Archivi della categoria: notizie

Inaugurati gli orti sociali e un anello per correre

Va prendendo forma nell’area padre Basile alla Fontana di Modica uno spazio di incontro e di relazione, promosso dalla Caritas diocesana e dalla Casa don Puglisi, attorno al Cantiere educativo “Crisci ranni”. Giovedì 15 marzo sono stati inaugurati gli orti sociali e un anello per correre con momenti semplici, ma significativi, come la piantumazione di piantine e una corsa amatoriale di bambini di gruppi sportivi della città. Come ha sottolineato don Angelo Giurdanella, vicario generale della diocesi, prima della benedizione degli orti “quando uno spazio disabitato viene ripulito si avverte il senso della comunità che si riprende i propri luoghi come accade in una casa: luoghi di incontro tra fratelli”. Perché – ha aggiunto – “segni piccoli ma belli di comunità sono possibili se non ci si chiude, se ci si apre, se si vive nella logica del dono”. Anche il Sindaco, presente con altri amministratori, ha ricordato come sia importante la collaborazione tra associazioni e istituzioni, e in modo particolare come sia rilevante – nello spirito del “Patto sociale contro la crisi” firmato con il Vescovo – una collaborazione progettuale com’è proprio dell’animazione di strada, peraltro prevista dal Piano socio-sanitario di zona anche per Modica Alta e Treppiedi. Sono molte le collaborazioni per gli orti sociali: abitanti del quartiere, bambini del cantiere educativo ma anche di altre associazioni che operano nel campo dei bambini, l’Agesci e il DSM, che ha offerto a tutti i frutti di esperienze già avviate da anni. Come ha sottolineato il primario, dott. Sanfilippo, il contatto con la natura ci fa prendere respiro, ci apre a qualcosa di più alto di noi che dilata gli spazi della mente e del cuore. Così la vita per tutti diventa più sana. In una città povera di spazi verdi, chi vorrà potrà trovare alla Fontana uno spazio di aria pulita per passeggiare, correre, collaborare al cantiere educativo e agli orti sociali. Intanto ci si prepara alla grande festa educativa “Crisci ranni” con scuole, associazioni e parrocchie che si terrà il sabato dopo Pasqua. Il venerdì precedente, il 13 aprile, ci sarà un importante occasione di riflessione per tutte le famiglie, gli educatori, l’intera città. Alle 19,30 alla Domus S. Petri si terrà, infatti, un Convegno sul tema “relazione e consegne educative tra generazioni” che avrà come relatore il vescovo di Caltagirone, Calogero Peri, che per anni ha lavorato con il grande filosofo Levinas che ha messo al centro di tutto la “relazione” a partire dal “volto” dell’altro che ci “interpella”. Sarà un occasione per dare completezza al senso di un cantiere educativo per tutta la città: non solo spazi di incontro, ma una rinnovata tensione alla relazione per ritrovare l’anima della nostra città.

Anche noi con gli immigrati per affrancarci dall’individualismo e generare fraternità

 Il 14 marzo si celebra nella diocesi di Noto la memoria del Beato Antonio Etiope, uno schiavo del Cinquecento vissuto tra Avola e Noto che, accolto e affrancato dai suoi “padroni”, ha testimoniato con radicalità il Vangelo unendo preghiera e carità ed è morto in fama di santità, tanto da essere venerato come beato appena quarant’anni dopo la sua morte. Il suo culto è molto vivo in Brasile, mentre da noi è stato riscoperto grazie alle ricerche di Mons. Guastella nel 1992. Lo stesso lo ha proposto come patrono della Caritas diocesana, mentre, con un Convegno e le sollecitazioni di Mons. Nicolosi per una devozione legata alla vita, se ne attualizzava il messaggio rapportando alla crescente immigrazione.

