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Un figlio della Chiesa di Noto è il nuovo Vescovo di Piana degli Albanesi

 Il Santo Padre ha nominato Vescovo dell’Eparchia di Piana degli Albanesi di Sicilia il Rev.do don Giorgio Demetrio Gallaro, del clero dell’Eparchia di Newton dei Greco-Melkiti (Stati Uniti d’America).
Mons. Gallaro è un figlio della Chiesa netina, nato il 16 gennaio 1948 a Pozzallo. Ha compiuto gli studi medi e secondari presso il Seminario Vescovile di Noto. Trasferitosi nel 1968 negli Stati Uniti d’America ha completato i corsi teologici al Saint John Seminary di Los Angeles, California. È stato ordinato diacono nel 1971 e presbitero nel 1972.
Dopo aver servito per otto anni due comunità parrocchiali nell’Arcidiocesi di Los Angeles, ha compiuto gli studi superiori al Pontificio Istituto Orientale di Roma e alla Pontificia Università di San Tommaso in Urbe, conseguendo il dottorato in diritto canonico orientale e la licenza in teologia ecumenica.
In seguito ha svolto attività di parrocchia e d’insegnamento nella sua Eparchia Melkita di Newton, Massachussets, in quella Ucraina di Stamford, Connecticut, e nell’Arcieparchia Rutena di Pittsburgh, Pennsylvania. Dal 2011 è stato il Vice-Presidente della Società di Diritto Orientale e dal 2013 Consultore della Congregazione per le Chiese Orientali. Al presente svolge gli uffici di sincello per gli affari canonici e di vicario giudiziale nell’Arcieparchia di Pittsburgh, di docente di diritto canonico e teologia ecumenica al Seminario Bizantino Cattolico dei Santi Cirillo e Metodio di Pittsburgh, e di giudice d’appello per l’Arcieparchia di Philadelphia degli Ucraini.
Mons. Giorgio Gallaro, pur esercitando il suo ministero fuori Diocesi, non ha mai interrotto il legame con la sua Chiesa locale, che lo ha generato alla fede e alla vocazione sacerdotale: In diverse occasioni infatti è tornato a Pozzallo, nella Parrocchia di San Giovanni Battista, soprattutto nel periodo estivo, per la festa del Santo.
Auguri uniti alla preghiera per Mons. Gallaro, affinché il Pastore supremo lo assista nel servizio alla Chiesa di Piana.

Mons. Staglianò al Convegno Teologico- Pastorale di Crotone: “Cristo è la misura alta della mia umanità”

Lo scorso 16 marzo, il nostro Vescovo, Mons. Antonio Staglianò è intervenuto ad un Convegno Teologico-Pastorale, organizzato dall’Arcidiocesi di Crotone-Santa Severina, sul tema “Chi segue Cristo diventa anch’egli più uomo” (GS 41). Famiglia e Vita Consacrata: volti dell’umano bello e possibile. Fra i relatori anche Mons. José Rodríguez Carballo, Segretario della Congregazione per gli istituti di Vita Consacrata e la professoressa Maria Cruciani, docente di Teologia Morale presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma.
 
La relazione di Mons. Staglianò ha sviluppato il tema dell’umanesimo nuovo – in sintonia con gli orientamenti del prossimo Convegno Ecclesiale di Firenze – a partire dal novum inaugurato da Cristo, epifania dell’umano che rilancia il dinamismo della Chiesa, che oggi, come esorta Papa Francesco, deve “uscire” verso le “periferie esistenziali” degli uomini e delle donne del nostro tempo.
 
Mons. Staglianò ha esordito con un’analisi lucida sull’ “umano” dell’uomo post-moderno, quello che vive nella “società dell’ipermercato”, che ha obnubilato le coscienze, relativizzando i valori universali, anche quelli più sacri e inviolabili, generando una sub-cultura “dove tutti parlano e dicono, ma senza alcuna certezza e senza nessuna direzione”. In questo contesto di confusione e di inconsistenza del pensiero, il valore incommensurabile della libertà, viene travisato e abusato, “poiché – rileva il Vescovo – manca l’esercizio del logos, quella intelligenza che è capacità di ‘leggere dentro’ se stessi, dentro la verità più profonda delle cose, per scoprirsi infine umani, animali ‘razionali’, che si distinguono dalle bestie”.
 
Quale “umanità” oggi? Quanto “umano” c’è nell’uomo? È la provocazione di Mons. Staglianò, che stigmatizza la dilagante barbarie che “disumanizza” la nostra società, perfino la religione, “nell’ubriacatura di una visione distorta di Dio, in nome del quale si arriva pure ad uccidere!”.
 
“Non si può non parlare di un siffatto contesto – ha proseguito il Relatore – senza ribadire la nostra responsabilità di cristiani, senza accusare che questa degenerazione dell’umano, è frutto di una ‘impurità’ che deturpa la bellezza dell’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio”.
 
“Ci sono spiriti impuri – ha rimarcato ancora Mons. Staglianò – che spingono gli uomini a disobbedire al comandamento divino”, in una direzione che muove ad “adulterare” le relazioni sociali, i rapporti amicali, i legami fraterni e persino familiari. “Adulterare – ha ripreso il Vescovo – vuol dire ‘avvelenare’ gli aspetti più sacri e fondamentali della vita, non solo in ordine ai nostri simili, ma anche nei riguardi della terra, dell’ambiente, il ‘giardino’ che il Creatore ci ha affidato, perché ne fossimo custodi”.
 
“La crisi odierna – ha affermato il Relatore – è soprattutto antropologica; in essa va collocata il dramma di un galoppante crollo demografico, vera tragedia umana; una fiumana di umanità che vuole nascere, che spinge ad uscire, che vuole entrare nella vita. Ma noi non li vogliamo! I nostri figli non li facciamo nascere!” Un’umanità senza figli, non ha futuro ed è terribilmente povera! “Qui si impegna la fede cristiana, che non è una patina religiosa, che non è mai accomodante, ma che vuol dire essenzialmente uscire”.
 
“Non basta adempiere il comandamento di santificare le feste – ha ricordato Mons. Staglianò – ci vuole una seria autocritica del nostro essere cristiani e praticanti. Bisogna prendere coscienza dell’urgenza di uscire dalle comodità di una fede sonnecchiante, di raggiungere le periferie del dolore e dei bisogni dei fratelli, ci vuole una fede adulta, matura, piena di Logos, capace di mettersi sulle orme di Cristo”.
 
La sequela Christi diventa allora essenziale per la nascita di un nuovo umanesimo; seguire Gesù è mettersi dietro a Lui, con l’intelligenza della fede, “per conoscere la verità della carità”. Perché non basta fare la carità – ha rammentato il Vescovo – “ma conoscere la verità della carità”, l’amore di Dio in Cristo Gesù.
 
“Ecco la misura alta della mia umanità – ha concluso Mons. Staglianò – ecco il cammino di conversione all’umano, che è la qualità più divina che è in me. Qui non basta solo il logos, ma serve che mi scopri essere divino, immagine e somiglianza di Dio, cristico, triniforme, per dirla con Rosmini, capax Dei, capace cioé di accogliere Dio in me; Lui che distrugge in me quanto è impuro e di inciampo alla maturazione del novum di una umanità pienamente realizzata, più bella e buona”.
 
 

Celebrazione del 60° anniversario di sacerdozio di Mons. Malandrino e del 6° anno di episcopato di Mons. Staglianò

Fortemente sentita e partecipata la Messa di celebrazione del 60° anniversario di sacerdozio di Mons. Giuseppe Malandrino e del 6° anniversario di episcopato di Mons. Antonio Staglianò. Celebrata nella Basilica Cattedrale di Noto il 19 marzo, nella solennità di San Giuseppe, in cui si ricorda pure il dono della paternità, la Messa è stata animata dal coro della Cattedrale e presenziata da una delegazione dei portatori dei cilii e dei portatori di San Corrado. La celebrazione ha accolto i fedeli di tutte le parrocchie dei vicariati e si è aperta con i saluti del Vescovo Mons. Staglianò rivolti ai presenti, in modo particolare a Mons. Giuseppe Malandrino, Vescovo Emerito, a Mons. Paolo Urso, Vescovo di Ragusa, che ha rappresentato l’Episcopato siciliano e a Mons. Rosario Gisana, Vescovo di Piazza Armerina e figlio della Chiesa di Noto, consacrato Vescovo un anno fa. A questo momento significativo di comunione è seguito il ringraziamento di Mons. Malandrino alla comunità diocesana e al Vescovo Antonio per il percorso intrapreso insieme, sottolineando quanto Mons. Staglianò tenesse a cedergli la presidenza eucaristica per questa occasione.

