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“Gravissium sane munus” Ecco la Bolla Pontificia

 

La Bolla di fondazione

Gregorius episcopus servus servorum Dei ad perpetuam rei memoriam.
Gravissimum sane munus, humeris nostris dininitus impositum, agnos non modo, verum etiam oves, vicarial Christi potestate, pascendi, illud quoque a nobis exigit: ut  eam, sacris postoribus dominici gregis partem regendam adsignamus, cuis procurationi, quo decet modo earum, quisque vacare, pro variis locorum rerumque circumstantiis, valeat. Neve ita, loborum gravitate aut negotirium multitudine, abruatur, ut, singulis pastoralis officii partitibus rite adimplendis, impar evadat…”.

Con queste parole in lingua latina, scritte su pergamena, si apre la Bolla pontificia “Gravissium sane munus” del Papa Gregorio XVI; la bolla che segna la nascita della nostra diocesi netina il 15 maggio di 180 anni fa(1884).

Precede anzitutto, con carattere riccamente ornati e con le abbreviazioni in uso allora, l’intestazione propria di ogni Bolla pontificia: “Gregorius episcopus, servus Dei, ad perperuam rei memoriam (Gregorio Vescovo, servo di Dio, perché del fatto si conservi sempre il ricordo)”

E subito dopo, con caratteri più piccoli e ordinati c’è l’inizio strettamente detto della Bolla: “Gravissimum sane munus, humeris nostris divinitus impositum, agnos non modo, verum etiam oves, vicaria Christi potestate pescendi… ecc. Queste parole, arrivano fino al tredicesimo rigo della seconda pagina della Bolla, mostrano subito il tono biblico e pastorale che pervade l’intera Bolla pontificia nelle sue ben trenta pagine.

Ne diamo subito la traduzione: “Il gravissimo compito, posto da Dio sulle nostre spalle, di pascere, in nome di Cristo Pastore, non solo gli agnelli ma anche le pecorelle (cfr Gv 21,15-17), esige pure da noi che assegniamo per guidarla, ai sacri pastori del gregge del Signore, quella parte che ciascuno di questi pastori è in grado di curare in modo conveniente, secondo le circostanze varie dei luoghi e delle cose.

Ciascun pastore, in questo modo, non viene schiacciato dalla pesantezza del lavoro e della molteplicità delle iniziative, che gli renderebbero difficile l’adempimento sereno, nelle singole parti, del suo dovere pastorale”.

Il sigillo in piombo della Bolla pontificia. In questo lato il nome del Pontefice del tempo, Gregorio XVI

Non c’è bisogno di sviluppare un commento a questa parole di alta saggezza e sapienza umana e pastorale. Le avvertiamo tanto attuali anche per oggi oltre che per ieri, anzi più attuali oggi anziché ieri; le avvertiamo salutari non solo per i Vescovi, ma anche per ciascuno di noi, in questa nostra società e cultura così veloci, e spesso tanto asfissianti, da impedire non raramente il “porro uman”, “l’unica cosa necessaria”; l’ascolto contemplativo e fattivo della Parola di Dio che converte la nostra vita (cfr. Lc 10,38-42). Mettere in rilievo questo pensiero di Papa Gregorio all’inizio della Bolla che segna il nostro inizio, può senz’altro dare uno dei significati più qualificanti al perché della celebrazione del centottantesimo della nostra Chiesa pellegrina in Noto.

Gli altri significati che motivano l’importanza della celebrazione – quello della carica vitale del ritorno alle origini e quello della incidenza della memoria dei testimoni che ci hanno preceduto – ricevono da questa sottolineatura pastorale una conferma che è opportuno ricordare, perché venga dato il giusto ritmo al nostro cammino di Chiesa e di società.

