù Crocifisso.
Si tratta di una vera conversione, di cambiare mentalità. Si tratta di considerare come tesoro tutte le esperienze di debolezza, d’impotenza, d’incapacità in cui ci veniamo a trovare, chiedendo al Signore di darci la forza di adorare la Croce quale grande mistero dell’Amore che perdona, che rigenera e salva. Questo amore tutto compie.
L’augurio è  che in questa santa Pasqua tutti noi possiamo sperimentarlo e, nel Cristo risorto, scambiarcelo in abbondanza. Interceda per questo San Corrado Confalonieri e la nostra amatissima Madre, Maria santissima, Scala al Paradiso.

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Domenica delle Palme e della Passione del Signore

“CRISTO VA INCONTRO ALLA MORTE CON LIBERTÀ DI FIGLIO”

Tutto l’impegno quaresimale di penitenza e di conversione in questa domenica viene focalizzato attorno al momento cruciale del mistero di Cristo e della vita cristiana: la croce come obbedienza al Padre e solidarietà con gli uomini, la sofferenza del Servo del Signore (cf 1″ lettura) inseparabilmente congiunta alla gloria (2″ lettura). La strada che Gesù intraprende per salvare (= per regnare) si pone in contrasto con ogni più ragionevole attesa perché egli sceglie non la forza e la ricchezza, ma la debolezza e la povertà. Il compendio della celebrazione odierna è offerto già nella monizione che introduce la processione delle Palme: «Questa assemblea liturgica è preludio alla Pasqua del Signore… Gesù entra in Gerusalemme per dare compimento al mistero della sua morte e risurrezione… Chiediamo la grazia di seguirlo fino alla croce per essere partecipi della sua risurrezione».
  
Riflessione

Gesù prima di morire in croce e di lasciare la terra dopo la sua risurrezione, volle continuare la sua presenza nel mondo con l’istituzione dell’ultima cena. La Chiesa, voluta da Cristo, ha compreso il valore di quel momento e ha iniziato a riunirsi nel giorno del Signore per ascoltare la Parola e realizzare il comando di Cristo: «Fate questo in memoria di me». La “domenica delle palme” o “di passione” fa rivivere tutta la drammaticità del processo e della condanna a morte di Gesù. Prima che tutto questo si realizzi, Gesù si preoccupa di lasciare il segno reale della sua presenza. L’ultima cena è l’ultima Pasqua di Gesù, il banchetto in cui ci si nutre di lui, si fa memoria della sua passione, ci si inebria del suo Spirito e si riceve la garanzia della gloria futura. Se ogni religione prevede un sacrificio dell’uomo a Dio, il cristianesimo si fonda sul sacrificio di Dio all’uomo.
Gesù «prese il pane». Prendere è un gesto profondamente umano, ma ci sono due modi di prendere: con la mano aperta per accogliere il dono, o con la mano chiusa per rapirlo; si tratta di due gesti che sono in discordanza tra loro: uno esprime accoglienza serena e riconoscente, l’altro è un gesto egoistico e violento. Prendere il pane, che nutre il corpo, è figura di ogni dono che l’uomo riceve: «Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?» (I Cor 4,7). Nell’ultima cena Gesù prende il pane e il vino, non il frumento e l’uva, che sono frutti della terra; prende, in altre parole, non i prodotti della natura, ma quelli che l’uomo, con la sua storia e la sua cultura, ha raccolto e lavorato. Tutto ciò che fa parte della natura e della vita dell’uomo è assunto nel corpo di Gesù e viene ridonato a noi come cibo.
Gesù «spezza» il pane per condividerlo. Il dono d’amore diventa capacità di donare, perché uno ama se ha fatto propria l’esperienza di essere amato. L’Eucaristia di cui ci nutriamo ogni domenica dovrebbe irradiare tanto amore da spezzare ogni odio, rancore, e demolire tutti i muri ideologici e materiali che l’uomo costruisce. L’amore ricevuto, infatti, è provocazione continua che apre al dialogo, alla relazione, alla piena condivisione e alla costruzione di un mondo di pace e di giustizia. In tal senso, l’Eucaristia è un cibo necessario a tutti e in ogni celebrazione tutti dovrebbero comunicarsi alla mensa eucaristica, in particolare quanti sono naufraghi nelle difficoltà della vita, proprio come suggerisce l’apostolo Paolo in At 27 ai suoi compagni di sventura:
«”Vi esorto a prendere cibo; è necessario per la vostra salvezza”. E preso il pane, rese grazie davanti a tutti, lo spezzò e cominciò a mangiare. Tutti si sentirono rianimati, e anch’essi presero cibo» (vv. 34-36).

Fonte dal: Sussidio Liturgio-Pastorale “Quaresima-Pasqua 2011”

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