 
L’omelia tenuta da Mons. Gisana ha toccato il tema della gratitudine per il dono dei pastori alla Chiesa netina; Gisana ha ricordato San Giuseppe, come l’uomo giusto, che compie la volontà di Dio, con generosità e piena dedizione: “Quando ti chiedono dai, senza tornaconto”.
In seguito ha trovato spazio il tema del discepolato e dell’essere “primo tra gli ultimi” come Giuseppe, di cui si sa così poco dai Vangeli: “il vero discepolo è colui che ama stare nel nascondimento – ha evidenziato Gisana – chiamato a ricoprire un ruolo fondamentale nel silenzio”. La sua vicinanza a Gesù è simile a quella dei discepoli che si immergono nel cammino, sfuggendo a una vita appariscente; Giuseppe, nel non ripudiare Maria sembra eludere la legge di Dio, tuttavia facendo questo la completa e si fa collaboratore del progetto divino.
Prima del congedo, Mons. Angelo Giurdanella, Vicario Generale della Diocesi, ha espresso un vivo ringraziamento per l’operato dei Vescovi Staglianò e Malandrino, modelli di zelo apostolico e di dedizione offerti al gregge di Cristo. Ha poi rivolto un augurio speciale a Mons. Gisana per il suo primo anno di episcopato che ricorrerà il giorno di Pasqua, facendo infine dono ai Vescovi di alcuni testi di teologia, del Magistero della Chiesa e di un’icona della Madonna.
Mons. Malandrino ha poi preso la parola, ricordando il drammatico crollo e la ricostruzione della Cattedrale da lui tanto amata e ha elencato le tre “Pa” fondamentali per la vita della Chiesa locale: “Parola” di Dio come fonte di amore e sapienza; “Parrocchia”, come esperienza forte di comunità e di famiglia; “Paternità”, come quella di Dio, che ama tutti senza discriminazione.
L’inno a Maria SS. Scala del Paradiso ha concluso la Messa, accompagnando abbracci fraterni e di gratitudine tra i vescovi presenti.
 
 

Dichiarazione della Curia Vescovile di Noto in merito al recente episodio di presunto esorcismo in Diocesi

In merito al recente e presunto episodio di esorcismo avvenuto in un Comune della Diocesi di Noto, da parte di un sacerdote esorcista che ha regolare e legittimo mandato del Vescovo per l’esercizio del suo ministero, la Curia Vescovile di Noto con la presente Dichiarazione desidera dare le opportune informazioni ai fedeli laici sulla materia in questione: Per capire cos’è l’esorcismo si deve partire da Gesù Cristo e dalla sua stessa prassi. Facciamo riferimento a quanto fu detto alla sala stampa della Santa Sede il 26 gennaio 1999 durante la presentazione del rito degli esorcismi fatta dal Cardinale Prefetto, Sua Eminenza Jorge Arturo Medina Estévez: «Gesù Cristo è venuto per annunciare e inaugurare il regno di Dio sul mondo e sugli uomini. Gli uomini hanno una capacità di accogliere Dio nei loro cuori (Rm 5, 5). Questa capacità di accogliere Dio viene, però, offuscata dal peccato e talvolta il male, nell’uomo, occupa il posto dove Dio vuole vivere. Per questo Gesù Cristo è venuto a liberare l’uomo dalla dominazione del male e del peccato e così anche da tutte le forme di dominazione del maligno, cioè del diavolo e dei suoi spiriti maligni chiamati demoni, che vogliono deviare il senso della vita dell’uomo. Per questa ragione Gesù Cristo scacciava i demoni e liberava gli uomini dalle possessioni degli spiriti maligni, per farsi spazio nell’uomo, cosicché quest’ultimo acquisti la libertà verso Dio, il quale vuole dare il suo Spirito Santo all’uomo che è chiamato a diventare suo tempio (1 Cor 6, 19; 1 Pt 2, 5) per dirigere i suoi passi (Rm 8, 1-17; 1 Cor 12, 1 -11; Gal 5, 16-26) verso la pace e la salvezza.

 
Qui c’entra la Chiesa e il suo ministero. La Chiesa è chiamata a seguire Gesù Cristo e ha ricevuto il potere, da parte di Cristo, di continuare nel suo nome la sua missione. Allora l’azione di Cristo per liberare l’uomo dal male si eserciterà attraverso il servizio della Chiesa e dei suoi ministri ordinati, deputati dal Vescovo per compiere i sacri riti indirizzati a liberare gli uomini dalla possessione del maligno. L’esorcismo è, allora, un’antica e particolare forma di preghiera che la Chiesa adopera contro il potere del diavolo. Ecco come nel Catechismo della Chiesa Cattolica viene spiegato cos’è l’esorcismo e come esso viene esercitato: “quando la Chiesa domanda pubblicamente e con autorità, in nome di Gesù Cristo, che una persona o un oggetto sia protetto contro l’influenza del Maligno e sottratto al suo dominio, si parla di esorcismo. Gesù l’ha praticato (Mc 1, 25 s.); è da Lui che alla Chiesa deriva il potere e il compito di esorcizzare (cf. Mc 3, 15; 6, 7.13; 16, 17). In una forma semplice l’esorcismo è praticato durante la celebrazione del Battesimo. L’esorcismo solenne, chiamato “grande esorcismo”, può essere praticato solo da un presbitero e con il permesso del Vescovo. In ciò bisogna procedere con prudenza, osservando rigorosamente le norme stabilite dalla Chiesa. L’esorcismo mira a scacciare i demoni o a liberare dall’influenza demoniaca, e ciò mediante l’autorità spirituale che Gesù ha affidato alla sua Chiesa. Molto diverso è il caso di malattie, soprattutto psichiche, la cui cura rientra nel campo della scienza medica. È importante, quindi accertarsi, prima di celebrare l’esorcismo, che si tratti di una presenza del Maligno e non di una malattia”. (cf. Codice di Diritto Canonico, can. 1172) – (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1673).
 
A tal proposito la Curia Vescovile di Noto precisa che in Diocesi vi sono due sacerdoti esorcisti, il Sac. Paolo Gradanti e il Sac. Tonino Lorefice, i quali hanno ricevuto un regolare mandato del Vescovo, secondo quanto prescritto dal canone 1172 del Codice di Diritto Canonico. Viene, altresì, sottolineato che per eseguire l’esorcismo c’è bisogno dell’autorizzazione del Vescovo diocesano.
 
In queste ore si è diffusa sul web la notizia di un fatto relativo ad un altro presunto esorcismo. Abbiamo sentito il sacerdote esorcista per capire cosa è accaduto realmente, il quale ha dichiarato quanto segue: “Stanno circolando versioni del fatto non veritiere che ledono la dignità di chi soffre. Stamattina è accaduto che un giovane, in stato di shock, si è recato all’interno di un palazzo al quartiere Jungi di Scicli, dando in escandescenze. Sono stato contattato dai genitori del ragazzo, e mi sono recato tempestivamente sul luogo. Nessuna Messa, nessuna pratica esorcista, mi sono solo limitato a far calmare il ragazzo ed evitare che desse ulteriormente in escandescenze. Non è vero che sono arrivati i carabinieri allertati dalle urla. Quando sono arrivato nel palazzo gli uomini dell’Arma erano già lì, come anche l’ambulanza del 118. E non c’è stato nessun esorcismo – precisa l’esorcista – solo un intervento amichevole di una persona che sta seguendo un ragazzo che soffre, facendolo rinsavire ed evitando degenerazioni pericolose per lui e per gli altri. Ritengo che in città si stia strumentalizzando la cosa. Mistificare i fatti per creare scalpore e diffondere dati sensibili delle persone interessate non è saggio, ma poco rispettoso”, conclude don Tonino Lorefice.
 
La Curia Vescovile concorda con le dichiarazioni del sacerdote ed esorta gli operatori dei media a rispettare quanto la Chiesa insegna circa la pratica e le norme che regolano l’esorcismo, a tutelare la privacy di quanti vivono queste vicende dolorose, a salvaguardare la dignità di ogni persona. Proprio in quest’ultimo caso che descrive don Tonino non si è trattato di un vero e proprio esorcismo ma di manifestazione di vicinanza, d’amicizia e di preghiera insieme ai familiari per questo giovane che viveva una situazione di particolare disagio.
 
A tal proposito, l’Ufficio per le Comunicazioni Sociali ha sentito il Vicario Generale della diocesi, Mons. Angelo Giurdanella che, informato dei fatti, ha dichiarato: «purtroppo molti dicono: “Il demonio non esiste”, e per certi aspetti fa comodo pensare che non esista. Ma il Vangelo è chiaro: su simili questioni soltanto la Parola di Dio può dire qualcosa di sicuro e definitivo. Secondo il Vangelo il demonio è una persona reale e orientata liberamente contro Dio. Papa Paolo VI un giorno ebbe a dire: “il male non è soltanto una deficienza, ma un’efficienza; è un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà!”. Anche oggi l’esistenza del demonio si percepisce da moltissimi indizi: non solo della possessione diabolica, che esiste ed è verificabile, ma tante assurde forme di schiavitù, disagi, sofferenze nelle quali l’uomo cade distruggendo la propria dignità. La Chiesa, in particolare con i suoi ministri, è vicina ad ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito. E’ presente con la medicina della misericordia, con la sollecitudine fraterna e quando il caso lo richiede con la preghiera di liberazione. Esprimo a don Tonino Lorefice e don Paolo Gradanti, sacerdoti delegati dal vescovo per il ministero di esorcista, la vicinanza e il sostegno e assicuro la preghiera dell’intera Chiesa locale di Noto».
 