Il sigillo in piombo della Bolla pontificia. In questo lato l’immagine degli Apostoli Pietro e Paolo

 

15 Maggio 1844. Noto eretta a sede vescovile

Noto è stata eretta a sede vescovile e la Chiesa Madre a Cattedrale da Papa Gregorio XVI con la bolla “Gravissimum sane munus” il 15 maggio 1844. Con questo atto Gregorio XVI ha concretizzato l’impegno del suo predecessore Pio VII il quale si era proposto di accrescere in Sicilia il numero delle diocesi per rendere più agevole il servizio pastorale dei vescovi.

In realtà, il vescovado di Noto era stato auspicato fin dal sec. XII, quando Isimbardo Morengia, fatto signore di Noto da Federico II di Svevia, fondò in data 20 agosto 1212 con la dote di quattro feudi il monastero cistercense di Santa Maria dell’Arco, chiedendone poi la trasformazione in sede vescovile. L’imperatore fece eco ai desideri di Morengia, ma i rovesci della Casa Sveva e in seguito le turbolenze degli Angioini non resero possibile l’erezione di Noto a sede vescovile. Insignita del titolo di Città da Alfonso il Magnanimo il 27 dicembre 1432 e in un momento di particolare prestigio, tanto da esprimere un Viceré in Niccolò Speciale, Noto chiese la bolla di erezione a capo‑diocesi il 14 giugno 1433 a Papa Eugenio IV e il 22 gennaio 1450 a Niccolò V per interessamento dell’abate netino Giovanni Aurispa, suo segretario apostolico. Il nobile Rinaldo Sortino ottenne lettere regie in favore del nuovo vescovado nel 1451 e nel 1453, ma monsignor Paolo San­tapan aragonese, vescovo di Siracusa, fece annullare dalla Santa Sede ogni cosa anche perché il parroco di Noto, a tutti gli effetti era il canonico Cantore del duomo di Siracusa per prebenda assegnatagli dal vescovo Tommaso Erbes nel Sinodo diocesano del 1388.

Altre iniziative furono promosse nel XVI, nel XVII e nel XVIII secolo. Le argomentazioni addotte a favore della nuova sede vescovile erano diverse, tra queste la presenza di due prestigiosi centri di spiritualità: l’abbazia benedettina di Santa Lucia del Mendola e quella cistercense di Santa Maria dell’Arco, allora rilevanti motivi ecclesiastici; e l’essere la città di Noto Capovalle al pari delle altre due esistenti in Sicilia, Messina e Mazara, già sedi vescovili. “Il nostro Regno sotto nome di Valle si divide in tre separate provincie, con questo ordine appunto ha stabilito, le Sedi Vescovili della Val Demone e Val di Mazzara nelle rispettive loro città capitali, quali sono Messina e Mazzara; così dunque del pari converrebbe al buon ordine e ragione sembra richiedere che la terza Valle ancora una terza Sede Vescovile nella sua città ca­pitale, si rinvenga, quale essendo, appunto la città di Noto per costituzione dei Principi Normanni” (cif. perorazione del 1783).

L’ostacolo alla realizzazione di tale desiderio venne sempre dall’opposizione dei vescovi di Siracusa, a cui la diocesi di Noto avrebbe tratto territorio. Solo a metà del 1800 Noto vide concretizzarsi l’antico desiderio. In seguito ai tumulti che si verificarono a Siracusa durante l’epidemia di colera, infatti, Ferdinando II Borbone chiese il trasferimento della provincia a Noto. Fu allora che re Ferdinando II chiese alla Santa Sede di fondare la diocesi di Noto, approfittando anche del fatto che la sede vescovile di Siracusa era vacante per la morte di Monsignor Giuseppe Amorelli avvenuta il 13 dicembre del 1840. Alla nuova diocesi, oltre a Noto furono assegnati, sottraendoli a Siracusa, i comuni di Avola, Buccheri, Buscemi, Cassaro, Ferla, Giarratana, Modica, Pachino, Palazzolo Acreide, Pozzallo, Portopalo, Rosolini, Scicli e Spaccaforno (ora Ispica).

Il 24 novembre 1844 il primo vescovo di Noto, Monsignor Giuseppe Menditto, prese possesso in Cattedrale. Monsignor Vincenzo Marolda, vescovo di Trapani e delegato dalla Santa Sede lesse la Bolla di erezione e i Decreti papali.

