La Fondazione CARE, l’Associazione Medici Cattolici Italiani, e l’Unione Giuristi Cattolici Italiani hanno organizzato sabato 4 Giugno, presso la prestigiosa Sala degli stemmi al Castello Vescovile di Vittorio Veneto, un Convegno di bioetica dal titolo: MEDICINA E TEOLOGIA AL CONFINE DELLA VITA, con relatori di grosso spessore. Il Prof. Alfredo Anzani, docente di Etica clinica presso l’Università “Vita e Salute” San Raffaele di Milano, ha affrontato il tema “La medicina sul confine della vita o oltre il confine della vita?”, sottolineando il diritto di morire con tutta serenità, aborrendo l’accanimento terapeutico, ove l’inutilità dell’atto medico si unisce alla sofferenza da parte del malato, quando si attuano interventi sproporzionati alla condizione clinica del paziente. Solo in un vero rapporto col malato, attraverso un’alleanza terapeutica, si compie la scelta migliore. Ma l’accanimento terapeutico non è sinonimo di insistenza terapeutica, che significa porre in atto tutte le metodiche che la moderna medicina ci offre per prenderci realmente cura del paziente, anche quando non si può più curare, andando al di là del semplice consenso informato, pena ricadere nell’atteggiamento opposto, altrettanto riprovevole, dell’abbandono terapeutico. Il rapporto medico paziente deve essere sempre una relazione tra persone, una relazione di aiuto: c’è un lasciare morire doveroso e ve ne è uno colpevole: la differenza è nel riferimento alla persona.
Le nuove tecnologie consentono di rinviare il momento della morte, prolungandolo oltre le leggi della fisiologia, creando i cosiddetti “malati terminali”, una categoria nuova, di pazienti particolari, interrogativi nuovi, inquietanti per la nostra coscienza. Le cure palliative invece sono frutto dell’attenzione e del rispetto all’ammalato come persona. Come medico cristiano devi prenderti cura dell’anima del paziente se vuoi curare il corpo. Davanti al mistero della morte si rimane impotenti, vacillano le umane certezze. Ma è proprio di fronte tale scacco che la fede cristiana,se compresa ed ascoltata nella sua ricchezza, si propone come sorgente di serenità e di pace. (Giovanni Paolo II)
Mons. Antonio Staglianò, Vescovo di Noto, ha sviluppato la questione del senso: “Il fine-vita come compimento dell’esistenza”. Ha citato i grandi autori russi, da Dostojevski a Solgenitzin, che hanno affrontato nei loro personaggi la riflessione sul vivere e sul morire: la differenza la fa la speranza. Dell’uomo descriviamo, riduttivamente, l’anatomia, la fisiologia, la biochimica, ma questa è un’astrazione: darsi la mano per esperienza di amore è l’incontro tra due persone. Ecco allora la differenza tra corpo e corpo personalizzato, quello che nella lingua tedesca sono il Körper e il Leib, per attraversare la sofferenza, come Cristo ha fatto dono di sé nell’Eucarestia. La sofferenza da enigma diventa allora mistero: Dio soffre con te e ti dona la vita. L’amore vero non è mai “platonico”: è un amore tramite la fisicità. Un concetto molte volte ribadito da Mons. Staglianò è stato inoltre quello della visione soprannaturale, dell’Escaton, dell’oltre la morte, declinata alla luce delle encicliche degli ultimi papi, dalla Salvifici Doloris di Giovanni Paolo II alla Spe Salvi di Benedetto XVI: il senso della vita si matura dal pensiero della fine: “Insegnaci a contare i nostri giorni ed acquisteremo un cuore saggio” (Sal 90, 12). Il nostro Vescovo, Mons. Corrado Pizziolo, ha sintetizzato nel suo intervento i lavori della giornata, sottolineando come i medici hanno antropologie diverse, come atteggiamenti diversi rispetto a tali problematiche. La nostra società interpreta come regolabili l’inizio e la fine della vita, la legge diventa allora un protocollo. La vita invece è un dono, ci ha ricordato il Vescovo Corrado, ed il compito di noi medici cattolici è di testimoniarla ed annunziarla, in un contesto di relazione. Il malato ci chiede di morire non da solo, ma in una relazione: la tentazione eutanasica nasce dalla solitudine, frutto di una tecnologia esaperata ed applicata senza discernimento. Ha moderato la giornata ed il dibattito che ne è seguito il Dott. Gian Antonio Dei Tos, Docente di Bioetica; la partecipazione è stata nutrita, da parte di medici, giuristi, operatori sanitari, ACOS regionale, ma anche i rappresentanti di molte associazioni di volontariato.
Le nuove tecnologie consentono di rinviare il momento della morte, prolungandolo oltre le leggi della fisiologia, creando i cosiddetti “malati terminali”, una categoria nuova, di pazienti particolari, interrogativi nuovi, inquietanti per la nostra coscienza. Le cure palliative invece sono frutto dell’attenzione e del rispetto all’ammalato come persona. Come medico cristiano devi prenderti cura dell’anima del paziente se vuoi curare il corpo. Davanti al mistero della morte si rimane impotenti, vacillano le umane certezze. Ma è proprio di fronte tale scacco che la fede cristiana,se compresa ed ascoltata nella sua ricchezza, si propone come sorgente di serenità e di pace. (Giovanni Paolo II)
Mons. Antonio Staglianò, Vescovo di Noto, ha sviluppato la questione del senso: “Il fine-vita come compimento dell’esistenza”. Ha citato i grandi autori russi, da Dostojevski a Solgenitzin, che hanno affrontato nei loro personaggi la riflessione sul vivere e sul morire: la differenza la fa la speranza. Dell’uomo descriviamo, riduttivamente, l’anatomia, la fisiologia, la biochimica, ma questa è un’astrazione: darsi la mano per esperienza di amore è l’incontro tra due persone. Ecco allora la differenza tra corpo e corpo personalizzato, quello che nella lingua tedesca sono il Körper e il Leib, per attraversare la sofferenza, come Cristo ha fatto dono di sé nell’Eucarestia. La sofferenza da enigma diventa allora mistero: Dio soffre con te e ti dona la vita. L’amore vero non è mai “platonico”: è un amore tramite la fisicità. Un concetto molte volte ribadito da Mons. Staglianò è stato inoltre quello della visione soprannaturale, dell’Escaton, dell’oltre la morte, declinata alla luce delle encicliche degli ultimi papi, dalla Salvifici Doloris di Giovanni Paolo II alla Spe Salvi di Benedetto XVI: il senso della vita si matura dal pensiero della fine: “Insegnaci a contare i nostri giorni ed acquisteremo un cuore saggio” (Sal 90, 12). Il nostro Vescovo, Mons. Corrado Pizziolo, ha sintetizzato nel suo intervento i lavori della giornata, sottolineando come i medici hanno antropologie diverse, come atteggiamenti diversi rispetto a tali problematiche. La nostra società interpreta come regolabili l’inizio e la fine della vita, la legge diventa allora un protocollo. La vita invece è un dono, ci ha ricordato il Vescovo Corrado, ed il compito di noi medici cattolici è di testimoniarla ed annunziarla, in un contesto di relazione. Il malato ci chiede di morire non da solo, ma in una relazione: la tentazione eutanasica nasce dalla solitudine, frutto di una tecnologia esaperata ed applicata senza discernimento. Ha moderato la giornata ed il dibattito che ne è seguito il Dott. Gian Antonio Dei Tos, Docente di Bioetica; la partecipazione è stata nutrita, da parte di medici, giuristi, operatori sanitari, ACOS regionale, ma anche i rappresentanti di molte associazioni di volontariato.