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Pubblicato il nuovo libro di Mons. Staglianò su San Corrado

La storia della Chiesa è segnata dalle molte figure di santi e di sante. Ogni Chiesa particolare cu-stodisce con particolare cura la memoria di questi suoi figli, santi della santità di Dio. Sono i tesori più cari della comunità: non si conservano in un museo o in una cassaforte, ma si venerano, si pre-gano, si imitano, si amano. Sono i fratelli e le sorelle che ci hanno preceduto nella fede e che, ora, ci accompagnano con la loro protezione e ci guidano con la loro vita luminosa. Per ogni Chiesa è una grazia poter contare sui santi patroni che vegliano sul cammino di coloro che invocano la loro inter-cessione e protezione.
Nel corso dei secoli, i santi sono stati come dei fari che hanno illuminato e illuminano il cammi-no della Chiesa pellegrina. E continuano ad illuminare il nostro cammino come segni autentici della presenza di Cristo Risorto. Ogni santo lascia trasparire Gesù Cristo, il Figlio del Dio vivente. Ogni santo ci ricorda il progetto di Dio e la grazia di essere suoi figli in Cristo Gesù, il Figlio del Padre. Ogni santo ci assicura che il disegno di amore e di salvezza di Dio si sta compiendo nella storia, no-nostante gli ostacoli e le chiusure degli uomini. I santi ci invitano ad accogliere l’invito dell’apostolo Paolo ad alzare lo sguardo e a contemplare lo stupendo disegno di Dio: “In lui – Cri-sto – (Dio) ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità” (Ef 1,4). Al centro del disegno di Dio vi è Gesù Cristo: il mistero nascosto nei secoli si è rivelato in pienezza nel Verbo fatto carne. L’apostolo afferma: “È piaciuto infatti a Dio che abiti in Lui tutta la pienezza” (Col 1,19). In Cristo, Dio si è fatto vicino, visibile, ascoltabile, toccabile e chi ascolta Cristo e lo segue, partecipa della sua pienezza di grazia e di verità (cfr Gv 1,14-16).
 
 
Il disegno di amore di Dio è per tutti, nessuno escluso. In Gesù Cristo, siamo tutti chiamati alla santità. Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione Lumen Gentium, afferma con chiarezza questa chiamata universale alla santità: “Nei vari generi di vita e nelle varie professioni un’unica santità è praticata da tutti coloro che sono mossi dallo Spirito di Dio e (…) seguono Cristo povero, umile e carico della croce, per meritare di essere partecipi della sua gloria” (n. 41).
Seguire Cristo e lasciarsi guidare dallo Spirito di Dio: ecco la vita cristiana incamminata verso la santità, che è la pienezza della vita. Per seguire Cristo guidati dallo Spirito, non occorrono opere straordinarie. Si tratta di accogliere Cristo, di unirsi a Lui, di fare nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri, i suoi comportamenti. La misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, modellando la nostra vita sulla sua. La santità è accogliere Cristo per diventare conformi a Lui, come afferma san Paolo: “Quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha predestinati a essere con-formi all’immagine del Figlio suo” (Rm 8,29).
Una vita santa non è frutto principalmente delle nostre azioni: siamo trasformati e resi santi dalla vita di Cristo Risorto in noi, attraverso l’azione dello Spirito. Riascoltiamo ancora il Concilio Vati-cano II: “I seguaci di Cristo, chiamati da Dio non secondo le loro opere, ma secondo il disegno della sua grazia e giustificati in Gesù Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Essi quindi devono, con l’aiuto di Dio, mantenere nella loro vita e perfezionare la santità che hanno ricevuta” (Lumen Gentium, 40). La santità ha la sua fonte e la sua radice nella grazia battesimale che ci inserisce nel mistero pasqua-le di Cristo, morto e risorto. “Per mezzo del battesimo – scrive san Paolo – siamo stati sepolti insie-me con lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti (…) così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4). I santi che veneriamo hanno accolto questo dono e, con la libertà dei figli di Dio, si sono dichiarati disponibili a vivere la vita nuova, si sono lasciati trasfor-mare dall’azione dello Spirito Santo.
 
