Sintesi della relazione di P. Nello Dell’Agli
Cercheremo di mettere in luce quali competenze tipiche dell’adultità relazionale è necessario diventino obiettivi formativi ecclesiali, perché sia possibile una sinodalità effettiva (e non retorica) e una correzione autenticamente fraterna (e non “impossibile” o sfogo di rancori personali).
Questi i punti da sviluppare: la passione per il cerchio fraterno, lo sviluppo del pensiero nuziale, lo sviluppo del pensiero genitoriale, la credibilità sapienziale, la custodia di ciò che i padri del deserto chiamavano esichia (una pace che vuole amare, frutto del lavoro ascetico su di sé).
1) La passione per il cerchio fraterno
Interrogandosi sul frate ideale, San Francesco affermava che «sarebbe buon frate minore colui che riunisse in sé la fede di Bernardo, la semplicità e la purità di Leone, la cortesia di Angelo, l’aspetto attraente e il buon senso di Masseo, la mente elevata nella contemplazione di Egidio, la virtuosa incessante orazione di Rufino, la pazienza di Ginepro, la robustezza fisica e spirituale di Giovanni delle Lodi, la carità di Ruggero, la santa inquietudine di Lucido» (FF 1782). Insomma, nella visione sanfrancescana, non esiste un frate ideale, l’ideale è la fraternità.
Abbiamo a che fare con una sfida complessa e per affrontarla va posta una premessa: la necessità della «conversione relazionale». Si tratta di convertirsi dall’individualismo alla cura del cerchio fraterno, di riconoscere che vivere insieme, appartenersi, collaborare, continuare a dialogare, incontrarsi con assiduità per confrontarsi, gestire cristianamente le inevitabili ferite interpersonali, è valore in se stesso: la fraternitas come valore in se stesso.
2) Lo sviluppo del pensiero nuziale
Tutti i credenti, sposati e celibi, siamo chiamati, per progredire verso la maturità di Cristo, a sviluppare un pensiero di tipo nuziale. Anche i consacrati e le consacrate, infatti, non siamo chiamati (ce lo ha ricordato papa Francesco) a rimanere single tristi o zitelle acide, ma a «sposarci spiritualmente» (non solo con il Signore, ma con la famiglia spirituale cui decidiamo di appartenere e che ci accoglie). Da cosa è caratterizzato il pensiero nuziale? Essenzialmente dalla custodia del senso di appartenenza, dalla capacità di “pensare con” e dalla capacità di collaborare; anzitutto con Dio (siamo chiamati ad essere alleati di Dio e collaboratori di Dio come dice l’apostolo), ma certamente anche tra di noi.
Appartenenza significa non permettere che le inevitabili sofferenze interpersonali ci portino all’isolamento, al fare da soli, senza avere a che fare con altri leaders. O non permettere che le inevitabili sofferenze interpersonali ci portino alla rabbia senza fine, alla critica acida, all’amarezza che non passa mai. Potremmo, allora, dire che le sofferenze interpersonali ci sono consegnate non per fuggirle, ma per sviluppare in noi, al servizio della comunione, quegli aspetti essenziali oggi della capacità di discernimento che sono l’intelligenza interiore, l’intelligenza relazionale e l’intelligenza spirituale. Cosa intendiamo per intelligenza interiore? È la capacità di ritornare a se stessi per leggere le parti vulnerabili del nostro cuore evidenziate dalle sofferenze interpersonali; o per leggere i conflitti interni del nostro cuore, illuminati da quelli esterni.
L’intelligenza relazionale ha due aspetti. Il primo: approssimarsi al mistero dell’altro volendo apprezzare il mondo interiore altrui e i suoi travagli, anche quando è in conflitto con il nostro. Il secondo: vedere in che modo ci incastriamo in situazioni di dipendenza reciproca. Ovvero, ad es., “cosa ancora non vedo o non capisco delle reazioni del mio prossimo (primo aspetto dell’intelligenza relazionale); “in che modo il mio sentirmi inferiore spinge l’altro a farmi la predica, o in che modo il mio sentirmi superiore spinge l’altro ad allontanarsi da me o a covare rabbia nei miei confronti? (secondo aspetto)”.
L’intelligenza spirituale ha a che fare con la capacità di neutralizzare i pensieri istintivi del nostro cuore per assumere progressivamente i pensieri di Cristo. È frutto insomma di ciò che i padri del deserto chiamavano metodo antirretico. Così, ad es., se l’invidia mi porta a pensare “devo fargliela pagare”, assumere il pensiero di Cristo significa, ad es., ricordare: «portate i pesi gli uni degli altri», «sta’ attento all’animale accovacciato alla tua porta», etc.
Che cosa significa, invece, pensare con e progettare con? Significa avere fiducia nel cerchio fraterno (non solo passione per) e realizzare l’invito dell’apostolo: «gareggiate nello stimarvi a vicenda». Mentre il pensiero autocentrato ritiene: “la mia idea è la migliore, l’importante è fare a modo mio, gli altri mi sono di ostacolo, etc.”, la fiducia nel cerchio fraterno porta a pensare che ciascuno coglie un pezzo di verità che è prezioso e che merita di essere valorizzato; per questo è necessario stimare ciascuno, anzi gareggiare nella stima reciproca.
Tutto questo richiede di fare i conti con il superamento della tentazione tipica di chi è leader (dentro e fuori la comunità credente), ossia quella di identificarsi con il proprio ruolo.