Il giovane schiavo arriva dalla Libia, dalla Cirenaica, e viene definito Etiope: si evoca subito una terra difficile ed una geografia confusa. Una terra di schiavitù, la terra oggi dei “respingimenti”. La geografia confusa invece è indicativa di una mentalità che non accoglie le differenze, la ricchezza dei popoli. Ricordando il Beato dobbiamo allora anzitutto recuperare il senso della comune famiglia umana, con le sue ricchezze e con l’impegno a “non essere sono vicini ma fratelli” (Caritas in veritate), che si accolgono comunque e si riconoscono nelle differenze grazie alla riscoperta della paternità di Dio. Paternità di Dio che concretamente, fin dall’inizio nel gemellaggio con la Chiesa di Butembo-Beni, ci è stata consegnata in questi termini: “Quando gli europei venivano per dominarci non ci potevamo chiamare fratelli. E nemmeno quando venivano per aiutarci. Solo ora che venite a visitarci, possiamo chiamare Dio Padre e noi fratelli”. Accogliere e visitare sono le due porte d’ingresso nella relazione con la varietà e ricchezza dell’unica famiglia umana!
Questo povero schiavo, catturato dai pirati, vene venduto. E però si realizza una relazione da parte del massaro Jandanula e poi dei nipoti Giamblundo, una relazione che permette loro di coglierne il carattere mite, e forse anche di conservarlo tale rispetto ai tanti che si abbrutiscono per gli incontri sbagliati. C’è anche la delicatezza, nel massaro Jandanula, di convertirlo al cristianesimo, mettendo insieme il desiderio di trasmettere la vera fede ma anche di farlo senza forzature ben sapendo che il primo protagonista resta Dio. C’è quindi l’affrancamento! Non sulla base di una legge, ma di una logica evangelica. Affermano i Giamblundo, nipoti di Jandanula: “non può essere schiavo chi ha Dio per amico!” Dovremo, nell’incontro con popoli diversi, avviare un dialogo anche religioso che passa attraverso possibili messaggi ma soprattutto attraverso cammini di liberazione e leggi che riconoscono il diritto di cittadinanza anche gli immigrati (soprattuttto se nati in Italia o nelle amministrative).
Si intensifica, dopo l’affrancamento, la testimonianza del beato Antonio, tra Vangelo e poveri, con un’attenzione ai detenuti che nella nostra Chiesa si sta rinnovando con esperienze significative come “Coltivare la libertà” o “Il mandorlo che fiorisce”, esperienze di reinserimento attraverso l’agricoltura, o come l’accoglienza dei rifugiati e la scuola di italiano tese a ripercorrere “i sentieri di Isaia”, come dice un coordinamento di iniziative ma anche una newsletter che abbiamo iniziato a pubblicare come Caritas diocesana. Soprattutto – in questo cristianesimo che vuole unire una preghiera dall’intensità mistica, la povertà francescana, la carità coraggiosa – il beato Antonio diventa patrono della Caritas diocesana nel suo impegno ad animare comunità capaci di testimoniare una vita cristiana autentica tesa tra Vangelo e storia, una carità fatta di relazioni e di profezia.
In tempo di quaresima, dobbiamo accogliere questa testimonianza per dare densità evangelica, ecclesiale e storica alla nostra conversione. Anche noi dobbiamo con il Beato affrancarci da schiavitù che ci rendono “schiavi contenti” (nel seguire acriticamente la corsa al benessere individualistico ma così continuare ad opprimere il Sud del mondo) e decidere di uscire dalla crisi insieme agli immigrati, recuperando per tutti e con tutti autenticità di vita, fraternità nelle relazioni, giustizia e pace al cuore della città.
 

Lettura dei grafici del questionario proposto ai catechisti nell’anno 2011

Giorno 9 Marzo all’incontro di aggiornamento del clero di Noto sono stati presentati i risultati del questionario proposto ai catechisti nello scorso anno 2011. Il questionario fu pensato dall’equipe dell’UCD in vista della redazione del sussidio, consegnato ai catechisti lo scorso mese di Novembre. La lettura del questionario è stata fatta su un numero limitato di schede che hanno così costituito una sorta di campione benché fosse  stato proposto a tutti in maniera capillare. Dalle risposte alle varie domande (che si possono trovare in una presentazione Power Point sul sito dell’UCD) è emerso che la maggior parte dei catechisti sentono di essere chiamati a questa missione, che lavorano in equipe nelle loro parrocchie, anche se tanti si muovono ancora singolarmente facendo riferimento al parroco. Manca una formazione unitaria a livello diocesano, molti hanno affermato di formarsi nelle parrocchie di appartenenza, pochissimi hanno seguito corsi specifici. Per una eventuale proposta di formazione si è preferito il metodo laboratoriale per un tempo minimo di due ore e con tematiche di tipo biblico oltre che di ordine pratico e pedagogico.
L’UCD dal mese di Gennaio sta tenendo in Diocesi incontri a livello vicariale per attuare quanto proposto nel sussidio proprio col metodo del laboratorio. Speriamo che tutto ciò sia di stimolo per migliorare e soprattutto per rendere comprensibile in questo nostro tempo così tormentato l’annuncio del Vangelo.
 