Nel 1856 la Santa Sede col decreto Peculiaribus ottiene dal governo di Napoli un ridimensionamento delle attribuzioni del giudice di monarchia a favore dei vescovi. Si collocano in questa fase i primi tre vescovi di Noto: Giuseppe Menditto (1844-1849), Giovanni Battista Naselli (1851-1853) e Mario Mirone(1853-1864). Con il Concilio Vaticano I del 1870, infatti, declina l’ecclesiologia regalista e si afferma quella romana, mentre si rafforzano i legami istituzionali della Chiesa di Sicilia con la Curia vaticana. La frattura tra il governo italiano e il Vaticano, però, impedisce la nomina di nuovi vescovi nelle sedi vacanti siciliane, perché la Santa Sede vuole evitare che il nuovo governo rivendichi il diritto di presentazione dei candidati, ledendo il diritto della Chiesa nella libera collazione dei vescovadi. E Noto per otto anni rimanesede vacante: dal 1864 al 1872. Solo grazie alla legge delle Guarentigie del 1871, viene nominato il nuovo vescovo: Monsignor Benedetto La Vecchia (1872-75).

Nonostante una certa acredine anticlericale – che ha il suo culmine nel 1882 in occasione del sesto centenario dei Vespri Siciliani e che mette i vescovi siciliani nella condizione di non poter ricorrere allo Stato per ottenere l’osservanza dei precetti e della morale cattolica – la libertà in campo pastorale è garantita. Nella lettera collettiva a conclusione della Conferenza episcopale siciliana, i vescovi denunciano i mali che minacciano la compattezza religiosa e morale dell’isola. Il vescovo di Noto, Monsignor Giovanni Blandini (1875-1913) – antesignano di democrazia e di rinnovamento cattolico in Italia – è definito “perla dell’episcopato siciliano” da Leone XIII, che lo decora del pallio arcivescovile ad personam il 25 giugno 1900.

Intorno al 1910 si preferiscono forme di organizzazione del laicato cattolico con preminente formazione religiosa come la Gioventù cattolica e gli Oratori. Papa San Pio X promuove il catechismo e rilancia la buona stampa. In piena guerra, nel 1916, si tiene a Tindari la Conferenza episcopale siciliana, essendo segretario il vescovo di Noto, Monsignor Giuseppe Vizzini (1913-1935). Per lui la riforma religiosa è possibile su un piano spirituale. Sono frutto della sua competenza giuridica i documenti del Primo Concilio plenario siculo (Palermo, 1920) e del Primo Sinodo diocesano (Noto, 5-7 ottobre 1923).

Nel 1955, quando Papa Pio XII istituì la diocesi di Ragusa con la bolla “Quam quam est” il comune di Giarratana passò alla nuova diocesi, mentre Palazzolo Acreide, Buccheri, Buscemi, Cassaro e Ferla, piccoli comuni montani del siracusano, ritornarono alla diocesi aretusea.

In questo frangente si colloca l’episcopato di Monsignor Angelo Calabretta (1936-1970), che si caratterizza per le profonde radici soprannaturali. Il silenzio della preghiera è il segreto della riuscita dell’attivissimo suo episcopato. Il suo successore, Monsignor Salvatore Nicolosi (1970-1998), ha fatto crescere la realtà “Chiesa” in tutte le dimensioni: dall’evangelizzazione alla comunione, dal culto a Dio al servizio dell’uomo. Egli realizza nel 1988 il gemellaggio con la giovane diocesi di Butembo-Beni (Repubblica democratica del Congo) e celebra il Secondo Sinodo diocesano (1995-1996).

Tra le numerose realizzazioni del fecondo servizio episcopale di Monsignor Giuseppe Malandrino (1998-2007), invece, ricordiamo la Missione popolare permanente, frutto del grande Giubileo del 2000, la visita pastorale (2003-2006) e la felice riapertura, il 18 giugno 2007, della Cattedrale ricostruita