 
In ogni epoca della storia della Chiesa e in ogni luogo del mondo, troviamo figure di santità che appartengono a tutte le età e ad ogni stato di vita: sono volti belli, luminosi, diversi l’uno dall’altro, eppure tutti animati dalla fede, dalla speranza e dalla carità. Alcuni sono come stelle che brillano nel firmamento, altri sono piccole luci, anch’esse ugualmente preziose. Sia chi ha vissuto una santità davvero straordinaria sia chi ha vissuto la vita cristiana con fedeltà, con speranza, con cuore buono: tutti attestano la grazia e la bellezza della fede in Gesù Cristo. Il Concilio Vaticano II ci dice che la santità cristiana non è altro che la carità accolta e pienamente vissuta: “Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui (1Gv 4,16). Ora, Dio ha largamente diffuso il suo amo-re nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci fu dato (cfr Rm 5,5); perciò il dono primo e più necessario è la carità, con la quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di Lui” (Lumen Gentium, 42). I santi hanno accolto il dono della carità e si sono lasciati animare e guidare dalla carità. Ora vivono la comunione con Dio e, come amici di Dio, sono in comunione con noi che siamo pellegrini verso la pienezza della vita. Con tutti i santi, canonizzati e non canonizzati, for-miamo una sola Chiesa, una sola famiglia: essi ci assicurano che è ben fondata la speranza di poter seguire il loro cammino e condividere un giorno la stessa vita beata, la vita eterna, superando le dif-ficoltà e le oscurità dell’esistenza. Con la loro testimonianza, con la loro protezione, con la loro amicizia, i santi continuano a parlarci del Signore Gesù e della sua potenza di liberazione e di rige-nerazione.
 
 
È originale e, a dire il vero, anche coraggioso, il poema di mons. Antonio Staglianò, vescovo di Noto: in forma poetica ha voluto raccontare la bellezza e il fascino della vita santa di Corrado Con-falonieri, originario di Piacenza e amatissimo patrono di Noto, dove è sepolto. Con l’atteggiamento del pastore, con lo sguardo del teologo, con la fantasia del poeta, il vescovo Staglianò scruta in pro-fondità il vissuto di santità di Corrado e ne coglie l’insegnamento che attraversa i secoli per arrivare fino a noi. Attraverso la sua figura e la sua originale santità, è il Signore Gesù che parla a noi, alle nostre famiglie, alle nostre comunità e ci invita a fare nostro il ‘cuore’ della vita santa di Corrado, ossia l’esperienza della misericordia di Dio da cui ha inizio la sua conversione. È infatti il mistero della misericordia di Dio a trasformare Corrado, a rendere nuova la sua vita, dedita alla preghiera e al silenzio e rigenerata alla carità.
Forse non è un caso che il vescovo della Chiesa di Noto abbia dedicato la sua prima Lettera pa-storale proprio al tema della misericordia di Dio: “Misericordia io voglio”. Il Decalogo finale della Lettera è stato ripreso come conclusione del poemetto, in prospettiva attualizzante, quale messaggio – espresso in dieci parole, evocando la Legge di Mosè – che san Corrado rivolge oggi al popolo ne-tino (e non solo). Nell’interpretazione poetica, la misericordia, invocata dal coro/popolo, è la forza che trasforma, la luce che illumina, la grazia che consente di imboccare cammino nuovo che condu-ce ad una vera comunione, ad una gioiosa riscoperta dell’identità battesimale, ad una sincera fedeltà al Vangelo.
 
 
Seguendo passo dopo passo il ritmo cadenzato del racconto, ci si apre al soffio dello Spirito: solo lo Spirito può rigenerare un popolo e incamminarlo sulla strada della vita. Così è avvenuto per Cor-rado: rinasce nel perdono di Dio, di cui avverte il grande bisogno. Sa di poter attendere questo dono invocandolo con fiducia. Un dono che diventa quasi un “diritto”, così troviamo scritto. Non certo per i meriti di Corrado o di altri e tantomeno come una pretesa, ma solo per la grande fiducia in Dio misericordioso: su questo amore fedele di Dio, manifestato in Gesù Cristo, Corrado ha confidato guardando il Crocifisso-Risorto. Tutto converge nel mostrare il volto di Dio che è amore, perdono, misericordia: volto da ammirare, da contemplare, da apprezzare sempre di più, perché la scoperta di questa verità è continua. Ci accompagni san Corrado, pellegrino, nel nostro pellegrinaggio alla ri-cerca del volto misericordioso di Dio: una ricerca costante dell’inesauribile verità del volto di Dio, la cui luce svela la verità dell’umano che è in ogni uomo, in ognuno di noi. Così è avvenuta la con-versione di Corrado, splendida parabola della possibile conversione di ciascuno di noi e di tutto un popolo.
Nel sottotitolo del poema è scritto che San Corrado è “un uomo per i nostri tempi”. La sua uma-nità è rigenerata e salvata dall’umanità ricca di amore del Signore Gesù. Corrado ha rivestito l’uomo nuovo che è Gesù e pertanto ha mostrato nella sua vita rinnovata e rigenerata i tratti più au-tentici e più belli dell’umanità verso cui tutti aspiriamo.
 
