Anche la nostra Caritas ha partecipato insieme alle altre di Sicilia ad un coordinamento degli organismi ecclesiali a Lampedusa (vi era anche Migrantes) per comprendere l’appello di Dio e corrispondervi in modo evangelico Questa la prima impressione che ci hanno trasmesso Salvo Garofalo e Fabio Sammito: «Appena si atterra a Lampedusa due immagini forti colpiscono: la prima è quel casermone blu in fondo alla pista di atterraggio che sta custodendo in questi giorni i corpi dei fratelli morti nel naufragio della scorsa settimana. “È il grido di Dio verso la nostra indifferenza!” ci sussurra Don Franco Montenegro, vescovo di Agrigento. “Qui tra le viuzze strette – continua – vedrete i lampedusani che continuano a lasciare di notte i termos davanti i portoni delle loro case perché, se di notte ci sarà uno sbarco, i migranti potranno almeno bere un caffè o un the caldo. Qui vedrete la gente che apre le loro case per far fare la doccia ai fratelli o regalare una coperta: gli armadi qui sono sempre vuoti!”. Poveri che accolgono poveri. Non a caso appena la strada gira la prima curva dopo l’aeroporto trovi un filo elettrico dell’illuminazione pubblica che disegna BENVENUTI tra le casette.
La seconda immagine è il leggio realizzato con un timone e dei legni di barche naufragate, da cui Papa Francesco tre mesi fa ha invitato a piangere per tutti i nostri fratelli morti. Il leggìo si trova davanti la parrocchia di San Gerlando e ci ricorda che non può esistere Eucaristia senza immergersi nelle sofferenze dei nostri fratelli. “Questo è un esodo – continua Mons. Montenegro –: al posto del faraone ci sono le multinazionali che stritolano i paesi poveri con l’ingiustizia economica, anche qui c’è un mare da attraversare come il Mar Rosso e da questa parte c’è una terra promessa che non può rimandare indietro chi scappa dalla violenza e dalla fame. In Tunisia i centri di salute mentale sono intasati da chi viene rimpatriato e non riesce più a riprendere il filo della propria vita! Lampedusa per questo può essere il segno di un mondo nuovo. Iniziando a non parlare più solo in termini di emergenza, discutendo diversamente di immigrazione, pensando a come farsi prossimi”». Da qui l’impegno a pensare subito all’accoglienza, in modo evangelico, non emozionale e senza clamore (come testimoniato dal vescovo elemosiniere del papa, che è stato notte e giorno con i soccorritori senza rilasciare volutamente alcuna dichiarazione) e contemporaneamente a sviluppare il ruolo pedagogico e profetico della comunità cristiana perché altrimenti – lo sottolinea sempre don Franco –anche l’accoglienza può essere solo una facile scorciatoia!”.
Questa è la via che abbiamo intrapreso nella nostra diocesi, con l’accoglienza affidata alla generosità di volontari e comunità, con la riflessione che faremo negli incontri con Gianni Novello sulla globalizzazione dell’indifferenza, con cammini educativi come quelli di Avvento in cui vorremo portare davanti al Signore i “nomi” dei fratelli profughi, migranti o soli, per cammini di condivisione con cui testimoniare nella quotidianità lo stile di Dio.