Quaresima su twitter con il Papa

Quaresima da vivere su Twitter con i messaggi di Benedetto XVI. Il Pontefice entra nel celebre social network per incontrare i giovani nel loro ambiente comunicativo. Tramite l’account @pope2YouVatican il Papa, ogni giorno dall’inizio della Quaresima, condivide con il mondo degli abitanti digitali una personale riflessione condensata nei 140 caratteri richiesti da Twitter. Brevi meditazioni pubblicate in inglese, spagnolo, italiano, francese, tedesco e portoghese, 40 messaggi in 40 giorni per accompagnare il cammino verso la Pasqua. «Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone (Eb10,24)» è stato il tweet di esordio di Benedetto XVI. Nei giorni successivi il Santo Padre ha scritto: «Fratelli e sorelle, la Quaresima ci offre ancora una volta l’opportunità di riflettere sul cuore della vita cristiana: la carità» e ancora «Quaresima è un percorso segnato dalla preghiera e dalla condivisione, dal silenzio e dal digiuno, in attesa di vivere la gioia pasquale». L’obiettivo è quello di dialogare con i più giovani, credenti e lontani dalla fede, usando i loro codici e linguaggi. Il Papa non agisce direttamente sul social network, ma il suo messaggio è portato tramite il Pontificio Consiglio Cor Unum. Per il futuro la prospettiva è quella di un dialogo diretto tra Benedetto XVI e i ragazzi mediante tweet più personali con un account dedicato. Il progetto conferma l’impegno della Chiesa nella comprensione delle nuove tecnologie, strumento fondamentale nella missione di evangelizzazione. La comunicazione diretta e immediata delle nuove applicazioni permette di veicolare il cuore del Vangelo ad un numero infinito di persone, perché al di là del mezzo il messaggio resta lo stesso. L’Arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Consiglio Pontificio per le Comunicazioni Sociali, ha affermato:
«è interessante come un Papa che a prima vista non sembra mediatico come era il suo predecessore, il beato Giovanni Paolo II, ha capito subito che nei nostri giorni la comunicazione attraverso le nuove tecnologie può avere grande risonanza».
 

La Chiesa netina si stringe attorno al suo Vescovo per rendere grazie al Signore

Lunedì 19 marzo ricorre il 3° Anniversario di Consacrazione episcopale del nostro Vescovo. E’ una propizia opportunità per ritrovarci nella fede attorno a colui che nella Diocesi rappresenta il “Bel Pastore”, che raduna e conduce il popolo Santo di Dio. Durante la solenne concelebrazione sarà proclamata ufficialmente l’elevazione a Basilica Minore la nostra chiesa Cattedrale, che il Santo Padre Benedetto XVI ha voluto benignamente elevare a tale dignità. Sentiamoci tutti coinvolti a partecipare a questa Eucaristi a che ci vede riuniti nel rendimento di grazie al Signore, che continua ad ammaestrare, a nutrire e a condurre la sua Chiesa. L’Eucaristia avrà inizio alle ore 18.00.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