 
Quando anch’io ho avuto la grazia di camminare con san Corrado per le strade di Noto, insieme ai moltissimi devoti che si riversavano sulle strade per la tradizionale processione in onore del santo patrono, ho potuto scorgere nel cuore di tutti un desiderio comune, forse in alcuni solo implicito e tuttavia presente. Il desiderio di seguire la strada percorsa da san Corrado, la strada di una vita rin-novata in cui la fiducia nel Signore misericordioso fa sorgere in noi la buona umanità e ci infonde la speranza necessaria che rende gioioso il cammino, nonostante le afflizioni della vita. Oggi, come sappiamo, le strade del nostro quotidiano sono affollate da tante forme di cattiveria, di degrado, di dis-umanità, di peccato. Ma san Corrado ci invita a non rassegnarci: anche il suo tempo non era ro-seo. E soprattutto ci invita a scegliere un’altra strada, quella che egli ha percorso: è la strada della vita, la strada bella e sicura che l’uomo può trovare e percorrere se e quando accoglie la grazia del perdono di Dio. Così è stato per Corrado che ha diffuso attorno a sé il profumo dell’amore di Dio e la bellezza di un’umanità ricca e generosa.
È semplice, ma ricco di umanità e di carità, il gesto con cui San Corrado esprime la sua vita nuo-va con l’offerta del “pane caldo”, dato a tutti, al vescovo che lo visitò e alla povera gente. Quel pane caldo è il segno del suo cuore rinnovato, è il segno del cuore di Dio che, nella sua misericordia, ha accolto l’invocazione di Corrado. Il modo in cui manifestare la nostra devozione al santo è di se-guirlo sulla strada della sua fede che confida nell’amore di Dio e che pone gesti concreti di amore per i fratelli. San Corrado, eremita, ha dedicato la sua vita a Dio. Ma non ha mai dimenticato i figli di Dio, e cioè i fratelli e le sorelle, a cui si è rivolto con gesti semplici e concreti di vicinanza, di prossimità, di consolazione: segni di vita, segni di amore, segni di santità.
 
 
Il quinto atto è intitolato “insegnamento primo”, lasciando intendere che verranno altri insegna-menti. Con il suo amore a Dio e ai fratelli, Corrado è un uomo per tutte le stagioni e quindi è un “uomo dei nostri tempi”: può continuare a parlarci. Di anno in anno sarà possibile proseguire il rac-conto poetico della conversione di Corrado, fruendo di sempre nuovi insegnamenti.
Come vescovo della diocesi di Piacenza-Bobbio, sono molto lieto che Corrado Confalonieri, fi-glio illustre della Chiesa piacentina, sia così venerato e così amato dal popolo di Noto. Ed è molto significativo che i vescovi di queste due diocesi siano da tempo amici ed abbiano lavorato insieme per il Progetto culturale. Oggi – grazie alla santità di Corrado Confalonieri – possiamo ravvivare e rafforzare questa amicizia non solo a livello personale ma anche a livello delle rispettive Chiese, chiamate a stringere legami di comunione. Il gemellaggio tra le nostre Chiese sia di stimolo per un comune cammino di educazione alla fede cristiana e di crescita verso la santità, vivendo con gioia il rapporto con Dio e offrendo il ‘pane caldo’ ai fratelli, come autentici devoti del nostro grande santo, Corrado Confalonieri.
 
 
Prefazione
+ Gianni Ambrosio
Vescovo di Piacenza-Bobbio

Le suore Adoratrici del SS. Sacramento presenti a Pachino e Scicli hanno una nuova Madre Generale Suor Isabella Vecchio

Le suore Adoratrici del SS. Sacramento che in Diocesi sono presenti con diverse opere hanno eletto l’8 luglio la nuova Madre Generale. Le suore nel Vicariato di Pachino sono presenti con due case nella prima gestiscono una scuola paritaria materna ed elementare e nell’altra sono in aiuto pastorale ad una Parrocchia; mentre a Scicli sono a servizio degli anziani nella casa di riposo Carpentieri. La nuova Madre Generale delle Suore Adoratrici del Santissimo Sacramento si chiama Isabella Vecchio, 53enne originaria di Landriano (PV). La religiosa è stata eletta nella mattinata di lunedì 8 luglio dal XVI Capitolo, riunito a Lenno, secondo le modalità previste dalla Regola di Vita e di Comunione. Madre Vecchio era già Vicaria generale dell’Istituto. Resterà in carica per sei anni (rinnovabili per altri sei) e il suo compito sarà la guida dell’Istituto, attenta ai segni dei tempi. Ella “contribuisce a elaborare e attuare, in comunione con le sorelle, orientamenti di vita e di missione, in conformità al carisma fondazionale”.
 