Radio Maria il 31 marzo dedica uno speciale al Convegno Ecclesiale di Firenze: Ospite in diretta Mons. Staglianò, conduce Massimiliano Casto

Il prossimo 31 marzo – dalle 21,00 alle 22,20 – Radio Maria trasmetterà in diretta radiofonica uno speciale sul V Convegno Ecclesiale Nazionale che si terrà a Firenze dal 9 e al 13 novembre 2015. La puntata – condotta da Massimiliano Casto, collaboratore di “Avvenire” e dell’Ufficio Nazionale per i Problemi Sociali e il Lavoro della Conferenza Episcopale Italiana – avrà come ospite d’eccezione il Vescovo di Noto Mons. Antonio Staglianò, delegato regionale al Comitato preparatorio del Convegno ecclesiale nazionale, e vedrà anche la partecipazione di Don Rosario Sultana, direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali della diocesi netina.

 
Con questa puntata speciale dedicata al Convegno, Radio Maria intende fornire ai numerosissimi ascoltatori tutte le informazioni necessarie per prepararsi adeguatamente all’importante appuntamento ecclesiale che vedrà circa 2.500 delegati provenienti da tutta Italia ritrovarsi nel capoluogo fiorentino. Proprio Mons. Staglianò ha voluto sottolineare l’urgenza di una “Chiesa in uscita”, una Chiesa cioè capace di portare concretamente, e non solo a parole, la fede agli uomini e alla società nella quale essi abitano. Così l’uscire diventa annuncio: “Solo se è proprio necessario, si deve evangelizzare anche con le parole – ha detto il Vescovo Staglianò -, ma deve essere l’extrema ratio. Invece, sono i gesti e i vissuti del Vangelo che danno la carne alla Parola di Dio, che la rendono viva. Occorre annunciare la Verità – ha continuato – non come un concetto, ma come una Persona. Del resto ‘Io sono la Verità – ha detto Gesù – sono la via e la vita’. La verità è dunque un cammino”.
 
Lo speciale di Radio Maria sul Convegno Ecclesiale, che i Vescovi italiani hanno voluto intitolare: “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, vuole servire anche come spunto di riflessione per i cattolici, attraverso l’atteggiamento a cui richiama quotidianamente Papa Francesco: leggere i segni dei tempi e parlare il linguaggio dell’amore che Gesù ci ha insegnato. Solo una Chiesa che si rende vicina alle persone e alla loro vita reale, infatti, pone le condizioni per l’annuncio e la comunicazione della fede.
 
Si tratta del primo importante appuntamento che Radio Maria dedicherà al Convegno. L’emittente si sta infatti apprestando a seguire l’evento in vario modo, con iniziative diverse, catechesi, riflessioni in vari ambiti e settori seguendo, oltre alle cinque tracce indicate nella guida al Convegno, quattro focus per analizzare e verificare quanto il cristianesimo sia riuscito ad innervare il territorio con elementi tipici del Vangelo, della visione cristiana dell’uomo.
 

Intervista a Mons. Staglianò sul tema del nuovo umanesimo, in vista del prossimo Convegno Ecclesiale

In vista del prossimo V Convegno Ecclesiale di Firenze, il nostro Vescovo, Mons. Antonio Staglianò, delegato regionale al Comitato preparatorio del Convegno, è stato intervistato da “Radio Spazio Noi in Blu” di Palermo, su “In Cristo il nuovo umanesimo. La via della Sicilia per convenire a Firenze 2015 – la creazione dell’umano”. Qui di seguito l’intervista rilasciata dal Vescovo.
 
Quest’oggi l’argomento che abbiamo scelto per parlarne con Mons. Staglianò è l’accoglienza e l’immigrazione, nello specifico i diritti umani e la dignità dell’uomo.
 
Intrattenendoci sul nuovo umanesimo o meglio sull’umanesimo nuovo in Cristo, occorre riflettere un po’ sulle forme storico-pratiche in cui questa umanità nuova si configura; diversamente ragioniamo dentro l’astrattismo filosofico o culturale, che può essere interessante, ma non raggiungiamo il nucleo incandescente della nostra riflessione.
Questa questione dell’immigrazione e dell’accoglienza è una sfida culturale che caratterizza quella che abbiamo definito la “via siciliana” di un umanesimo nuovo in Cristo.
Quali sono le risposte concrete che questo nuovo modo di vivere, può offrire come testimonianza di vita? Partiamo dall’accoglienza di questi immigrati, che vanno rispettati nelal loro dignità, in quanto esseri umani, persone! Oggi, anche nel dibattito culturale, diverse frange della politica italiana avanzano considerazioni di tipo sociologico e politico e talvolta anche religioso, secondo le quali si dovrebbe piuttosto respingere queste persone, anziché accoglierle.
 
Forse bisogna uscire da un pregiudizio diffuso, che è un pregiudizio politico, sociale e anche di “mercato” se vogliamo.
 
Sicuramente, perché mentre l’approccio politico su questo tema deve fare il suo percorso, è giusto dire che gli immigrati che arrivano sulle nostre coste sono un problema nazionale e non soltanto siciliano, europeo e non solo italiano. D’altra parte, c’è un problema più immediato, quello appunto dell’accoglienza degli immigrati, al di là delle considerazioni di carattere storico e politico sul perché arrivino da noi, su chi li manda e sui grandi rischi del terrorismo internazionale. Allora il cristiano che vive l’umanesimo nuovo in Cristo, deve agire alla luce del Vangelo, secondo l’ammonimento e il comandamento di Gesù, anche quando, nello scontro doloroso che si sta consumando tra cristianesimo e islam, i fratelli da accogliere fossero nostri nemici o uccisori.
Qui c’è un novum dell’umano, a cui Gesù ci spinge, come dicendoci: “Io metto nel mondo un sentimento di umanità nuova, per il quale se il tuo nemico si presenta davanti a te, tu non lo respingi, ma lo accogli”. Ecco l’umanità nuova, che Cristo ha generato donando la sua vita per amore, per crearsi un popolo tutto “sacerdotale”, un popolo pienamente umano, che sa manifestare l’umanità bella e buona di Gesù e del suo Vangelo.
 
Lei ha fatto giustamente riferimento allo scontro di religione. Ma qui c’è di mezzo l’uomo. Allora è necessario porsi in ascolto dell’altro, cominciare a pensare che dietro a ogni persona che arriva sulle nostre coste c’è una storia, una croce, un dolore.
 
Certamente, e questo ci spinge ad un sentimento di pietas e di compassione che non è un sentimento moralistico o un’emozione soltanto, ma la stessa pietas di Cristo che guarda a noi sconfitti, feriti dal male, afflitti da tante prove e si commuove, piange con noi e per noi.
L’umanità nuova oggi, concretamente, dentro questa crisi che siamo attraversando, assume le forme concrete della condivisione e della solidarietà: per esempio le famiglie cristiane potrebbero adottare figli che non hanno papà e mamma, ma anche famiglie intere, proprio per condividere. Urge una nuova “moltiplicazione dei pani e dei pesci”, il miracolo della condivisone solidale, che ci impegna ad amarci gli uni gli altri come lui ha amato noi, mettendo a disposizione il poco che abbiamo. Da qui può nascere una rivoluzione straordinaria, una conversone del cuore, che sa amare e vedere il fratello che mi sta accanto.
 
C’è una via, un’identità anche “regionale”, che ci porta verso Firenze 2015?
 
Sicuramente c’è una via tutta siciliana, dentro un’area territoriale che è anche culturale, per dare testimonianza alla fede cristiana in un territorio, con una sua specificità e una propria identità. Bisogna dunque cogliere concretamente i tratti tipici della “sicilianità”dell’umanesimo contemporaneo.
 
Quali sono questi tratti tipici dell’umanesimo siciliano?
 
Direi che possiamo riferirci all’esperienza e al vissuto della Sicilia dei tempi passati, che valgono anche per il presente. Penso per esempio a ciò che Pirandello sosteneva, tentando di caratterizzare il genio siciliano quando affermava: “fru fru fru come un tarlo scava nel profondo”. il siciliano possiede la via del logos che è via di contemplazione e di bellezza, nella quale cogliamo quell’umanesimo nuovo a cui sempre aspiriamo.
La via della bellezza in Sicilia esiste nella grande tradizione storica, artistica, monumentale e letteraria e sta a indicare che il “tipo” siciliano è quello che pensa, dove il pensiero non è semplicemente concetto o elaborazione di chiacchiera, ma attitudine ad andare dentro, nel profondo delle cose.
 