La Chiesa povera e dei poveri a cinquant’anni dal Concilio

Cinquat’anni fa si apriva il Concilio Vaticano II. Uno dei temi rilevanti è diventato quello di una Chiesa amica dell’uomo e attenta ai poveri. “Chiesa povera e dei poveri”, chiarì papa Giovannni. Non per un semplice impegno assistenziale o sensibilità solo etico-politica ma per fedeltà al suo Signore, per profonda identità teologica. “Come Cristo, così la Chiesa è chiamata a percorrere la via della povertà”, puntualizza il documento del Concilio sulla Chiesa “Lumen gentium” al n. 8, ripreso peraltro dal Sinodo diocesano di Noto. Ha aiutato questa maturazione il discorso del Card. Giacomo Lercaro, discorso alla cui stesura ha contribuito un uomo di grande spiritualità e di grande capacità di lettura della storia come don Giuseppe Dossetti. Questo rapporto è stato approfondito da don Corrado Lorefice e il suo lavoro è stato condensato nel libro edito dalle Paoline “Dossetti e Lercaro. La Chiesa povera e dei poveri nella prospettiva del Concilio Vaticano II”. Il volume sarà presentato sabato 24 marzo alle ore 19,30 presso la Domus S. Petri di Modica. Interverranno, oltre all’autore, il teologo don Pino Ruggieri e don Athos Righi, superiore della comunità monastica Piccola Famiglia dell’Annunzita fondata da don Giuseppe Dossetti. L’incontro ha certo grande valenza culturale, ma diventa pure occasione per ripensarsi e ripensare l’attualità ecclesiale e sociale nello spirito di quella grande “Pentecoste del nostro tempo” che è stato il Concilio Vaticano II. Sarà tra l’altro possibile comprendere meglio come vivere il rapporto con i poveri e consegnarlo a tutti – nella fedeltà al Vangelo – come angolo prospettico sia della missione della Chiesa nel nostro tempo (e nella crisi epocale che stiamo attraversando) , sia del comune impegno per la fraternità e la giustizia nella città. 
 
 

La Costituzione che tutti ci riguarda

Per ricordare i centocinquant’anni dell’unità d’Italia, il Cenacolo di studi Dietrich Bonhoeffer di Modica e la parrocchia di San Pietro hanno promosso una serie di incontri sulla Costituzione repubblicana. Insieme agli aspetti storico-giuridici e ai valori fondamentali, frutto di grandi convergenze ideali tra diverse visioni della vita, sono emersi i significativi contributi di credenti come Giorgio La Pira e Giuseppe Dossetti. Chiuderà il ciclo l’incontro con un grande giornalista e saggista come Raniero La Valle, che al tempo del Concilio dirigeva “L’Avvenire d’Italia” e che ha scritto un bel libro sul Novecento letto a partire da eventi come la Costituzione, il Concilio, i movimenti giovanili. Per cogliere potenzialità sul versante di una “resistenza” che genera giustizia e pace come cuore di una politica vera. L’appuntamento è per sabato 17 marzo alle ore 19,30 alla Domus S. Petri, proprio nel giorno che è stato dedicato da poco al ricordo dell’unificazione del nostro Paese.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

“Le Fragilità di fede nella vita del cristiano”

In una sala gremita di operatori pastorali e fedeli, all’Oratorio Domenico Savio di Rosolini, si è svolto giovedì 1 marzo il secondo incontro unitario diocesano per l’anno pastorale in corso sul tema “Le fragilità di fede nella vita del cristiano”.
L’intervento introduttivo, presentato dal Vicario Episcopale per la Pastorale, don Rosario Gisana, ha evidenziato la dimensione della fragilità umana così come è intesa da S. Paolo in 2Cor 12,7-10. Una lettura della debolezza creaturale che si potrebbe definire paradossale perché diventa lo spazio dell’affidamento e il luogo della grazia, della onnipotenza divina, come per Cristo sulla croce.
Relatore dell’incontro, ancora una volta particolarmente apprezzato, padre Giovanni Salonia, che prendendo spunto dalla Lettera Pastorale del nostro Vescovo, “Misericordia io voglio”, ha condotto l’uditorio lungo i sentieri dell’animo umano, che egli ben conosce, e delle fragilità strutturali, svelando la connaturalità della dimensione umana della fede. Qualunque rapporto è fondato sulla fede in forza della invisibilità dei sentimenti che possono essere solamente creduti e non veduti. Allo stesso modo è impossibile vedere Dio, ma è possibile credervi, scoprire le tracce della sua presenza al di là di ogni contraddizione storica o umana e, come i testimoni che ci hanno preceduti, portare tale presenza nel mondo anche nei momenti in cui la fede sembra trovarsi in difficoltà. Infatti non vi è fede senza dubbio o conflitto. La vera fede, la fede della Chiesa, nella quale si cammina assieme sostenendosi a vicenda, è una fede che vive nella precarietà e allo stesso tempo si affida docilmente al Padre, consegnandogli la propria fragilità. È un modo di relazionarsi a Dio che smonta ogni idea di perfezionismo e autoreferenzialità. È fede che permette di cogliere le tracce della bellezza di Dio non solo nella storia ma anche nel fratello fisicamente o moralmente sfigurato, che spesso nasconde un dolore indicibile. Una fede che rende il cristiano competente nella lettura del dolore altrui e quindi aperto alla prossimità e capace di misericordia. È una fede che cambia anche il nostro modo di fare festa nelle celebrazioni di pietà popolare perché trasforma queste occasioni in momenti di condivisione con la gioia di un fratello che ha sperimentato il perdono o del povero che è stato visto.
E proprio “La Pietà Popolare” è il titolo del sussidio pastorale presentato al termine dell’incontro da don Ignazio Petriglieri, Vicario Episcopale per la Cultura. Un lavoro che, attraverso una lettura di alcuni testi del Magistero, si propone di sensibilizzare presbiteri, diaconi, catechisti e operatori pastorali sulla necessità e sulla possibilità di rendere le nostre feste religiose più qualitativamente cristiane.