Per concludere, riguardo a questo secondo punto, vorrei ora toccare un altro tasto: parlare di pensiero nuziale ci porta alla necessità del confronto uomo-donna nella chiesa. I maschi maturiamo grazie al piacere e alla fatica di confrontarci con il “cervello” femminile e viceversa; il processo di umanizzazione richiede questo. Perché l’elogio del genio femminile non divenga retorica, è necessario che in ogni organismo, anche di governo, formazione e cura, siano garantiti la presenza e il contributo femminile. Tanto per fare un esempio: nei seminari non sarebbe importante la presenza di formatrici, o basta che vi siano donne a preparare in cucina?
3) Lo sviluppo del pensiero genitoriale
Tutti i credenti, sposati e celibi, siamo chiamati a divenire genitori spiritualmente, a maturare fecondità. Chi è leader nella chiesa deve allora sviluppare paternità/maternità e pensiero genitoriale. Infatti, molta possibilità di riuscita della sinodalità e della correzione fraterna dipende dalla capacità dei leaders, dei coordinatori, di chi presiede, di favorire e custodire un clima che sia veramente fraterno e di ricerca.
Ma cosa significa pensiero genitoriale? Esso è caratterizzato dalla consapevolezza dell’asimmetria relazionale che si concretizza in tre punti: il non appoggiarsi emotivamente sui figli (fisici o spirituali), il non triangolarli nei conflitti con i pari, il pacificarsi emotivamente nei conflitti con loro. Ciò permette di accedere al pensiero eucaristico caratterizzato dalla logica del dono in pienezza, ossia dall’offrire il proprio corpo e il proprio sangue in favore dei figli.
In sintesi, allora, lo sviluppo del pensiero nuziale e del pensiero genitoriale come logiche adulte che permettono il superamento del mito giovanile dell’autorealizzazione individuale e che permettono di accedere meglio alla logica del dono di sé nel cerchio fraterno e attraverso il cerchio fraterno.
4) La credibilità sapienziale
Chi coordina un ufficio, chi presiede nella carità, chi rende un servizio dalla posizione di leader, è necessario che sia credibile; in altri termini, adultità relazionale significa anche credibilità. Ma ognuno di noi, anche se leader, è peccatore, è fragile, ha elementi di stoltezza, ha dei travagli di crescita, che durano lungo tutto il corso della vita. Ma se siamo peccatori, fragili, sempre in travaglio, stolti, etc., come essere credibili? Ebbene, la credibilità adulta non è quella sognata dagli adolescenti (il successo e la perfezione), ma nasce dall’integrazione di alcuni elementi: il riconoscimento della propria parte oscura (trasparenza), l’esigenza di una seria e continua conversione, la consapevolezza di condividere tutti, credenti e non credenti, la barchetta della stessa umanità.
La credibilità sapienziale non nasce dall’essere senza peccato, ma dallo sforzo di connettere umilmente Parola di Dio e vita, compreso quell’aspetto della nostra vita che è il peccato, vivendo sempre in spirito di apprendimento e di ricerca con gli altri, assimilando l’azione umiliante della vita e del Signore a nostro favore. Sì, la vita e il Signore ci umiliano e questo fa bene, ci guarisce.
Insomma, credo che un desiderio profondo di noi tutti sia questo: basta con quegli aspetti del nostro cuore che favoriscono una chiesa ricca per i ricchi, una chiesa chiusa in se stessa e una chiesa malata di senso di superiorità (con l’inevitabile gravidanza dell’ipocrisia necessaria per mantenere l’illusorio senso di superiorità). Sì, invece, ad una chiesa povera per i poveri, aperta all’incontro, capace di stare in una posizione di minorità dal punto di vista relazionale, ossia ai piedi della crescita altrui.
5) L’esichia
È necessario pacificarsi sempre, lavorando su di sé. Riprendiamo ora questa necessità di pacificarsi nell’amore a proposito della correzione fraterna.
Intanto, è necessario distinguere tra normale conflittualità ecclesiale e correzione fraterna. Quest’ultima richiede alcune caratteristiche essenziali proprie dell’esichia: la pace interiore, l’interesse per l’altro, la verifica della saldezza del rapporto di alleanza.
La pace interiore: se sono coinvolto nelle problematiche altrui, non ci può essere correzione fraterna, ma solo normale conflittualità..
L’interesse per l’altro: prima di correggere, devo verificare se ho interesse per l’altro e se ho le necessarie informazioni che lo riguardano.
La verifica della saldezza del rapporto di alleanza: in Cristo siamo alleati e collaboratori di Dio e tra noi, ma è necessario verificare il grado di percezione soggettiva della saldezza di tale rapporto; inutile correggere se l’altro è arrabbiato con me o non si fida di me; prima c’è da chiarire con disponibilità tale rabbia o sfiducia.
Ma l’esichia è necessaria anche per la correzione fraterna ricevuta. Ascoltare con disponibilità le correzioni, le critiche, le sofferenze degli altri con noi, ristabilendo la pace nel nostro mondo interiore in tumulto.
6) Conclusione
La sinodalità e la correzione fraterna richiedono il servizio specifico di chi presiede, di chi è adulto nella fede, ed oggi essere leader è complicato e non è certo augurabile a nessuno. Ringraziamo il cielo che le varie difficoltà che permette ci aiutano a capire che presiedere è un servizio faticoso, al di là della retorica ecclesiale del servizio.