Sua Eccellenza, c’è una crisi nella “contemplazione”, così come lei la sta definendo. C’è ancora questa attitudine alla bellezza come contemplazione o bisogna riconquistare questa attitudine?
 
Il vissuto della Sicilia è piagato e pieno di rotture, per cui la crisi a cui lei accennava è reale e richiede l’impegno della Chiesa, delle parrocchie, per dare maggiore corpo al cristianesimo. Quando parlo della via del logos intendo dire anche una dimensione che ha a che fare con i legami, gli affetti. Allora si tratta di recuperare questo “legame affettuoso” che c’è dentro la relazionalità, dentro la vita degli uomini ed è questa la bellezza vera e difficile del cristianesimo, la bellezza del crocifisso. Bisogna recuperare una relazionalità più incarnata, una inculturazione della fede, a partire proprio dalla tipicità della via siciliana, con tutta l’esperienza grande della religiosità popolare, da recuperare quale capacità di un popolo di darsi un linguaggio religioso e credente, di offrirci un linguaggio più “credente” che “religioso”; per cui tutte le feste religiose, tutte le forme di pietà popolare, vanno nella direzione “eucaristica”, quella indicata da Gesù, che spinge il dono della sua vita fino a morire per l’altro: lì si incontra effettivamente l’umano.
 
Non crede che questo “umano” nell’uomo, debba prima di ogni cosa, ritornare ad autocomprendersi, ad autocontemplarsi, ritornando ad una profonda e matura riflessione interiore?
 
Quello che lei dice, con il linguaggio cristiano si chiama conversione, che è un ritorno a se stessi, scoprendo la realtà più profonda di sé e la relazione con gli altri. Perché “persona” diversamente da “individuo” è relazione, trama di relazioni. Qui si genera la mia comunione dentro la logica dell’amore. Gesù con questo comandamento nuovo dell’amore, umanizza la nostra esistenza, quando ci dice che il potere è servizio, dono di sé all’altro, autotrascendimento di sé verso l’altro e non sfruttamento. Quando ci dice “amate i vostri nemici” e di non fare violenza in nome di Dio. Solo nell’esperienza cristiana veniamo a sapere che Dio è amore ed è capace di convertirci alla verità di noi stessi.
 
Quanto in tutto questo, Eccellenza, ha spazio e deve trovare spazio l’umiltà?
 
L’umiltà è una condizione dell’essere umano: umiltà vuol dire riconoscere quello che si è e metterlo a disposizione degli altri; non è tanto dire: “No, non ce la faccio, sono nulla!”.
C’è una massima di perfezione cristiana di Antonio Rosmini che dice: “Riconoscere intimamente il proprio nulla”; questa espressione può sembrare una via di riconoscimento del niente che c’è in noi, mentre nella tradizione cristiana riconoscere intimamente il proprio nulla, significa in fondo gettar via tutta la propria zavorra, distruggere in sé quell’orgoglio, quella presunzione, quel credersi qualcuno, quell’autocentramento in sé, quel narcisismo che nella “società dell’ipermercato” influenza e condiziona tutti. A cosa ci porta l’umiltà? Al punto da cui Dio ha creato tutto, perché noi siamo creati dal nulla. Quel nulla lì è alla base della nostra umiltà; noi dobbiamo essere umili, dimagrire nell’io obeso che cresce a dismisura, fino a raggiungere il proprio nulla, quel punto da cui Dio è partito per creare il mondo.
 
 
 
 

Si è svolta a Palermo la Sessione primaverile della Conferenza Episcopale Siciliana

 Si è svolta a Palermo l’11 e 12 marzo 2015, la Sessione primaverile della Conferenza Episcopale Siciliana. I lavori sono stati presieduti dal Cardinale Paolo Romeo, Presidente dell’Episcopato siculo. Tra gli altri punti all’ordine del giorno, i Vescovi siciliani si sono confrontati sulla recezione nelle diocesi di Sicilia dell’Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium”,di Papa Francesco.
 
Per la Diocesi di Noto, il nostro Vescovo Mons. Antonio Staglianò, ha osservato nella sua relazione (vedi allegato sotto) come “nella nostra Chiesa locale c’è stata subito una spontanea recezione, favorita dalla sintonia avvertita nel tono di fondo e su molti temi con il cammino di rinnovamento postconciliare della diocesi di Noto”.
Tra queste sintonie con la “Evangelii Gaudium”, il Vescovo ha ricordato quella del tema del triennio pastorale 2011-2014, focalizzato nella sua lettera pastorale “Misericordia io voglio!”, “con una particolare attenzione alla vita quotidiana, e quindi a quella pastorale ordinaria in cui superare – secondo l’Esortazione Apostolica – pigrizia e rassegnazione”.
 
“Anche nella Visita pastorale in corso – ha rimarcato Mons. Staglianò – l’Esortazione è stata subito recepita, sia nelle finalità degli incontri tesi a rinnovare la vita cristiana che nella predicazione del Vescovo”.
 
A partire dal tema del prossimo triennio pastorale: “Chiesa in uscita. Con Gesù lungo le strade dell’uomo”, la Chiesa di Noto – ha affermato ancora il Vescovo – ha inteso sviluppare insieme “la recezione dell’Esortazione Apostolica e la preparazione al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, accogliendo le consegne di papa Francesco ai vescovi italiani espresse attraverso il triplice invito a «chinarsi sulle ferite delle famiglie», e a dire la bellezza dei legami coniugali; ad «abitare la sala sovraffollata della disoccupazione»; ad «offrire un’ancora di speranza agli immigrati che sbarcano sulle nostre coste»”.
 
Mons. Staglianò ha inoltre elencato alcune iniziative pastorali di carattere diocesano e vicariale, come gli incontri zonali con i catechisti, gli animatori della liturgia e la Caritas, allo scopo di “accompagnare la pastorale ordinaria e vivificarla” (uno dei temi importanti dell’Esortazione del Papa). Tra queste iniziative, la presentazione dl documento sul rinnovamento della catechesi “Incontro a Gesù” e un sussidio unitario sul tema dell’anno “Chiesa in uscita. Con Cristo lungo le strade dell’uomo”.
 
Momento privilegiato per la ricezione dell’Esortazione anche i tempi forti dell’anno liturgico, l’Avvento e la Quaresima e il tempo pasquale, nei quali – ha evidenziato il Vescovo – si è posta l’attenzione “all’ascolto della Parola, alla preghiera, ai gesti di carità”.
 
Un’attenzione particolare è stata rivolta alla catechesi e al suo rinnovamento, perché si trasformi “da momento solo “dottrinale”, in atto della vita cristiana, nel raccordo con liturgia e carità (e con particolare attenzione a famiglie e giovani) e nell’ottica della pastorale integrata”.
 
Sullo sfondo del cammino unitario della Chiesa netina, non solo l’“Evangelii Gaudium” ma anche il prossimo Convegno Ecclesiale di Firenze e dunque il tema del nuovo umanesimo, “un umanesimo in ascolto e incarnato – ha sottolineato Mons. Staglianò – che offre risposte concrete alle sfide odierne, trovando la sintesi dinamica tra verità e vissuto, seguendo il cammino tracciato da Gesù Cristo; un umanesimo integrale e plurale, aperto alle altre culture, nella “convivialità delle differenze” (don Tonino Bello) e ricco di interiorità e trascendenza”.
 
Partendo dai cinque verbi della traccia del Convegno di Firenze (uscire, educare, abitare, annunciare, trasfigurare), la Chiesa di Noto – ha ricordato Mons. Staglianò – vuole farsi presenza vicina che accompagna le vicende degli uomini che abitano il territorio di questa porzione del popolo di Dio.
 
In questa direzione si rende necessario un cammino comunionale, secondo lo stile tracciato dal secondo Sinodo diocesano, “in cui sono emersi con molto anticipo i temi di una Chiesa che si affida al Vangelo; che vive dell’essenziale; che si disloca nelle frontiere della povertà, che diventa ‘Chiesa povera e dei poveri’; che annuncia la misericordia alle famiglie e – convertendosi alla tenerezza di Dio – la esercita nelle situazioni più difficili; che offre ai giovani la gioia della fede in Cristo. Abbiamo avuto un’altra esperienza di stile sinodale nella scrittura della lettera pastorale “Misericordia io voglio”, nata dalla consultazione delle comunità della diocesi, come pure vogliamo dare quest’impronta agli incontri di programmazione pastorale”.
 
Infine, Mons. Vescovo ha sottolineato “la necessità che la messa domenicale sia continuata nella vita con gesti eucaristici. Con particolare attenzione alla sofferenze e con particolari ministeri – come le sentinelle della misericordia e gli esploratori della misericordia – che indicano una prossimità concreta e coraggiosa”.
 