Per essere “lievito buono”, anzitutto conformarsi a Cristo!

Un centinaio di animatori Caritas e di volontari si sono ritrovati all’inizio della Quaresima al Monastero delle Benedettine di Modica per «ascoltare il Signore» ed evitare di fare di “testa propria”. Rinnovando la consapevolezza che la questione centrale è la conformazione a Cristo, e subito dopo la possibilità che gli altri possano ritrovare nella comunità cristiana un lievito di speranza. Quella vera, quella che viene da una “virtù provata”! Conformarsi a Cristo che è stato “tutto per gli altri” e ha portato su di sé il peccato del mondo, ritrovare per questo un cristianesimo “mistico” e non ridurre la carità a mera filantropia: sono state le sottolineature continue da parte di don Corrado Lorefice commentando il capitolo sesto della lettera ai Galati. Chiarendo fin dall’inizio come la mentalità del mondo occidentale, che insidia pure i credenti, parte dall’opposto: dall’individualismo assoluto. Facendo perdere quel senso del “compatire” che pure era presente nella nostra gente, tradotto in un termine (e una pratica) come “cumputtare”. Eco dei tanti testi biblici, paolini, in cui è proprio di Cristo (e quindi del cristiano) prendere su di sé l’altro, ritrovando la verifica nel fatto che l’altro è peso, e così non diventa possesso! Per questo è necessario convertirsi ma la conversione è, prima che morale, culturale e teologica. Come chiariva Dossetti nel suo intervento “Sentinella quanto resta nella notte?”: «C’è da chiedersi se tali degenerazioni (ndr: la mentalità occidentale centrata sull’io assolutizzato) non siano insite nel pensiero occidentale, come sostiene Levinas. A suo parere, possono essere evitate non con un semplice richiamo all’altruismo e alla solidarietà, ma ribaltando tutta la impostazione occidentale, cioè ritornando all’impostazione ebraica originale, nella quale si dissolve proprio questa partenza dalla libertà del soggetto. I figli di Israele sul Sinai, nel momento più solenne e fondamentale di tutta la loro storia, quando Mosé propose loro la Legge, hanno detto: Faremo e udremo (Es. 24,7). Cioè essi scelsero un’adesione al Bene, precedente alla scelta tra bene e male. Questa accettazione è la nascita del senso, l’evento fondante l’istaurarsi di una responsabilità irrecusabile». Per questa conversione è necessario coltivare l’uomo interiore, l’uomo che sa fermarsi «per ridare spazio allo Spirito perché ci conformi come uomini nuovi all’Uomo nuovo». L’uomo che «guarda la storia a partire dalle cose invisibili». L’uomo che non pensa allora più a se stesso ma «partecipa alle sofferenze di Dio». Don Corrado ha concluso citando Bonhoeffer, rilevando ancora una volta come – nell’ascolto e frequentazione del Signore – leggiamo meglio “dove siamo”, ma anche cogliamo meglio la chiamata di fondo: «Gli uomini vanno a Dio nella loro tribolazione, piangono per aiuto, chiedono felicità e pane, salvezza dalla malattia, dalla colpa, dalla morte. Così fanno tutti, cristiani e pagani. Uomini vanno a Dio nella sua tribolazione; lo trovano oltraggiato, povero, senza tetto né pane. Lo vedono consunto dai peccati, da debolezza e morte. I cristiani stanno vicini a Dio nella sua sofferenza. Dio va a tutti gli uomini nella loro tribolazione; sazia il corpo e l’anima del suo pane, muore in croce per cristiani e pagani, e a questi e quelli perdona».
 