Dopo l’elezione di suor Isabella Vecchio a Madre Generale, la stessa ha provveduto, martedì 9 luglio, alla scelta delle quattro religiose che comporranno il consiglio generale che coadiuverà la Madre nel governo dell’istituto. Sono risultate elette suor Ivana Signorelli, già segretaria generale e consigliera, suor Marinella Severgnini già economa generale, suor Cristina Roncari, delegata del Congo e suor Daniela Lazzaroni, superiora della comunità di Pachino che ha pure lavorato nella nostra Diocesi insieme al Servizio di Pastorale Giovanile Vocazionale.
 
Dopo gli scambi, le riflessioni, i lavori dei giorni precedenti all’elezione, le suore hanno passato la giornata di domenica in preghiera, quindi la notte in adorazione prima di raccogliersi in assise per votare la Madre che per i prossimi sei anni guiderà l’Istituto. Anche in numerose comunità di Adoratrici sparse in Italia e nel mondo la notte tra domenica e lunedì è stata di veglia e di invocazione. 
La mattina di lunedì 8 luglio le suore hanno proceduto all’elezione della nuova Superiora Generale, eleggibile fra le suore “di almeno quaranta anni di età e dieci di professione perpetua”, così indica la Regola di Vita e di Comunione. Alle 10.10 di lunedì 8 luglio l’annuncio ufficiale all’Istituto delle Suore Adoratrici di Rivolta d’Adda: «Abbiamo una nuova Madre! Lodiamo il Signore – hanno detto le Suore – per il dono che ella è e sarà per tutte noi!». Madre Vecchio sostituisce madre Camilla Zani che ha guidato l’istituto per diciotto anni.
 
Biografia della Madre Generale
 
Madre Isabella Vecchio nasce a Landriano (PV) l’8 aprile 1960. Dopo aver insegnato nella scuola materna del suo paese, entra nelle Adoratrici nel 1983. Compie il suo percorso di formazione fino alla professione semplice, avvenuta nel 1985 davanti al vescovo mons. Fiorino Tagliaferri. Da sempre è stata impegnata nell’ambito educativo della scuola dell’infanzia: prima a Montello (BG), poi a Modena, a Duomo di Rovato (BS) e a Palmanova (UD). Nel frattempo si specializza conseguendo la licenza in Pedagogia per la scuola e la formazione professionale all’Università Pontificia Salesiana di Roma nel 1998.
Dal 2001 ha svolto il ruolo di Vicaria della Madre generale e dal 2002 è Maestra delle Juniores. Risiedente a Rivolta d’Adda, in Casa Madre dove, dal 2012 ha assunto il ruolo di responsabile della comunità san Giuseppe.

 

La diocesi di Noto presente a Lampedusa con Papa Francesco

 C’è chi ha scritto che un’enciclica significativa e impegnativa Papa Francesco la stia scrivendo quotidianamente: è l’enciclica dei suoi gesti e delle sue relazioni di tenerezza e annuncio del Vangelo a tutte le persone! Gesto epocale la sua scelta di visitare stamattina, come primo suo viaggio ufficiale fuori dal Vaticano, i lampedusani e i migranti approdati sull’isola più a sud d’Europa. Visita a bordo di una fiat campagnola tra la gente… La diocesi di Noto, sulla traccia di una storica vicinanza alle situazioni di povertà e sofferenza, è stata presente a Lampedusa con un fotografo e una collaboratrice del nostro giornale (sul prossimo numero de “La vita diocesana” avremo un ampio servizio).
 
Per bocca del vescovo di Agrigento (cui Lampedusa appartiene come diocesi) sapevamo già da qualche settimana dell’intenzione forte di Papa Francesco di recarsi in visita in questo confine tra l’Africa e l’Europa, teatro di un esodo biblico, e considerata doverosa per il vescovo appassionato di periferie. Il Papa ha ricordato il sacrificio di 20mila migranti che sono morti nel Mediterraneo mentre fuggivano alla fame e alla guerra per cercare un futuro dignitoso. “Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io”, ha detto il Pontefice. “Ma Dio – ha ricordato – chiede a ciascuno di noi: ‘Dov’è il sangue di tuo fratello che grida fino a me?” La “cultura del benessere” ci rende “insensibili alle grida degli altri”, ci fa vivere “in bolle di sapone”, in una situazione “che, per il Papa, porta alla globalizzazione dell’indifferenza.
 
Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro! “Signore – ha pregato il Papa – in questa Liturgia, chiediamo perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle, ti chiediamo perdono per chi si è accomodato, si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore, ti chiediamo perdono per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi”. Di fronte alle morti in mare, ha detto il Papa, “domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo. ‘Chi ha pianto?'”. Ora continua l’ordinarietà dell’impegno di tutti, in prima fila delle caritas diocesane impegnate a tutelare i soggetti più deboli: non più emergenze ma quotidianità come ha dimostrato lo sbarco di migranti avvenuto poche ore fa. Perché a ognuno, immigrato o no, si possa dire – come ha fatto Papa Francesco durante l’omelia rivolgendosi ai musulmani – “o’ scià”, respiro mio, fratello mio per il solo e semplice fatto che come me vivi e respiri!
 
