Nella diocesi di Butembo Beni, uno dei problemi sociali più gravi è costituito dai soldati non ancora rientrati dalla guerra. Si tratta di militari segnati profondamente dagli orrori della guerra, squilibrati mentalmente, che agiscono con violenza contro ogni ragione, spesso sotto l’effetto di droghe. Sono come mine vaganti, un incubo per la popolazione. Negli ultimi giorni, ancora due preti ne sono rimasti vittime, in due momenti diversi.
Il primo episodio riguarda Pascal Mumbere, un giovane sacerdote di 30 anni. Fino a un mese fa è stato viceparroco nella parrocchia di Bingo, gemellata con la parrocchia Sacro Cuore di Modica. Ora è viceparroco nella nuova parrocchia di Visiki.
È visibilmente scosso mentre ci ritroviamo a parlare nella procure di Butembo, dove è venuto per alcuni giorni al fine di riprendersi un po’ dallo shock. Nella notte tra il 24 e il 25 marzo si trovava in un villaggio della foresta, Kanyatse, a cinque giorni di marcia a piedi dalla chiesa parrocchiale, per la tradizionale visita di Quaresima ai fedeli sperduti nei meandri della giungla equatoriale. Ed ecco che, nel mezzo della notte, è costretto a svegliarsi di soprassalto. Dei militari sfondano la porta e Pascal se li ritrova dinanzi, senza aver avuto neanche il tempo di scendere dal letto. Cercano denaro. Pascal svuota per terra la borsa con i pochi spiccioli delle offerte raccolte durante la visita. I militari lo costringono a stendersi con la faccia a terra, minacciando di ucciderlo se non tira fuori altri soldi.
Mentre Pascal pensa di essere giunto ormai al termine della vita, fuori si sente un grido. È il vecchio catechista che accompagna Pascal nella visita. Svegliato anche lui dallo sfondamento della porta, lancia l’allarme. I banditi si precipitano fuori. Si tratta di pochi attimi. Pascal, approfittando di quella distrazione e del buio della notte, balza anch’egli fuori e scappa. Corre come un forsennato nella foresta, nudo e scalzo, incurante degli arbusti spinosi che gli lacerano le carni. Mi mostra ora le ferite ancora vive. Corre a mozzafiato per un’ora intera, con il terrore di essere inseguito. Si ferma soltanto quando arriva al fiume. I militari intanto picchiano il catechista e lo lasciano a terra mezzo morto. Ma secondo i medici, se la caverà.
L’altro episodio è avvenuto proprio ieri sera, sabato 2 aprile. A fare le spese della violenza dei militari sono stati Faustin Kinda e Ghislain Katsere, entrambi viceparroci a Maboya, gemellata con la parrocchia San Giuseppe di Pachino. Quando già era buio, si sono offerti di accompagnare a casa, con l’auto della parrocchia, una povera donna che, proveniente dall’ospedale a seguito di un intervento chirurgico e ancora molto dolorante, era rimasta in strada per un guasto al taxi su cui viaggiava. Sulla strada del ritorno, alle ore 20 circa, i due sacerdoti si sono imbattuti in quattro militari. Il ritornello è quello di sempre: il denaro. Ghislain e Faustin non hanno altra scelta e sono costretti a sborsare il poco che hanno e i telefonini. I militari intascano il malloppo e sembrano lasciare andare senza altri problemi i due malcapitati, ma ecco che si scatena la violenza fine a sé stessa: Faustin è già risalito sull’auto, quando un soldato gli si accosta e gli spara a bruciapelo alla gamba. La pallottola trapassa l’anca da parte a parte, fortunatamente senza toccare l’osso. I militari si allontanano apparentemente soddisfatti, sogghignando fra loro.
Vado a fare visita a Faustin all’ospedale Matanda di Butembo, dove stamattina ha subito l’intervento chirurgico. Ancora non si è ripreso bene dall’anestesia ma soprattutto dallo shock. Accanto a lui è Ghislain, che mi racconta l’accaduto nei particolari. Sono presenti anche alcuni confratelli sacerdoti, con i volti sgomenti. A chi gridare queste ingiustizie, quando lo Stato e la legge sono ancora senza struttura e vigore? Solo la fede dona la forza di andare avanti e di credere in un domani migliore, nonostante tutto.
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