 

Iniziato l’iter per la beatificazione di un figlio di questa Diocesi, Nino Baglieri

Sabato 3 marzo 2012, con una celebrazione della Parola in Cattedrale, presieduta dal Vescovo, Mons. Antonio Staglianò, è iniziato l’iter per la beatificazione di un figlio di questa Diocesi, Nino Baglieri. Una affollata assemblea, vivacizzata dalla nutrita partecipazione della “famiglia salesiana” – Baglieri apparteneva alla associazione “volontari con Don Bosco” – , ha seguito con commozione i vari interventi che hanno spiegato lo svolgimento di questo straordinario evento. 
La cerimonia, oltre all’intervento del Vescovo, ha registrato anche quello straordinario del Rettor Maggiore don Pascual Chavez Villanueva.
 
Iter canonico
L’iter canonico per la “beatificazione” prevede che il vescovo diocesano, dopo aver accettato l’istanza del postulatore (supplex libellus), consulti i vescovi della regione, renda pubblica la richiesta (Editto) in modo da avere informazioni utili per l’approfondimento della verità sul Servo di Dio, consulti la Santa Sede per verificare che non vi sia nulla contrario alla causa (Nulla osta). Espletati questi passaggi si potrà iniziare ufficialmente l’Inchiesta diocesana meditante l ascolto dei testimoni e la raccolta dei documenti.
Nessun sa quanto tempo ci vorrà per giungere alla conclusione di questo processo, che dovrebbe portare alla canonizzazione del Servo di Dio. L’invito che faccio a tutti è di accompagnare con una conoscenza documentata e meditata la testimonianza di Nino e soprattutto di intensificare la preghiera affinché lo Spirito Santo accompagni questo processo di discernimento e se è nella volontà del Signore conceda grazie, favori e miracoli per l’intercessione del suo servo.
 
Cenni sulla vita di Nino Baglieri
Nino Baglieri nasce a Modica (Ragusa) nel 1951. Dopo aver frequentato le scuole elementari e aver intrapreso il mestiere di muratore, a diciassette anni, il 6 Maggio 1968, precipita da un’impalcatura alta 17 metri. Ricoverato d’urgenza, Nino si accorge con amarezza di essere rimasto completamente paralizzato. Inizia così il suo cammino di sofferenza, passando da un centro ospedaliero all’altro, ma senza alcun miglioramento. Ritornato nel 1970 al paese natio iniziano per Nino dieci lunghi anni oscuri, senza uscire di casa, in solitudine, sofferenza e tanta disperazione. Il 24 Marzo 1978, venerdì santo, alle quattro del pomeriggio, un gruppo di persone facenti parte del Rinnovamento nello Spirito prega per lui; Nino sente in sé una trasformazione. Da quel momento accetta la Croce e dice il suo “sì” al Signore. Incomincia a leggere il Vangelo e la Bibbia: riscopre le meraviglie della fede. Aiutando alcuni ragazzini a fare i compiti, impara a scrivere con la bocca. Redige così le sue memorie, le lettere a persone di ogni categoria in varie parti del mondo, personalizza immagini-ricordo che omaggia a quanti vanno a visitarlo. Dal 6 Maggio 1982 in poi, Nino festeggia l’Anniversario della Croce e lo stesso anno entra a far parte della Famiglia Salesiana come Cooperatore. Il 31 Agosto 2004 emette la professione perpetua tra i Volontari con Don Bosco (CDB). Il 2 Marzo 2007, alle ore 8, Nino Baglieri, dopo un periodo di lunga sofferenza e di prova, rende la sua anima a Dio. Dopo la morte, viene vestito con la tuta e le scarpe da ginnastica, affinché, come aveva detto, «nel mio ultimo viaggio verso Dio, potrò corrergli incontro».