 

Lumen fidei, «La luce della fede». La prima Enciclica di Papa Francesco scritta a quattro mani

 Chi crede, vede. E non è mai solo. Perché la fede è un bene comune che aiuta a distinguere il bene dal male, a edificare le nostre società, e dona speranza. Non ci separa dalla realtà, la fede: al contrario, ci aiuta a coglierne il significato più profondo, e scoprire così l’intensità dell’amore di Dio per questo mondo. A consegnarci questo messaggio è la Lumen fidei, «La luce della fede», prima enciclica di papa Francesco, vero e proprio ponte tra questo pontificato appena iniziato e quello di Benedetto XVI, che aveva consegnato al suo successore la prima stesura di questo testo, che Francesco ha ripreso e completato, decidendo di pubblicarlo non alla fine, ma nel cuore dell’Anno della fede. Un testo, come ha sottolineato il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, monsignor Gerhard Müller, presentando ieri mattina l’enciclica nella Sala stampa della Santa Sede, in cui quel che immediatamente risalta, pur nelle «evidenti differenze di stile, di sensibilità e di accenti», è «la sostanziale continuità del messaggio di papa Francesco con il magistero di Benedetto XVI», a offrirci «uno sguardo comunque positivo sul mondo e sull’agire dell’uomo».
 
Nella Lumen fidei insomma, c’è «molto di Benedetto XVI ma c’è tutto di papa Francesco, che ha assunto il testo nel suo ruolo di primo testimone della fede», ha osservato a sua volta il prefetto della Congregazione per i vescovi, il cardinale Marc Ouellet. Per questo, ha spiegato, il testo è dunque «da considerarsi tutto di papa Francesco». Del resto, ha chiosato ancora Müller, «non abbiamo due papi ma uno solo. Da Benedetto c’è stata solo una preparazione». E, a ribadire tale concetto, il prefetto del Dicastero dottrinale della Santa Sede ha sottolineato come «nelle meditazioni che offre quotidianamente attraverso la sua predicazione, Francesco spesso ci richiama che “tutto è grazia”. Tale affermazione che, di fronte alla complessità e alle contraddizioni della vita, può sembrare a qualcuno ingenua o astratta, è invece un invito a riconoscere la positività ultima della realtà». Con tutto questo, ha concluso Müller, «l’enciclica vuole riaffermare in modo nuovo che la fede in Gesù Cristo “è un bene per l’uomo ed è un bene per tutti, è un bene comune: la sua luce non illumina solo l’interno della Chiesa, né serve unicamente a costruire una città eterna nell’aldilà; essa ci aiuta ad edificare le nostre società, in modo che camminiamo verso un futuro di speranza”».
 
La luce, ha quindi messo in evidenza monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione, «è una categoria determinante per la fede e per la vita della Chiesa. Essa ritorna con particolare efficacia in un momento come questo, spesso di forte travaglio, dovuto a una crisi di fede che per i problemi che comporta ha pochi precedenti nella nostra storia». In questo senso, ha aggiunto il presule, la Lumen fidei, «è un’enciclica con una forte connotazione pastorale. Queste pagine saranno molto utili nell’impegno che toccherà le nostre comunità per dare continuità al grande lavoro intrapreso con l’Anno della fede». Papa Francesco, ha proseguito, «con la sua sensibilità di pastore, riesce a tradurre molte questioni di carattere prettamente teologico in tematiche che possono aiutare la riflessione e la catechesi». Per questo «è importante cogliere l’invito che giunge a conclusione dell’enciclica: “Non facciamoci rubare la speranza”». Un invito che il Papa «ha ripetuto più volte in questi mesi, soprattutto rivolgendosi ai giovani e ai ragazzi», e che oggi «scrivendolo nella sua prima enciclica vuole indicare che nessuno dovrebbe avere paura di guardare ai grandi ideali e di perseguirli. La fede e l’amore sono i primi a dover essere proposti», e «in un periodo di debolezza culturale come il nostro un simile invito è una provocazione e una sfida che non possono trovarci indifferenti».
 