“Ecco i passaggi e gli snodi fondamentali sul versante teologico-pastorale della recezione dell’Evangelii gaudium nella Chiesa di Noto – ha concluso Mons. Staglianò – intrecciata con la preparazione al Convegno di Firenze. La speranza e la fiducia è anzitutto nel Signore, ma anche in una corrispondenza che si coglie soprattutto laddove poveri e periferie sono frequentati come la “carne di Cristo”, in un consapevole e convinto legame tra mistica e sociale che ci rende popolo di Dio in esodo, in uscita dalla terra del faraone e in cammino verso la terra e i cieli nuovi che il Signore sta preparando”.

Catanzaro. Staglianò al Convegno di “Vivarium”: Il novum dell’umano che può splendere è il sì dell’amore

Nell’ambito del Convegno della Rivista di scienze teologiche Vivarium dell’ Istituto Teologico calabro “S. Pio X” di Catanzaro, svoltosi nei giorni 2 e 3 marzo 2015 e che quest’anno ha affrontato il tema proprio legato del Convegno ecclesiale nazionale di Firenze (“In Cristo l’uomo nuovo: cristianesimo e processi di umanizzazione in Calabria”), è stata molto seguita ed apprezzata la relazione svolta da Mons. Antonio Staglianò, già Direttore dello stesso Istituto Teologico calabro fino al 2009. Dopo i saluti istituzionali da parte dei Vescovi e del Direttore Don Giovanni Mazzillo e dell’ Istituto Superiore di Scienze religiose “Maria S.S. Mediatrice” di Catanzaro, Don Antonio Bomenuto, l’intervento di Mons. Staglianò ha aperto la riflessione del Convegno, a cui erano invitati non solo i Docenti e gli studenti degli Istituti teologici calabresi, ma anche i delegati diocesani per il Convegno di Firenze. Egli è partito citando un poeta a lui molto caro, il rosminiano Clemente Rebora, uomo, sacerdote, educatore assetato d’infinito e testimone autentico di umanità: “Lo sposo ancor non viene; e il viver mio scende infermando, ma il Calvario ascende se grazia aiuta e la preghiera assiste. Mentre lo Sposo indugia, il corso mio torna al ricordo (invece il resto è oblìo) là dove più mi s’annunziava Dio, che dà perdono per dar Se stesso in dono” (Curriculum vitae, estate 1955). In Cristo : il nuovo umanesimo, cioè noi tutti veniamo da lì … Lui è il centro, è il cuore dello stesso “fenoneno umano”, è “l’ alfa e l’omega” della storia e del cosmo, direbbe Theillard de Chardin o le stesso Manfredo Baronchelli, un filosofo di cui si è occupato nei suoi intensi studi Staglianò.
 
Attraverso un breve, ma chiaro ed incisivo excursus storico-filosofico, il nostro “don Tonino”, come sempre con affetto e simpatia lo abbiamo chiamato, ci ha mostrato ed invitato riflettere sul fatto che il novum dell’umano dell’uomo, questa “canna pensante” secondo Pascal, questo “essere perfettibile e non perfetto”, come pensava Rousseau, questo “di più di Dio”, perché creato a sua immagine e somiglianza manifesta sempre la sua “eccedenza”, “il di più della sua stessa umanità”, perché in lui è presente Dio, vi è “una scintilla divina”, per cui si trascende nell’Amore. Ricordando un antico maestro della nostra Scuola teologica della Calabria, Mons. Luigi Magnelli, studioso della “Teologia della speranza” ed autore di un interessante pubblicazione su E. Bloch, “Filosofia della speranza”, il relatore ha sottolineato come l’uomo sia sempre in una condizione di “autotrascendimento” e come in lui vi sia “questo di più di Dio”, che non è solo il Logos, la sua razionalità, ma che è l’Amore stesso di Dio, la sua divinità, la sua trascendenza. In Cristo, l’uomo perfetto, ma anche il Figlio di Dio, Egli stesso Dio, trova spiegazione e compimento il mistero dell’uomo. E’ Lui che” svela l’uomo all’’uomo”, come ci ha insegnato, in modo autorevole, il Concilio (GS 22). Il mistero di Dio e il mistero dell’uomo hanno il Lui il loro punto di convergenza e di compimento, per cui dall’umanità di Gesù possiamo penetrare nel novum dell’umano dell’uomo, per interpretarlo e per viverlo. E’ in Lui il vivente, il Risorto, abbiamo “l’esegesi” del mistero dell’uomo nuovo in Cristo. In Gesù Cristo e nella “sua prassi di pace” (G. Mazzillo) notiamo un’effettiva “eccedenza” di umanità, l’umanità nuova, l’umanità vera.
 
La vera sfida è, dunque, secondo il vescovo teologo-pastore , da cogliere dallo stesso Evangelo : sulle orme di Cristo quale tipo di umanità vivere? Come uomini e donne di questo tempo e di questa storia, come vivere la nostra umanità, come “umanizzarci”, per essere “icona” di Cristo e del suo Vangelo? La questione è: “il di più di Dio”, apparso in modo pieno e definitivo nell’uomo-Dio Gesù di Nazareth. L’uomo è già “essere religioso”, nella sua più profonda identità, il divino è nell’uomo, egli è stato definito “animale divino”, “homo religiosus” e nella visione ebraico-cristiana “imago Dei”. Si tratta di un essere in cui si riscontra la “potentia oboedentialis”, come risposta a questa origine primariamente divina, questa dimensione “trascendentale”, secondo l’espressione di K. Rahner. Ma anche la filosofia rosminiana, di cui Don Tonino è stato un acuto scrutatore e cultore fin dagli anni giovanili, presentata in preziose monografie ed articoli, come il mai dimenticato frutto della sua tesi dottorale (La« Teologia » secondo Antonio Rosmini), può venirci in aiuto nella nostra indagine sull’humanum, sull’umanesimo, sul nuovo umanesimo da leggere e vivere in Cristo (en Christò : direbbe, in modo martellante, S. Paolo). L’uomo “essere intelligente” ha instillata la presenza divina nel suo essere più profondo, nella sua mente c’è “stampato” indelebilmente il divino (astrazione teosofica), per cui la “misura” della sua stessa capacità di conoscere è Dio. Anche altri autori come Heidegger, Nietzche, Sartre hanno trovato luogo nella sua brillante e seguita relazione, i quali secondo diverse prospettive – e non sempre condivisibili concezioni – hanno fatto emergere questa realtà trascendentale dell’uomo. “Essere umano, come Dio, in Cristo” è, in fondo, il percorso che Firenze ci propone. Il novum dell’umano dell’uomo è così il Novum per eccellenza, che è il Risorto, la risposta che diamo, nella fede, alla morte dell’uomo, “questo essere votato alla morte”, direbbe Heidegger.
 
La risposta che diamo alla morte, come credenti e cristiani, è la speranza della vita, che ha un Nome e un Volto: è il Risorto! Si tratta di guardare a Lui per avviare e continuare qualsiasi percorso di umanizzazione, contrastando con la testimonianza e la coerenza del discepolo di Cristo la “brutezza” dell’”ipermercato”, tipico luogo-polo della società odierna, che risulta essere in tutte le sue forme e risvolti la proposta più “disumanistica e disumanizzante” che ci sia. E’ proprio vero, come ci ha insegnato Benedetto XVI, nella sua significativa enciclica Charitas in veritate: “Un umanesimo senza Dio è (semplicemente) un disumanesimo”. Perché da uomo, purtroppo, si può divenire “bestie”, “bruti” e “brutezza” è l’opposto di “bellezza”, come ci ricorda il Sommo poeta dell’italico suolo, nella Cantica dell’ Inferno: “Fatti non foste per viver come bruti ma per seguire virtute e canoscenza”. Vivere da veri uomini, seguendo l’Uomo che è Cristo Gesù vuol dire, inoltre, rifiutare tutte quelle forme di “adulterazione della fede e della vita, attraverso la corruzione nelle sue diverse forme, non ultima ad esempio “il fare soldi più della droga con l’affare degli immigrati”, con il “terrore” in nome della religione, con il favorire concezioni anticristiane e quindi antiumane dei “nuovi colonizzatori” o dei “nuovi dominatori”, come dice Papa Francesco, quali la “teoria del gender”.
 
Questo novum dell’uomo e nell’uomo si risolve nel “ritorno dalla morte”, attraverso l’azione e la forza dello Spirito Santo, è la stessa vittoria sulla ancestrale “paura” della morte, perché se la vita l’ho già donata in Cristo, la morte non mi porta via niente, nemmeno il corpo, il quale nel dogma cristiano è destinato a risorgere, cioè alla sua più autentica “trasfigurazione”. In tale percorso di “umanizzazione” della nostra vita cristiana, in dialogo con tutti gli uomini e tutte le espressioni religiose, siamo chiamati al “cambiamento del cuore”, alla “metanoia” nella verità dell’amore agapico, che si traduce in fede, giustizia, potere come servizio, perdono dei nemici, amore ai poveri, ai sofferenti e agli esclusi. E’ questo il novum dell’umano che può splendere, ad esempio, nell’uomo in quel “per sempre”, che è il sì dell’amore e all’amore nel sacramento del matrimonio, vocazione all’amore ed epifania dell’ Amore, che è Dio stesso, secondo l’espressione giovannea. Un’umanizzazione, che porta in noi a compimento “la misura alta della fede”, la santità cristiano-umana e che è l’uomo perfetto in Cristo, “l’uomo eucaristico”.
 
Questi, solo a grandi linee, mi sembrano i tratti del disegno filosofico-teologico-pastorale, proposto da Mons. Staglianò, e che hanno trovato seguito e puntualizzazione dottrinale e pastorale nelle successive relazioni di taglio teologico, sociologico, economico e pastorale (Mons. L. Renzo, Vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea : “La crisi dell’umano nelle crisi dell’oggi”; Crisi economica in una dinamica storica : Prof. Vincenzo Falcone; Crisi sociale e politica : Prof. Vito Barresi; Crisi religiosa : Prof. Don Francesco Spadola). La relazione biblica del giorno seguente è stata affidata al biblista P. Ernesto Della Corte (“Quale speranza di umanizzazione attraverso un nuovo annuncio del Vangelo”) e quella ecclesiologico-pastorale al nuovo Arcivescovo di Rossano-Cariati, Mons. Giuseppe Satriano (“La missione delle comunità cristiane per un nuovo umanesimo”). Ha tratto le conclusioni, peraltro suggestive ed originali, con taglio biblico basandosi sul testo di Apocalisse 21 (La Gerusalemme futura), il Prof. Don Serafino Parisi, Direttore di Vivarium. Questo, per il momento, uno dei contributi, stimolati da Firenze 2015 e pervenuti dal profondo Sud, la Calabria …

Noto. Radio Maria presso la parrocchia della Madonna del Carmine

 
Venerdì prossimo, 13 marzo, la diocesi di Noto avrà la gioia di guidare il consueto momento di preghiera pomeridiano trasmesso da Radio Maria: infatti, dalle ore 16:40 alle ore 17:55, dalla parrocchia della Madonna del Carmine di Noto sarà trasmesso il collegamento in diretta radiofonica per la seguitissima ora di spiritualità pomeridiana che prevede via Crucis, celebrazione dei Vespri e S. Messa. L’evento, fortemente voluto dal responsabile di Radio Maria per le diocesi di Noto, Siracusa e Ragusa Massimiliano Casto, si inserisce in un cammino articolato di preghiera e apostolato che la Chiesa locale vive dall’entrata in Diocesi del Vescovo Staglianò e partire anche dal monito di Papa Francesco che esorta per una “Chiesa in uscita”.
 
La chiesa è un fuoco orante, un luogo dove, attraverso l’adorazione scandita dalla liturgia delle ore e dalla celebrazione eucaristica, ogni giorno si innalza a Dio una grande preghiera. “Radio Maria vuole offrire anche alla diocesi di Noto un evento che consentirà di sentirci ancor di più nel cuore della Chiesa, nostra Madre, attraverso il nostro servizio orante”: così ha commentato il responsabile di Radio Maria Massimiliano Casto che si sta occupando della trasmissione.  Il responsabile dello studio mobile afferma: “Com’è noto, ogni giorno, Radio Maria trasmette in collegamento con parrocchie, conventi, monasteri, santuari, seminari, carceri e ospedali, tutti gli appuntamenti di preghiera. Offre anche un preziosissimo servizio di informazione religiosa, culturale e promozione umana con trasmissioni riguardanti l’educazione, la famiglia, la medicina e problematiche sociali di attualità. Il grande lavoro della Radio è ricompensato dai numerosi ascolti che si aggirano sui due milioni al giorno e che ci conferma la prima radio in Italia. Tra l’altro anche Papa Francesco ha più volte dichiarato che “Radio Maria è un contributo prezioso per la nuova evangelizzazione”.
 
Venerdì 13 Marzo, attraverso le frequenze di Radio Maria, dalla Parrocchia della Madonna del Carmine guidata dal parroco don Rosario Sultana sarà possibile partecipare ad un unica grande preghiera, e tutti gli ascoltatori avranno l’opportunità di conoscere più da vicino la realtà della vita parrocchiale e la vivacità della diocesi di Noto. Quindi, la comunità netina intera è invitata a partecipare, per pregare insieme e in particolare con gli anziani, gli ammalati e tutti gli ascoltatori di “Radio Maria”, contribuendo alla realizzazione del prezioso servizio che l’emittente fornisce ai cristiani desiderosi di pregare nelle loro case, nei luoghi di cura, in viaggio.
 
Si tratta del primo appuntamento di Radio Maria in collegamento da Noto. Il prossimo grande evento sarà una trasmissione speciale in diretta il 31 marzo dall’Ufficio Comunicazioni Sociali della Curia Vescovile in cui interverrà il Vescovo Mons. Antonio Staglianò. L’argomento dello speciale sarà il 5° Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze a Novembre. Il conduttore della trasmissione speciale sarà Massimiliano Casto ed introdurrà il direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali della nostra Diocesi don Rosario Sultana.
 

Una pagina di storia del Congo che non può lasciare nessuno tranquillo

CONGO: L’uccisione di un popolo per la “felicità” del mondo
 
“Il mondo è in pericolo, non tanto a causa di coloro che fanno il male, ma a causa di coloro che guardano e lasciano fare”, diceva Albert Einstein. La frase risuona come una profezia che ha trovato la sua realizzazione nel destino di un popolo, di un paese che si chiama la Repubblica Democratica del Congo. Lì ci sono indicibili sofferenze inflitte a milioni di persone innocenti per due decenni in un silenzio “assordante” dei grandi media e dei principali responsabili politici del mondo diversamente da quanto accade in Media Oriente, in Ucraina, in Libia … Un silenzio che ne richiama un altro, più di un secolo fa. Tra l’anno 1885 e 1907, i congolesi sono stati oggetto di terribili massacri su larga scala organizzati dal re del Belgio di allora, Leopoldo II. In gioco c’era la linfa dell’hevea indispensabile per la produzione degli pneumatici. L’interesse del momento è il “coltan”, (diventato ” minerali di sangue”) essenziale per la produzione dei nostri telefonini e di altre apparecchiature elettroniche. Così, nel corso di un periodo di poco più di un secolo, lo stesso popolo, i congolesi hanno subito due massacri su larga scala (diversi milioni di uccisioni ciascuno), paragonabili al reato di genocidio, nel silenzio della comunità internazionale. Pertanto, la piccola speranza per le “vittime dimenticate” si basa sulle iniziative di pochi “indignati” qui-e-là, come i firmatari del “richiamo di 52”, dei “9 Sindaci col Pastore di Noto” sulle uccisioni in Terra santa e nella Repubblica del Congo, iniziative pubblicate di recente, ma senza molto rumore . Ahimè …
 
Un grido nel deserto?
 
Infatti, 52 figure internazionali hanno chiesto la creazione di un tribunale penale internazionale per la Repubblica democratica del Congo. Il documento, firmato tra gli altri da Rama Yade, Roselyne Bachelot, Ingrid Betancourt e Gisèle Halimi, ricorda la terribile sofferenza del popolo del Congo e la tragedia di numerose donne violentate su larga scala. Le atrocità subite dai nostri “simili”, adulti e bambini, ridotti a mera “preda” nella corsa mortale delle multinazionali verso le ricchezze del Congo. Il documento dei 52 personaggi interpella almeno 5 leader mondiali [1], nonché la petizione firmata da 9 Sindaci e dal Vescovo di Noto indirizzato al Segretario Generale dell’ONU, al Presidente della Commissione Europea, Al Presidente del Parlamento Europeo, Al Presidente della Repubblica dell’Italia, Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Presidente del Senato dell’Italia [2]. Questi, tenendo conto delle loro funzioni, potrebbero decidere di fermare questi orrori, e di garantire che i responsabili delle atrocità rispondano delle loro azioni davanti ai giudici indipendenti. È tutto ciò che ci si aspetta da un “mondo civilizzato” sostenendo “valori universali” dei diritti umani. Eppure …
 
Le “grandi impotenze”
 
C’è poca probabilità che questi richiami producano effetto. I documenti stanno anche girando attraverso lo web come una piccola fiamma di una candela nel buio e nel silenzio lunare. Perché Obama, Hollande, Ban Ki-moon, Mary Robinson, (…)e in particolare il belga Van Rompuy e il loro entourage sanno cosa sta succedendo. Nessuno dei potenti mondiali ha alcun interesse a prendere sul serio l’azione di porre fine alle sofferenze del popolo congolese e di punire i responsabili dei crimini. Per quanto spaventoso questo atteggiamento possa sembrare, queste persone devono essere persuase che il massacro dei congolesi oggi non è inevitabile. Sarebbe forse impossibile di fermare i massacri e gli stupri nel Congo orientale e assicurare la prosperità delle economie occidentali e il comfort dei consumatori, in particolare degli utenti di telefoni cellulari?
Questi dispositivi elettronici sono realizzati con il coltan [3], un minerale che il Congo contiene fino al 80% delle riserve mondiali. Le multinazionali che si forniscono del coltan, trovato in grande quantità nelle zone di Kivu( il Congo possiede 80% delle riserve mondiali) hanno l’interesse che queste zone siano in una situazione di non–legge per poter continuare a sfruttare il territorio, a basso costo ed ottenere il massimo utile.
 