«È utile sapere – ha concluso Fisichella – che in prospettiva dell’Anno della fede si era chiesto ripetutamente a Benedetto XVI di scrivere un’enciclica che venisse in qualche modo a concludere la triade che egli aveva iniziato con Deus caritas est sull’amore, e Spe salvi sulla speranza. Il Papa non era convinto di dover sottoporsi a questa ulteriore fatica. L’insistenza, tuttavia, ebbe la meglio e papa Benedetto decise che l’avrebbe scritta per offrirla a conclusione dell’Anno della fede. La storia ha voluto diversamente. Questa enciclica ci viene offerta oggi da papa Francesco con forte convinzione e come “programma” su come continuare a vivere questa esperienza che ha visto tutta la Chiesa impegnata per un anno intero in tante esperienze fortemente significative».​​​​​

La nostra Diocesi alla Giornata Mondiale della Gioventù Rio 2013. “La Chiesa crede nei giovani”

Il 15 luglio si partirà anche dalla Diocesi di Noto per la GMG di Rio. Sono in 7 i giovani della nostra Diocesi che si sono organizzati per il viaggio insieme ad altri 20 giovani provenienti dalle altre Diocesi siciliane, in tutto dalla Sicilia saranno in 27. I giovani siciliani faranno un gemellaggio con la Diocesi di Petropolis dove rimarranno fino al 22 luglio. Invece dal 23 luglio al 29 si sposteranno a Rio de Janeiro per partecipare insieme a Papa Francesco alla settimana della GMG. A Scicli il prossimo 11 luglio alle ore 19,30 presso la Parrocchia Madonna di Fatima, i giovani riceveranno il mandato per partire alla GMG e gli verrà consegnato  il kit del pellegrino, alla celebrazione saranno presenti anche i giovani della Diocesi di Ragusa. Il gruppo regionale per tutta la durata della GMG sarà guidato da don Innocenzo Mascali della Diocesi di Ragusa insieme a Nicoletta Di Maria che in Diocesi si occupa della Pastorale Giovanile con don Giovanni Lauretta.
 
La GMG è un evento che incoraggia una riflessione profonda sui giovani e sulla loro speranza. Si tratta di un incontro volto a presentare ai partecipanti riflessioni su una società giusta, fraterna, contribuendo alla discussione sulle politiche pubbliche per i giovani e la possibilità di intraprendere nuovi cammini, basati su veri valori, ovvero i valori cristiani. Chi li vive è in grado di cambiare il mondo.
 
Rio de Janeiro è orgogliosa di essere la città sede della GMG. L’accoglienza calorosa dei suoi abitanti, le bellezze naturali e l’infrastruttura offerta sono stati fattori decisivi per la scelta. Migliaia di giovani provenienti da tutto il mondo sono ansiosi di incontrare il Papa, di vivere uno scambio di fede e cultura e di conoscere una delle mete turistiche più ambite al mondo. Più che una semplice meta per turisti, Rio de Janeiro è storicamente una città impegnata nelle lotte per migliorare le condizioni di vita della sua popolazione.
 
La sicurezza di un evento di tale portata coinvolge tre sfere governative (Unione, Stato e Municipio). Per questa organizzazione è stata creata la Segreteria Straordinaria di Sicurezza per i Grandi Eventi (Sesge) del Ministero di Giustizia, in modo da affrontare la preoccupazione del Governo Federale riguardo l’impegno di preparare il piano di sicurezza di eventi quali la GMG.
La Giornata Mondiale della Gioventù è fatta dai giovani e per i giovani. Il senso di giustizia sociale, uguaglianza e fratellanza che motiva milioni di giovani a partecipare a queste manifestazioni in Brasile, spinge i giovani del mondo intero a testimoniare la possibilità di una convivenza pacifica di fronte alle diversità che permeano la società. I preparativi per la GMG continuano, nell’attesa di un’alba nuova, che porti speranza.
 
 Guarda e ascolta l’Inno della GMG di Rio 2013 nella versione italiana
 

La Chiesa di Noto ha quattro nuovi presbiteri. Staglianò: “il vostro celibato fecondi di nuovi figli la Chiesa di Cristo”

La Chiesa di Noto ha generato nel sacramento dell’Ordine Sacro quattro nuovi sacerdoti, attraverso l’imposizione delle mani e la preghiera di consacrazione del Vescovo Mons. Antonio Staglianò. I nuovi presbiteri ordinati nella celebrazione del 30 giugno alle ore 10,30 in Cattedrale sono: Gabriele Di Martino da Rosolini, Gianni Roccasalvo da Pozzallo, Manlio Savarino e Davide Lutri da Donnalucata. La Cattedrale gremita e traboccante in ogni ordine di posto è stata un segno tangibile dell’affetto che le varie comunità parrocchiali hanno voluto tributare a questi quattro giovani novelli sacerdoti, che abbiamo visto visibilmente emozionati insieme ai sacerdoti che in questi anni li hanno seguiti.
 