L’impotenza internazionale? Tutti colpevoli?
 
Il consumatore ha bisogno del suo telefono cellulare, sempre meno costoso. Gli operatori di telefonia mobile, le banche, le compagnie di assicurazione, … e la rete degli uomini e donne politici, tengono saldamente ai loro profitti. Le fabbriche in Cina che producono le nostre apparecchiature elettroniche debbono continuare a funzionare. I leader politici e militari del Ruanda, Uganda e Kinshasa, nonostante i milioni dei morti che hanno sulla coscienza, devono essere tenuti in potere per rassicurare questo mercato internazionale di sfruttamento.
Solo poche coscienze, qui-e-là nel mondo, cercano di ricordare che alla fine della catena ci sono bambini che lavorano come schiavi nelle miniere, o utilizzati come carne da cannone nelle guerriglie senza fine. Bambine (talvolta sotto i 10 anni) vengono strappate alle loro famiglie e utilizzate come schiave sessuali. Madri di famiglia sono violentate in pubblico, appositamente infette di AIDS e disonorate per tutta la vita. Centinaia di migliaia di famiglie [4] sono gettati in mezzo alla natura, cacciate dai loro villaggi e condannate a morire lentamente in campi per sfollati del Congo divenuti ospizi squallidi. È un sistema “degno” di Olocausti come ad Auschwitz, ma i responsabili politici delle grandi potenze e dei giganti media sembrano determinati a lasciare stare.
Il bilancio funebre dei congolesi dà vertigine: 5,4 milioni di morti secondo la ONG americana “International Rescue Committee” [5] (IRC [6]), quasi l’unica organizzazione che si sforza di raggiungere un conteggio oggettivo delle vittime della guerra in Congo. Un bilancio che sale a 6,9 milioni di morti secondo altre stime [7] (le stime di New York Time), la metà è costituita dai bambini.
In realtà, non sapremo mai esattamente “quanti milioni di morti.” Infatti, nel “silenzio internazionale” c’è anche il silenzio delle nazioni che si agitano subito spesso quando la vita è in pericolo nel mondo (USA, Inghilterra, Francia, Belgio …) e il silenzio delle istituzioni internazionali (ONU, Unione Europea). Non hanno mai iniziato alcuna indagine sull’ampiezza della carneficina avvenuta con la scusa di non potere intervenire in virtù della sovranità nazionale del Congo, mentre in Iraq, in Libia … si sono fatte scelte diverse. I deputati, senatori, ministri, … di queste grandi nazioni osservano tutti il più grande mattatoio del mondo in un silenzio poco credibile. Una scelta che contrasta con i loro prestigiosi mandati e i valori di umanesimo che sostiene l’Europa soprattutto.
 
Indebolire il Congo come Stato e lasciare fare i “macellai”?
 
Quando le persone nel mondo parlano della tragedia del Congo, “s’infuriano” sulle “autorità congolesi,” accusate di incompetenza. È un comportamento grottesco. Poiché è noto che le “autorità congolesi” sono state poste appositamente al governo, dall’estero, a causa della loro incapacità. [8] Tranne Patrice Lumumba, sin dall’indipendenza si teme che i “patrioti” congolesi e competenti siano al potere per minacciare il redditizio “sistema predatorio”. Così gli attuali dirigenti congolesi (molti comunque sono in buona fede) devono passivamente assistere al massacro del “loro popolo” e accompagnare i saccheggi del “loro paese”. Non possono fare nulla perché non devono fare nulla. [9] Essi ricevono ordini da fuori. I congolesi sono stati spogliati della loro sovranità [10] …
La comunità internazionale preferisce mandare le ONG e le forze di pace dell’ONU che costano decine di volte il reddito medio degli agenti locali [11], per i risultati a volte risibili. Eppure basterebbe lasciare che i congolesi liberamente scelgano i loro leader per cominciare a ricostruire il loro paese (comuni, polizia, esercito, scuole, ospedali, strade …), perché alla fine, è davvero “un paese loro”.
 
Come è successo?
 
C’è stato purtroppo un matrimonio atroce tra il mondo di alta civiltà e la barbarie la più abietta, e potrebbe durare ancora attraverso la combinazione di una serie di fattori meglio descritti in “Congo – Une histoire” del giornalista belga David Van Reybrouck .
Troppo presto, “il sotto suolo del Congo ha dimostrato nascondere uno” scandalo geologico “[12] (…) Era quasi troppo bello per essere vero. “[13] Il paese ha, fin dal suo inizio, attirato gli appetiti dei ” predatori “di ogni colore che accorrono sulla sua ricchezza, ogni generazione a turno.
Secondo David Van Reybrouck, “Nessun paese nel mondo è stato così ‘fortunato’ [14] che il Congo con le sue risorse naturali. Gli ultimi centocinquant’anni, ogni volta che il mercato internazionale ha espresso una domanda pressante di una certa merce – avorio in epoca vittoriana, gomma dopo l’invenzione del pneumatico, il rame in forte espansione industriale e l’uranio militare durante la guerra fredda, la corrente alternativa durante la crisi petrolifera del 1970, il coltan nell’era della telefonia mobile – il Congo ha dimostrato sempre di avere enormi riserve di merce ambita. Ha potuto facilmente soddisfare la domanda. “[14]
 
Il Coltan o la miseria di un popolo? La gomma, gli pneumatici e la Shoah congolese: un dovere di memoria!
 
Molto prima del disastro del coltan, c’è stato quello della gomma. Nel 1888, lo scozzese John Boyd Dunlop inventò la gomma gonfiabile. Come i nostri ingegneri della telefonia mobile, Dunlop migliorerà il comfort di migliaia di persone (i viandanti in Europa e in America) dell’epoca. Ma era lontano dal sospettare che quella gomma dava inizio a un ciclo di omicidio che porterà alla morte milioni di congolesi e altrettanti mutilati (mani tagliate).
Il Congo fu risultato essere l’unico paese con vaste riserve di alberi della gomma. Il re belga Leopoldo II, il “proprietario” dello Stato Libero del Congo (EIC) istituì poi un sistema mostruoso di sfruttamento peggiore di Gulag. Ci sono ancora i sopravvissuti che ne lo testimoniano, ancora turbati dalle scene di orrore che un terribile sovrano diffuse in Congo. L’intero paese fu trasformato in un vasto campo di lavoro forzato. Ogni congolese, in un determinato settore, doveva portare una certa quantità di gomma. Coloro che si opponevano al lavoro di routine o non raggiungevano gli obiettivi venivano mutilati o uccisi. Le loro famiglie venivano massacrate e i loro villaggi bruciati. Gli orrori di Leopoldo II sono incredibili. I soldati sono stati costretti a recare ai propri superiori “bianchi”, teste, mani o piedi per certificare che le cartucce fornite erano servite a “uccidere la gente”, e non gli animali selvatici. Secondo gli storici, il regno di Leopoldo II ha tolto la vita di metà della popolazione del Congo (tra 8 e 30 milioni di persone). [16] Il re del Belgio ha accumulato una fortuna enorme, grazie alla gomma. L’industria automobilistica prosperò … tutto sulle tombe di milioni di congolesi.
 
I nostri “antenati”, veri eroi …
 
Quel massacro e l’arricchimento che ne risultò stranamente ricordano ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi oggi nel Congo orientale intorno ai minerali del sangue. Ma c’è qualcosa di sorprendente nel perseguimento della tragedia di coltan perché siamo in un secolo di alto umanesimo sancito dalla Carta del Diritto universale dell’uomo. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani si impara nelle scuole a ciascuna delle nostre generazioni.
In ogni caso, la tragedia della “gomma rossa” si è conclusa quando gli europei cominciarono a mostrare la loro indignazione contro Leopoldo II. Le vittime del re non erano ancora che i “negri” in un momento in cui il razzismo era ancora assunto pubblicamente. Ma a una certa soglia di crudeltà, gli europei non potevano più sopportare. Hanno oscillato in campagne di protesta contro il monarca del Belgio, sull’ iniziativa di pochi coraggiosi anonimi come il giornalista inglese (di origine francese) Edmund Dene Morel [17].
Più di un secolo dopo, l’inerzia dei discendenti degli stessi europei, ma più istruiti e più consapevoli dei valori umani, sorprende. Il massacro dei congolesi, forse giova a troppe persone alla volta : consumatori, imprese, banche, fabbriche cinesi, politici, giornalisti (paurosi di affrontare l’argomento preservando la loro carriera).
In ogni caso, i firmatari dell’appello dei 52 per il Tribunale penale internazionale per il Congo, nonché della Petizione per la pace in Congo (e in Terra Santa, fatto dai Sindaci della Diocesi di Noto assieme al Pastore, a Pozzallo) avvertono nel loro grido, che le generazioni future ci giudicheranno. Per la comodità di un telefono cellulare, che servirà solo in pochi mesi, siamo stati coinvolti nello sterminio di milioni di persone innocenti …
 
Boniface MUSAVULI e Robert NGONGI
 
[1] Il documento interpella Barack Obama, Presidente degli Stati Uniti; François Hollande, presidente della Repubblica francese; BAN Ki-moon, segretario generale delle Nazioni Unite, Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo, Mary Robinson, ex presidente dell’Irlanda e delegata speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite nella regione dei Grandi Laghi.
[2] Petizione per la pace in Terra Santa e in Congo indirizzato al Segretario general dell’ONU, al Presidente della Commissione Europea, Al Presidente del Parlamento Europeo, Al Presidente della Repubblica Italiana, Al Presidente del Consiglio dei Ministri, Al Presidente del Senato della Repubblica italiana, Al Presidente della Camera dei Deputati, firmata da 9 Sindaci del Territorio della Diocesi di Noto e dal Vescovo a Pozzallo, il 9 gennaio 2015 nella 101° anniversario della nascita del Sindaco Giorgio La Pira
[3] Il coltan. “Era come niente, sembrava ghiaia nera, che pesava molto, che è stato trovato nel fango, ma improvvisamente tutto il mondo lo richiede. Per il Ruanda, questa merce è diventato il principale interesse economico per il Congo. Ciò che fu la gomma nel 1900, il coltan lo diventa nel 2000: una materia prima presente in grandi quantità a livello locale (in Congo, secondo le stime, oltre l’80% delle riserve mondiali), e per la quale improvvisamente si è manifestato una domanda pressante alla scala mondiale. I telefoni cellulari sono diventati gli pneumatici di questa nuova svolta del secolo. Il Coltan è composto di columbite (niobio) e tantalio, due elementi chimici nella classificazione periodica di Mendeleev, l’uno si trova esattamente sopra l’altro. Mentre il niobio è usato nella produzione di acciaio inossidabile, tra l’altro i piercing, il tantalio è un metallo di punto per la fusione estremamente elevata (circa 3000 gradi Celsius). È quindi particolarmente adatto per le superleghe nell’industria aerospaziale e condensatori nel campo dell’elettronica. In qualsiasi telefono cellulare, lettore MP3, lettore DVD, computer portatile … ritroviamo un piccolo pezzo di Congo. “D. VAN Reybrouck, Congo – Une histoire, Actes Sud, 2012, p. 489.
[4] L’Alto Commissariato per i rifugiati valuta in 2.669.069 il numero dei congolesi sfollati dalla guerra e 509.396 il numero di rifugiati congolesi all’estero.
Fonte: http://www.unhcr.org/pages/49e45c366.html#
[5] http://www.rescue.org/sites/default… – pagina 16.
[6] Curiosamente questa ONG americana è stata creata nel 1933 su suggerimento di Albert Einstein a cui si deve questa frase che suona come una profezia per le vittime del Congo: “Il mondo è in pericolo, non tanto a causa di coloro che fanno il male, ma a causa di quelli che guardano e lasciano andare le cose. »
[7] http://www.nytimes.com/2010/02/07/o…
[8] Cf La dichiarazione di Dr. Helmut Strizek sembra rilevante: “Dopo la morte di Laurent-Désiré Kabila, Kagame otterrà dai suoi alleati americani ed europei ( l’intervento di EUFOR in Congo è di essere inteso in questo contesto) che il Congo sia guidato da un giovane ruandese innocente, nella persona di Joseph Kabila. Ciò darà la possibilità al Rwanda di mettere le mani sulla ricchezza del Congo e Kagame di essere sicuro che il pericolo della lotta contro la sua dittatura, non sarebbe venuto dalla Repubblica Democratica del Congo. ” Pierre PEAN, Carnage – Les guerres secrètes des grandes puissances en Afrique, Éditions Fayard, 2010, p. 418.
[9] Estate 2004: l’esercito ruandese occupò la città di Bukavu nel Congo orientale e si dedicò alle estorsioni (oltre 200 donne violentate e più omicidi e saccheggi, compreso il saccheggio della banca di Bukavu ). “Il 22 giugno del 2004, alla fine della giornata, il signor Javier Solana telefona a Joseph Kabila. (…). Ciò che lo interessa è il fatto che Kabila dovrebbe rimanere inattivo di fronte alle incursioni ruandesi (…) L’Alto rappresentante dell’Unione europea e tutte le grandi potenze ormai si concentrano sulla elezione di Joseph Kabila DRC (di 2006). Pertanto gli è chiesto la ponderazione e quasi l’immobilità di fronte all’aggressione del Ruanda. Di fronte alle esigenze della “comunità internazionale” e di Javier Solana, Joseph Kabila è cooperante e quindi rassicurante. Il presidente congolese, designato come tale alla morte di Laurent-Désiré Kabila, si rende conto a poco a poco che è sostenuto dall’Unione europea, che questi conta già su di lui per le elezioni presidenziali e non è nel suo interesse di opporsi al Rwanda a Kigali. (…) Così assicura nella sua intervista il signor Solana che la crisi dell’Est sarà superata “con saggezza” cioè, vale a dire che non farà nulla (…) ” Charles ONANA, Europe, Crimes et Censure au Congo, les documents qui accusent, Ed. Duboiris, 2012, pp. 231-232.
[10] Questo è ciò che si intende, per esempio, dai recenti avvenimenti nel Kivu. L’esercito congolese, comandato da un colonnello Mamadou Ndala, s’impegnò a riconquistare i territori sotto occupazione del Ruanda nascosto dietro l’etichetta del M23. I Soldati congolesi conquistavano vittorie promettenti. Il paese aveva l’opportunità di risolvere definitivamente la questione dei gruppi armati controllati da Ruanda e Uganda, che devastavano il Congo orientale per troppo tempo. Con sorpresa di tutti, l’offensiva è stata interrotta su ordine preciso, a quanto pare, di Joseph Kabila e della MONUSCO, provocando la rabbia della popolazione di Goma contro Joseph Kabila e la MONUSCO. Era un sabotaggio di troppo. Perché è stato lo stesso scenario per due decenni. Ogni volta che i congolesi avevano la possibilità di alzare la testa, sono stati costretti a rinunciarvi, come se non avessero più alcun diritto per il futuro del “loro paese”.
[11] 23.734 dipendenti militari e civili delle Nazioni Unite in Congo hanno un budget annuale di $ 1.347.588.800, per un costo mensile per ogni individuo di $ 4.731,56. I tre mila trentanove membri della Brigata di intervento (Risoluzione 2098 (2013)) hanno un bilancio di 140 milioni dollari, per un costo mensile per ogni individuo di $ 3.801,45.
Fonte: http://www.un.org/…/peacekeepi…/missions/monusco/facts.shtml.Il soldato congolese, riceve intanto un salario di miseria, quando è pagato, e l’importo è relativamente sconosciuto. Secondo la Democrazia cristiana, un partito di opposizione, un colonnello congolese riceve un mensile di busta paga di 80 dollari, mentre un soldato di prima classe ha una busta paga di 65,30 dollari. Fonte: http://democratiechretienne.org/2012/06/16/3178/.
[12] Jules Cornet, geologo belga (1865-1929) descrive il Congo come uno scandalo geologico. Sembra incredibile scoprendo gli enormi giacimenti minerari del paese in particolare nella regione del Katanga, di cui ha fatto una mappa dettagliata.
[13] D VAN Reybrouck, Congo – Une histoire, Actes Sud, 2012, p. 139.
[14] Il termine “fortuna”, tuttavia, non è sostenibile. Le ricchezze del Congo sono innegabilmente una maledizione con conseguenti orrori indicibili, quotidiana è la disperazione delle vittime davanti al muro di silenzio internazionale.
[15] D VAN Reybrouck, op.cit. p. 139.
[16]https://fr.wikipedia.org/…/%C3%89tat_ind%C3%A9pendant_du_Co…
[17] http://fr.wikipedia.org/wiki/Edmund_Dene_Morel