Il Vescovo di Noto, Mons. Staglianò, che ha conferito il ministero sacerdotale, ha ricordato alla comunità diocesana il vero volto che la Chiesa è chiamata a mostrare, il volto di “una chiesa missionaria, che non si chiude nei quattro recinti murari della Parrocchia ma che va dove c’è la gente e siccome – ha detto Staglianò -, la gente non è più nelle Chiese, deve andare per le strade del mondo, nelle periferie delle nostre città, ad annunciare il volto bello della Chiesa che è epifania dell’amore di Dio.” “Non c’è Chiesa – ha detto con forza il Vescovo -, dove c’è corruzione, dove ci sono scandali, non c’è Chiesa dove non c’è comunione, dove si dà spazio a particolarismi, la Chiesa è invece per sua natura comunione, ascolto e missione”.
 
Il Vescovo ha esortato i quattro ordinandi a non chiudersi nell’individualismo, nel protagonismo a tutti i costi, nel carrierismo sterile e dannoso, tutte cose che minano e distruggono ciò che solo conta: il servizio umile, la fraternità, la carità e la comunione sulle cui basi si edifica l’unica Chiesa che è il corpo mistico di Cristo. Il celibato dei preti – ha ricordato il presule ai novelli presbiteri – è il dono più bello che fate alla Chiesa in quanto il vostro celibato sarà capace, se lo accogliete con amore e dedizione, a rendere sempre più fecondo il grembo della madre Chiesa generando in essa tanti figli di Dio. Questo è stato il mandato che Mons. Staglianò ha consegnato alla Chiesa di Noto attraverso questi quattro preti novelli che sono – ha concluso il Vescovo – il segno visibile di una Chiesa capace di rigenerarsi e rinascere sempre a vita nuova senza rughe e senza macchie.
 

Noto. Oggi 30 giugno in Cattedrale Staglianò ordina 4 novelli preti

Oggi 30 giugno 2013, alle ore 10,30 nella Basilica Cattedrale a Noto, il Vescovo, Mons. Antonio Staglianò, conferirà il sacramento del presbiterato a quattro diaconi del nostro Seminario Vescovile: Gabriele Di Martino, Gianni Roccasalvo, Manlio Savarino, Davide Lutri; due di loro hanno rilasciato il racconto della loro vocazione e dei loro sentimenti nell’ultimo numero del nostro quindicinale “La Vita Diocesana”, Davide Lutri ha dichiarato che la sua vocazione è “un grande mistero”. Il dono che nell’ordinazione mi verrà consegnato nelle mie mani – scrive su LVD don Davide – è una realtà che supera infinitamente ogni pensiero e ogni umana comprensione.
 
L’altro candidato al sacerdozio Manlio Savarino ha scritto che ha un solo desiderio: “essere sacerdote secondo il cuore di Cristo, in una identità che si fa impegno e vita”. Invitiamo la comunità diocesana ad unirsi in preghiera per questi prossimi sacerdoti della nostra amata Chiesa netina.
 

Modica. FESTA DEL RIFUGIATO 2013. “UN’UMANITA’ FERITA CHE NON SI ARRENDE”

Sarà celebrata anche a Modica la festa del rifugiato per iniziativa della Caritas diocesana, dello Sprar (sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati), delle Cooperative sociali “Don Puglisi” e “Il Dono” che contribuiscono con il Comune di Modica per l’esperienza del Centro Babel, che accoglie donne rifugiati con i loro bambini. Sono storie drammatiche, ma anche coraggiose! “La città dalla parte dei rifugiati” – tema di quest’anno – diventa certo l’occasione per non dimenticare tanti che devono lasciare il proprio paese e i propri affetti a motivo della loro fede religiosa,delle loro idee o delle guerre, ma anche per apprendere da loro coraggio, coraggio soprattutto nel riunire gli affetti, coraggio nel tentare comunque di dare una speranza ai propri figli, coraggio anche in alcuni casi di denunciare l’ingiustizia di questo nostro mondo, coraggio nel testimoniare la fede cristiana.
 
La festa del rifugiato sarà ospitata dal cantiere educativo “Crisci ranni” nell’area attrezzata padre Basile in via Fontana e prevede alle 20 di giovedì 20 giugno la proiezione di un video che racconta l’esperienza del Centro Babel e quindi una cena multietnica curata dal gruppo “L’italiano per amico”, promosso dal Coordinamento “I sentieri di Isaia”. Nei giorni in cui è ancora viva la beatificazione di don Puglisi, e proprio mentre sarà in corso il Grest3P che prende ispirazione dal suo messaggio, si vogliono cogliere, coltivare e sostenere tutti i germi di bene possibile e di costruire, per noi e per i nostri figli, un mondo più giusto e fraterno in cui sia per tutti bello vivere e aiutare a vivere.
 
 

Portopalo. Posa della prima pietra per la nuova chiesa in costruzione

Lo scorso 31 maggio, alla presenza del Vescovo, Mons. Antonio Staglianò e delle autorità civili e militari della cittadina, si è svolta la cerimonia della posa della prima pietra della costruenda nuova parrocchia di Portopalo di Capo Passero. Alla cerimonia era presente anche un gruppo di fedeli della parrocchia gemellata di Isola Capo Rizzuto, dedicata alla Madonna greca, guidata dal parroco, don Edoardo Scordio. Ad accogliere la delegazione di Isola il parroco di Portopalo, don Gianluca Manenti. La nuova parrocchia sorgerà in un’area molto vasta in contrada Pizzuta. I lavori dureranno 18 mesi e prevedono oltre alla realizzazione della seconda chiesa, anche l’edificazione dei locali di pertinenza della parrocchia, che saranno dedicati al beato Antonio Rosmini. Il costo previsto dell’opera è di circa 2 milioni di euro, somma stanziata dalla Conferenza episcopale italiana per venire incontro alle esigenze di una cittadina, cresciuta negli ultimi anni in misura notevole. L’attuale edificio sacro, dedicato a San Gaetano, ha risposto fino ad oggi alle esigenze della comunità della cittadina marinara. Dopo l’episodio dell’incendio accaduto nell’estate dello scorso anno, la Chiesa si è resa inagibile e fervono i lavori per restituirla il prossimo 8 dicembre al culto. Portopalo potrà contare, così, su due chiese. Nella brochure di presentazione dell’opera, è detto, tra l’altro, che il progetto dell’erigenda nuova Chiesa “tende a realizzare un’opera che guidi i fedeli verso l’edificio sacro anche mediante le suggestioni offerte dall’area con il suo naturale e particolare declivio verso il mare. Anche in tal modo va letta la scelta per il piano della Chiesa di una quota di circa cinque metri inferiore rispetto al principale piano stradale d’accesso all’area. Da ciò deriva un “naturale richiamo orografico” che convoglia verso uno spazio protetto dalla quotidianità cittadina, e dai conseguenti disturbi funzionali ed acustici, così privilegiando suoni, colori e luci provenienti dal mare”. In questa prospettiva , molto felice è sembrata la decisione di dedicare il complesso parrocchiale dell’erigenda chiesa alla Madonna Greca, Eleusa, Madre della Misericordia , la «Madonna che viene dal Mare». “Una pia leggenda molto diffusa tra il popolo – scrive Salvatore Cristofaro di San Marco Argentano, nel testo: In onore di Maria Vergine madre di Dio, che si venera in Isola come protettrice sotto il titolo di Madonna Greca. Edizione. 3°, Catanzaro, 1896 – narra che l’effigie della Beata Vergine provenga dall’Oriente e che sia approdata miracolosamente presso l’insenatura di Capo Rizzuto e ritrovata da un pastore. Questo pastore, di cui la tradizione non menziona il nome, mentre guidava il suo gregge al pascolo, lungo la battigia dell’azzurro mare avrebbe visto una tavola “ondeggiante e luccicante sulla superficie delle acque, che si spingeva lievemente verso il lido”. Si tratta, ovviamente, del lido di Isola Capo Rizzuto, alla cui comunità quella di Portopalo vuole gemellarsi. Due comunità che vivono le stesse avventure sul fronte del medesimo mare, rafforzate da oggi, sotto la protezione della Madonna Greca, Eleusa, Madre della Misericordia, da un comune rapporto umano e di fede.

 

Noto. Il 9 Giugno in Seminario le confraternite della Diocesi in ritiro spirituale

Il 9 giugno scorso le Confraternite e le Arciconfraternite della nostra Diocesi si sono date appuntamento a Noto in Seminario per il loro 3° Ritiro Spirituale. L’incontro, che ha visto una numerosa partecipazione in rappresentanza dei venti sodalizi presenti nei sei Vicariati della Diocesi, è iniziato con la celebrazione delle Lodi mattutine ed è proseguito con la meditazione del diacono don Gabriele Di Martino che ha esortato con parole altisonanti l’uditorio ad una maggiore autenticità, a diventare luoghi di formazione al servizio del Vangelo e della società.

 
La riflessione è stata sviluppata sull’intreccio di fede e carità, non può la fede autentica non prolungarsi nella carità e d’altra parte la vera carità nasce dalla fede interiorizzata. Dopo un breve break i Confrati e le Consorelle si sono ritrovati in adorazione davanti alla santissima Eucarestia solennemente esposta. Nell’ultima parte della giornata i partecipanti hanno condiviso le loro esperienze di fraternità.
Per tutti è stata una grande occasione che resterà nelle nostre menti e nel nostro cuore per sempre.